Cinema&Tv

Klaus – Il Natale nella post-modernità

Klaus

8.4

Comparto tecnico

9.0/10

Cast

8.0/10

Scrittura

7.8/10

Regia

8.0/10

Direzione artistica

9.0/10

Pros

  • La rinarrazione del mito del Natale in chiave laica e moderna
  • La perfetta miscela di animazione tradizionale e computer grafica
  • La suggestiva gestione delle luci
  • I personaggi sfaccettati e iconici dal design curatissimo
  • Le sequenze puramente emotive sono di un'intensità e un candore inimmaginabile

Cons

  • Il doppiaggio italiano del personaggio di Alva

Klaus, il primo film animato Netflix diretto da Sergio Pablos, già animatore della Disney, è un lungometraggio semplice. Anzi, semplicissimo. Ma proprio per questo tremendamente potente.

Per spiegarvi come, visto il periodo e il tema della recensione, ho deciso di avvalermi dei tre fantasmi del Natale di Charles Dickens, così da offrirvi un’analisi quanto più chiara, schematica e familiare possibile.

Il fantasma del Natale passato

Se analizzassimo nel dettaglio la trama di Klaus noteremmo tutta una serie di elementi visti e stravisti, spesso derivanti dell’esperienza di Sergio Pablos nella casa di Topolino, pur non mancando di attingere ad altre fonti.

Jasper, il protagonista, è un ragazzo viziato e menefreghista che a causa del suo carattere subisce un forte contrappasso (come Kuzko de Le follie dell’imperatore). Tuttavia la sua astuzia e il suo dinamismo lo portano a sovvertire la nuova realtà in cui viene inserito, maturando a sua volta grazie a dei personaggi secondari carismatici (sempre come Kuzco, ma anche come Shrek, o Miguel e Tullio de La strada per El Dorado). I design dei personaggi sono anch’essi smaccatamente disneyani: esagerati, geometrici, caricaturali, figli della Disney del rinascimento, in cui non era il contesto ad essere adattato al tratto, ma l’esatto opposto. La cittadina di Smeerensburg dove la vicenda è ambientata, nonostante esista davvero, deve molto in questa rappresentazione al Nightmare Before Christmas di Henry Selick, specie nelle atmosfere cupe e decadenti e nei suoi abitanti (si noti una vaga somiglianza tra il sindaco del Paese di Halloween e Mr. Ellingboe). E parlando di somiglianze, è impossibile non vedere nel personaggio di Klaus il Babbo Natale del film DreamWorks Le 5 leggende.

Il fantasma del Natale presente

Vi sarete sicuramente fatti l’idea sbagliata che Klaus sia un film poco originale, derivativo, senza nulla di nuovo da raccontare. In realtà, miscelare estetiche passate per raccontare qualcosa di nuovo è l’essenza dei prodotti post-moderni. Il film riprende una struttura già ampiamente collaudata – quindi di facile fruizione, in quanto immediatamente riconoscibile – per raccontare temi attuali e poco familiari ai classici racconti natalizi, ma molto sentiti nella contemporaneità.

Klaus è un racconto di confronto intergenerazionale, di distacco dalle tradizioni tossiche che addossano l’odio delle vecchie generazioni sulle nuove senza alcun valido motivo.  Ma è anche un racconto di responsabilizzazione della gioventù e di eredità. Smeerensburg è assimilabile a un qualsiasi paesino italiano: le tradizioni sono così sentite da impedire fisicamente che quelle realtà entrino a loro volta nella modernità. A Smeerensburg i bambini non vengono mandati a scuola per impedirgli di frequentare gli eredi delle famiglie rivali, creando un tasso di analfabetizzazione disarmante e frenando lo sviluppo di una forma mentis che consentirebbe ai pargoli di rilevare la stupidità degli anziani, i principali malvagi di questo film.
Nessuno degli abitanti scrive lettere, perché l’unico mezzo che conoscono per esprimersi è la violenza. Come si diceva nella recensione di Joker: la morte della società passa attraverso l’interruzione del confronto. La risposta del film al male radicato sta intuitivamente nella bontà, da qui la frase chiave: “Una buona azione ne genera sempre un’altra“. Creare un simbolo benevolo e unificatore per mostrare una realtà alternativa che scavalchi la diffidenza nei confronti del diverso, è la migliore rielaborazione del personaggio di Babbo Natale possibile in questo contesto storico, in cui la retorica del nemico e dell’egoismo regna sovrana. I regali di Babbo Natale (anche se in questo film non viene mai chiamato così) creati da un uomo buono spezzato da un trauma che l’ha reso freddo e isolato da tutti, assumono quindi il valore simbolico di gesto d’amore disinteressato per eccellenza.

Anche il carbone ricevuto dei bambini cattivi assume un significato ben preciso, ossia dissuadere dalla cattiveria mostrando la mancanza effettiva di vantaggi che essa comporta. Alcuni, per esempio, pensano che quella del mafioso sia una gran bella vita, ma se si pensa che questa comporta il vivere nascosti come topi di fogna con la costante paura di venire uccisi da clan rivali o arrestati, l’idea risulta molto meno affascinante. Ai vantaggi del bene, il film aggiunge la tesi che, anche se per fini egoistici (Jasper inizialmente vuole consegnare le lettere solo per poter tornare a casa) l’aiutare gli altri porta consequenzialmente a perseguire la retta via.

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Eppure non è tutto cattivo ciò che è vecchio.
Il padre di Jasper, ad esempio, è un uomo fermo e integerrimo, le cui esperienze di vita l’hanno portato a capire al volo le persone e a prendere le giuste decisioni, anche se drastiche. È lui che manda Jasper a Smeerensburg e gli affida una missione apparentemente impossibile per insegnargli la disciplina, ma più avanti si dimostrerà meno rigido di quanto appaia inizialmente.
Questo personaggio rappresenta l’adulto ideale, capace di agire con durezza se necessario, ma anche di farsi da parte qualora la sopraggiunta maturità del figlio lo porti a prendere decisioni diverse dalle sue. Un vero e proprio modello per le vecchie generazioni, in contrasto con il figlio che rappresenta il giovane nullafacente amante delle comodità frutto della ricchezza paterna.

Altro personaggio secondario meravigliosamente archetipico è quello di Alva. Lei è il prototipo dei giovani laureati che, a causa della mentalità chiusa dei suoi concittadini, sono costretti a riciclarsi in mestieri umili per nulla adeguati alle loro competenze, sognando di emigrare in un posto migliore. Infatti Alva dovrebbe essere la maestra della scuola elementare di Smeerensburg, ma dato che – come detto prima – nessun bambino del paese viene mandato a scuola, è stata costretta a reinventarsi come pescivendola, così da racimolare qualche soldo e lasciare l’isola.
Purtroppo a questo personaggio è legato l’unico microscopico difetto del film, fortunatamente presente solo nel doppiaggio italiano. Questo perché il suo doppiaggio è stato affidato ad Ambra Angiolini, che ha regalato una performance in alcuni momenti abbastanza claudicante.

E poi c’è Klaus. Dimenticate tutte le componenti magiche che normalmente associate a Babbo Natale, perché qui non ne troverete (tranne una). Klaus è un uomo. Un uomo enorme con un grande talento (costruire giocattoli) e un cuore ancora più grande. Un uomo a cui è stato negato l’amore dal fato, ma che non vi ha mai rinunciato. Un uomo che sa tirare fuori quell’amore dagli altri attraverso le sue creazioni. Ma pur sempre un uomo, con le sue fragilità e debolezze. Klaus è un Babbo Natale squisitamente laico; non ha bisogno dei poteri conferiti da divinità cristiane, pagane o chi per loro per fare del bene, ma solo di altri uomini che credono in lui e in ciò che può dare. Proprio questa sua umanità gli conferisce un potere meta-narrativo: aprire il cuore di qualsiasi spettatore senza alcun pregiudizio religioso o culturale ad ostacolarlo.

Il fantasma del Natale futuro

Come per La famosa invasione degli orsi in Sicilia, anche Klaus sfoggia un’animazione mista. La tecnica tradizionale si mescola perfettamente alla colorazione in computer grafica, consentendo movimenti di una fluidità disarmante e una gestione dell’illuminazione magistrale. I riflessi negli occhi dei personaggi e il calore sprigionato delle fiamme sono talmente vividi da commuovere per la loro bellezza e rappresentano una delle eccellenze del film. La regia di Sergio Pablos è dinamica, consapevole e pulita, degna dei migliori classici del rinascimento Disney, riuscendo ad incantare con dei primi piani e delle panoramiche da manuale, oltre ad un utilizzo dei piani sequenza figlio delle migliori scene di Tarzan, a cui il regista spagnolo ha lavorato come animatore. Tali scelte identificano ulteriormente Klaus come un film post-moderno che adotta le migliori tecniche del passato e del presente per distinguersi e proiettarsi in avanti. Probabilmente questa tendenza al minestrone di influenze andrà ad imporsi in futuro sulla semplice computer grafica di cui la Pixar è stata pioniera. Se i risultati sono questi, possiamo solo che gioirne.

Klaus è un film emozionante, a tratti commuovente. Le sensazioni suscitate dal film non sono costruite su due piedi, senza una base solida, per venderle ad un pubblico suggestionabile, bensì genuinamente ispirate da un comparto tecnico ai limiti della perfezione, personaggi ben scritti e sfaccettati a cui è facilissimo affezionarsi e molteplici chiavi di lettura a cui attingere.  Per una volta, possiamo dire grazie a Netflix per questo meraviglioso film, sperando che presto altri lo seguano.

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Vittorio Pezzella

Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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Vittorio Pezzella
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