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Joker, la recensione

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Joker, la recensione 1

Joker

7.9

Comparto Tecnico

8.0/10

Cast

8.9/10

Scrittura

7.0/10

Regia

7.5/10

Direzione Artistica

8.0/10

Pros

  • L'interpretazione grottesca e maniacale di Joaquin Phoenix
  • Un De Niro come contraltare d'eccezione
  • L'ignorare il canone fumettistico
  • L'ottima gestione dei tempi
  • Detta un nuovo standard per i cinecomics

Cons

  • L'estetica e i temi derivativi
  • Le forzature iniziali

Joker, film del 2019 diretto da Todd Phillips con protagonista Joaquin Phoenix nei panni del supercriminale dei fumetti DC Comics, nonché nemico giurato di Batman, è un prodotto di cui si potrebbe parlare per ore.

Purtroppo, vivendo in una società che opprime l’estro e la creatività, i redattori di SpaceNerd non dispongono di tutto questo tempo da dedicare alla recensione, quindi tocca lavorare di sintesi.

Joker, la recensione 2

La genesi del clown

Il contesto storico dietro la produzione di Joker non incitava certo previsioni rosee.

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La Warner Bros., l’anno in cui fu annunciata la produzione del film (2016), veniva fuori da quei disastri ferroviari di Batman V Superman: Dawn of Justice e Suicide Squad, mentre la Disney e il suo Marvel Cinematic Universe avevano già abbondantemente saturato il mercato, creando di fatto un monopolio dei cinecomics.

La Warner era però decisa ad andare avanti ugualmente con il suo Universo condiviso, accorgendosi della pessima idea solo dopo il flop di Justice League, avvenuto l’anno seguente.

Contemporaneamente, la Sony lanciava al cinema Venom, lungometraggio dedicato all’omonimo antieroe che tante grane ha dato a Spider-Man.

Questo film ebbe un’importanza fondamentale per Joker, sotto molti punti di vista.

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Sebbene la scarsa qualità avesse portato i critici a massacrarlo, di contro i botteghini (e quindi il pubblico) lo premiarono inaspettatamente. L’idea dell’antieroe protagonista era piaciuta.

La Warner giocò bene le sue carte: non potendo continuare ad ignorare la realtà, ossia non potendo competere sullo stesso campo del MCU, decise di costruire un progetto a lungo termine che avesse l’obiettivo di tappare i buchi (non solo di trama) lasciati dalla Disney.

La Disney proponeva una macrotrama decennale? La Warner avrebbe offerto film totalmente autoconclusivi con al massimo qualche seguito.

La Disney aveva il suo Universo condiviso che per capire un film te ne devi guardare tre? La Warner avrebbe avuto un catalogo di libera fruizione occasionale.

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Joker, la recensione 3

La Disney offriva al pubblico film dalla bassa prospettiva qualitativa, ricchi di colori sgargianti, e girati da registi burattini al soldo di Kevin Feige? La Warner avrebbe cercato l’autorialità.

La Disney produceva film tutti uguali con personaggi praticamente intercambiabili? La Warner avrebbe prodotto film di genere differente l’uno dall’altro, ognuno con un personaggio iconico e inimitabile.

Non certo un lavoro facile, dato che la Disney aveva operato, con i suoi cinecomics, un lavoro di rincoglionimento delle masse pari a quello della tv Mediaset in Italia (e qui leggere Diario minimo di Umberto Eco risulta doveroso).

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Solo che la Disney aveva operato su scala globale.

In ogni caso, la Warner si era già giocata gli eroi DC di maggior caratura (tranne Batman, che tira sempre, e Wonder Woman, nonostante il suo film fosse identico a quello di Lanterna Verde) disponendo di una scelta piuttosto limitata. Inoltre, l’autorialità non era esattamente sinonimo di incasso (anche se Christopher Nolan avrebbe da ridire).

Per non mettere tutte le uova in un solo paniere, si operò un duplice binario di produzione: da un lato i film d’autore basati su personaggi magari minori, ma di sicuro fascino (Joker); dall’altro, film d’intrattenimento non molto distanti dagli epigoni Marvel per fare cassa (Shazam, Aquaman).

Ormai era deciso: Joker sarebbe stato lo spartiacque tra il vecchio modo d’intendere i cinecomics, largamente ispirato alle controparti cartacee, e il nuovo, in cui la libera interpretazione degli autori avrebbe di fatto rimpiazzato quella fumettistica.

A parere di chi vi scrive e che di fumetti ne mastica in quantità industriale, quest’ultimo è il vero modo in cui andrebbero intesi i cinecomics.

Joker, la recensione 4

Tragicommedia, o comica tragedia?

La Warner aveva programmato questo film in modo tale che venisse etichettato come capolavoro ancora prima della sua uscita.

Sarebbe stato prodotto da nientemeno che Martin Scorsese, uno dei più grandi registi della storia americana e non.

All’inizio si vociferava che dovesse anche dirigerlo, ma i dissidi con la Warner portarono Scorsese ad abbandonare l’intero progetto.

A questo primo segnale di sconforto ne subentrò subito un altro: la regia e la sceneggiatura del film erano state affidate a Todd Phillips.

Todd Phillips è un regista che in vita sua, prima di Joker, ha diretto film del calibro di Una notte da leoni e Starsky & Hutch.

Di sicuro la sua estetica dinamica e fuori dagli schemi risultava apprezzabile nell’ambito delle commedie, anche piuttosto demenziali, in cui si era cimentato fino a quel momento, ma sembrava tutt’altro che il regista adatto ad un progetto del genere.

Paradossalmente, chi non conosceva il suo Hated: GG Allin and the Murder Junkies l’avrebbe visto bene, non a torto, su un cinecomic di stampo classico (magari proprio uno Shazam).

A questi si aggiungevano altri segnali, stavolta positivi. In primis, la scelta di Joaquin Phoenix come protagonista, e poi la notizia che Scott Silver (The Fighter, 8 Mile) avrebbe sceneggiato il film insieme a Phillips.

Un attore di caratura elevatissima e uno sceneggiatore capace specializzato in racconti di vite problematiche. Difficile non sorridere, così come è stato difficile non sorridere all’annuncio che il film non avrebbe avuto niente a che fare con i fumetti. Forse la miglior notizia che potessero dare, in barba ai fanatici di The Killing Joke.

La paura più grande era però un’altra, ossia che il film prendesse la tremenda strada dell’immedesimazione in comportamenti ingiustificabili da parte del pubblico, sulla falsariga del rapporto abusivo tra lo stesso Joker e Harley Quinn in Suicide Squad.

La Warner avrebbe creato effettivamente un film complesso, o si sarebbe limitata a colpire la pancia degli spettatori in cerca di una giustificazione per per le loro vite miserabili?

Joker, la recensione 5

Sipario. Ma chi è che ride?

Il film ci racconta di Arthur, un aspirante comico che per sbarcare il lunario è costretto a lavorare in una ditta di clown a noleggio.

Vive in un modesto appartamento a Gotham City insieme a sua madre, un’anziana donna che ripone tutte le sue speranze nell’ascesa alla poltrona di sindaco del magnate Thomas Wayne, a cui spedisce continuamente lettere.

La Gotham dipinta da Phillips è una città malfamata al limite del parodistico.

Tutti sembrano avercela col protagonista, facendogli del male anche e soprattutto senza alcun motivo apparente.

Lo fanno semplicemente perché possono.

L’idea era quella di racchiudere nella città quella che era la percezione degli anni ’80 (epoca in cui il film è ambientato) di metropoli come Detroit, all’epoca vessate da una criminalità incessante frutto di disparità sociali e di una mancanza d’iniziativa da parte delle istituzioni.

Tale contestualizzazione riprende a piene mani dall’estetica decadente di Taxi Driver, film di Martin Scorsese cui questo Joker è dichiaratamente ispirato.

Le ispirazioni (e probabilmente i suggerimenti) di Martin Scorsese compongono la quasi totalità delle sequenze memorabili del film, che di fatto risulta essere una sorta di remake della celebre pellicola con protagonista Robert De Niro.

Il problema è che in Taxi Driver, così come nel complesso mondo in cui viviamo, nessuno faceva niente per niente.

Joker, la recensione 6

Se Travis Bickle dava di matto, era perché non riusciva più ad interfacciarsi con le complessità di quegli anni, in quanto intriso della dualità bene-male propagandata ai veterani del Vietnam.

Lui non riusciva a capire perché una ragazzina di 12 anni volesse volontariamente prostituirsi e farsi vessare da un pappone, perché la sua prospettiva era limitata.

L’idea che aveva del mondo non poteva abbracciare l’ottica che, se sei una ragazzina squattrinata e abbandonata, avere un tipo grosso con la pistola che ti protegge da altri tipi con le pistole, in cambio magari di qualche dollaro e qualche mazzata, non sia poi così male.

Almeno inizialmente, Joker sembra glorificare la prospettiva semplicistica di Travis (se sparo al politico, i miei problemi si risolveranno) semplificando all’eccesso i rapporti di causa effetto: tutti sono cattivi, ed io, poverino, sono vittima di questa cattiveria insensata.

L’escalation è più o meno identica, con la progressione della trama basata su eventi negativi apparentemente scollegati tra loro che man mano minano la sanità mentale del protagonista.

Ad un certo punto, ossia quando la scrittura del film raggiunge i massimi livelli, tu, spettatore, ti accorgi di essere stato imbrogliato.

Joker, la recensione 7

Il film non è semplicistico. E non è indulgente.

Tutto quello a cui hai assistito, seguendo la prospettiva di Arthur, viene completamente ribaltato da una serie di colpi di scena che, sebbene parzialmente suggeriti precedentemente, risultano comunque distruttivi per il morale.

La malattia mentale di Arthur, che gli provoca attacchi di risate isteriche, non è semplicemente un pretesto per creare “il Joker nella vita vera”, ma un’ulteriore prova che il film aveva un messaggio da trasmettere: per quanto ci piacerebbe pensare altrimenti, di buoni e cattivi non ce ne sono.

Ci sono persone che hanno degli scopi e dei sogni per la cui realizzazione bisogna scontrarsi con gli scopi e sogni di altre persone.

Tu sarai pure il protagonista della tua storia, ma non di quella degli altri.

Questa è la realizzazione a cui Arthur non riesce a giungere.

Lui crede che ci sia una pluralità di individui nota come Società che si è coalizzata per impedirgli di realizzare i suoi sogni.

Ma in un mondo in cui esistono persone più brave di te che hanno i tuoi stessi obiettivi, hai due strade da percorrere: ti impegni e diventi più bravo di loro, capendo che non sei speciale, che nulla ti è dovuto e che bisogna competere con i migliori, oppure abbassi tutti allo stesso livello.

Il caos portato dal Joker di Phoenix non è frutto di un’entità incarnata da un singolo individuo straordinario come poteva essere il Joker di Heat Ledger, bensì la voce della frustrazione di una moltitudine di deboli, chi per disparità sociali chi per incompetenza, la cui frustrazione ha trovato un veicolo d’espressione nella maschera di un clown.

Joker è la storia di un fallito. Di tutti i falliti.

Di chi non capisce che l’aumento dell’IVA è propedeutico alla sanatoria del debito pubblico, ma non può fregargliene di meno, perché di soldi non ne ha e di figli a carico magari ne ha 3. Che l’eccesso di difesa e una mancanza di controllo sulle armi conduce al far west, ma intanto vive in una zona malfamata dove tutti hanno un coltello.

Joker, la recensione 8

Il film ci invita a non giustificare i Joker, ma a comprenderli, a ragionare seguendo diverse prospettive.

Una delle scene migliori del film vede uno splendido dialogo tra Murray Franklin (interpretato da Robert De Niro) e lo stesso Arthur.

Non entreremo nel dettaglio, ma sappiate che il confronto tra le prospettive del borghese (Murray) e del sottoproletario (Arthur) vede entrambi avere ragione, racchiudendo in sé la metafora dell’intero film.

La mancanza della ricerca di un punto d’incontro è la base delle disparità sociali.

Nessuno vuole vivere bene, quanto più avere ragione.

Murray non si cala nella prospettiva di Arthur, facendogli la morale.

Di contro, Arthur non può capire la prospettiva di Murray, che ritiene un privilegiato.

Il ricco che non vuole perdere la propria immagine di elitaria e il povero che non vuole perdere la possibilità di autocommiserarsi. Due facce della stessa medaglia.

E’ questo il vero male, il Joker: il rifiuto di qualsiasi compromesso in favore della glorificazione del disordine, percepito come l’unico mezzo per preservare il benessere mentale.

La società serve perché la nostra prospettiva, da sola, non basta.

Quindi si, cari soggettoni amici del “viviamo in una società”, siete stati presi per il culo e probabilmente neanche ve ne siete accorti.

Joker, la recensione 9

Questa non ti è uscita benissimo…

Se Joker si è rivelato un film di alte pretese dal punto di vista del messaggio, qualcosina non è stata pensata a dovere.

Innanzitutto, la sicurezza, i guardiani e in generale qualcuno che presidi i luoghi pubblici e privati sembra non esistere.

Arthur s’intrufola dappertutto, persino in luoghi esclusivi dove chi non ha un Rolex d’oro tempestato di diamanti verrebbe pestato a sangue e buttato nel pattume.

Qui si nota la tendenza alla commedia da parte di Todd Phillips, il quale ha pensato che sarebbe stato divertente vedere Arthur mascherarsi per entrare dove voleva.

La si potrebbe interpretare come un’ulteriore espressione del tono tragicomico del film. Ma bisognerebbe essere estremamente caritatevoli.

Altro elemento discutibile risiede nella forzatura di certi rapporti tra i personaggi.

Il famoso affare del cartello (chi ha visto il film sa) è forse il punto più basso dell’intera pellicola, perché troppo poco plausibile da qualsiasi punto di vista. Davvero non c’era nessuno che potesse testimoniare a favore di Arthur? E Arthur non avrebbe potuto riportare quantomeno i pezzi al legittimo proprietario?

Oppure, perché un bambino dovrebbe avvicinarsi ad una cancellata oltre cui si trova un inquietante individuo emaciato e probabilmente pericoloso, facendosi tra l’altro mettere le mani in faccia dal suddetto individuo?

Se la risposta è: “quel bambino è autistico”, si potrebbe tranquillamente accettare, specialmente per le prospettiva di crescita che lo aspettano (chi vuol capire, capisca).

Però abbiate almeno l’onestà intellettuale di dire che avete preso in giro dei film horror per molto meno.

Joker, la recensione 10

Ridi, pagliaccio!

Si potrebbero scrivere trattati sulla capacità attoriale di Joaquin Phoenix.

L’attore non è nuovo a condizioni di disagio, sia dentro che fuori dal set, avendo avuto un passato da alcolista e sopportato la tragica morte per overdose del fratello River.

Phoenix deve aver perso una quantità di peso impressionante per assumere la fisionomia scavata ai limiti dell’anoressia vista nel film, cosa che lo pone in contrasto ad un altro grande attore del franchise di Batman, Christian Bale, che di peso invece ne assunse un bel po’.

Un curioso parallelismo che va a conferire ulteriore potenza iconica al personaggio.

Le sue movenze spastiche, alternate a improvvise genuflessioni, incarnano perfettamente l’imprevedibilità e il costante senso d’inquietudine e pericolo trasmessi da uno psicopatico.

Così come gli arti e il busto, anche il volto vive in bilico tra una forzata plasticità da maschera di cera e il totale abbattimento della mandibola e degli zigomi.

Il suo modo di inarcare la schiena, il protrarre il collo in avanti e l’esposizione della dentatura durante le risate sono perfettamente associabili alla iena, animale simbolo del personaggio di Joker nei fumetti.

Una performance tragicomica per un film tragicomico.

Sugli altri personaggi c’è poco o niente da dire, anche perché il monopolio del minutaggio lo detiene, giustamente, il protagonista.

Eppure ce n’è uno che in pochi minuti ha offerto una performance strepitosa.

Parliamo del già citato Robert De Niro e del suo Murray.

De Niro ha dichiarato di essersi ispirato al personaggio di Rupert Pupkin, da lui interpretato nel film Re per una notte, diretto da quel Martin Scorsese che l’avessero dato direttamente a lui, ‘sto Joker, avrebbero risparmiato tempo.

Un comico, uno showman, un mattatore assoluto, queste le caratteristiche di un De Niro in un ruolo che gli calza a pennello.

Il carisma e l’esperienza dell’attore fanno da perfetto contraltare alla performance di Joaquin Phoenix, dando maggiore risalto al conflitto etico tra i personaggi da loro interpretati.

Visto che in questo film mancava un Batman, c’era bisogno di un’altra nemesi per il clown, e quale scelta migliore dell’attore protagonista del film a cui questo Joker è ispirato?

Un idea geniale, sia per la scrittura che per il casting.

Joker, la recensione 11

“Ciack!” fece il tuffatore con la videocamera

Alcune delle frecciatine di cui sopra vi avranno spinto a credere che Todd Phillips non sia stato all’altezza del compito affidatogli. Ma non è affatto vero.

Il regista è uno shooter, uno che predilige la scelta di inquadrature statiche ad effetto, al massimo facendo vibrare la camera di tanto in tanto, in modo tale che anche nel montaggio il ritmo della pellicola risulti bello cadenzato.

Col senno di poi, è stato un bene che il film sia stato affidato ad un cineasta con un tale senso del ritmo. E’ impossibile annoiarsi guardando Joker.

Il regista tiene attaccata la camera al protagonista, obbligando il pubblico a saggiarne tutte le caratteristiche in maniera morbosa, favorendo intelligentemente il grande inganno della sceneggiatura.

Così facendo, anche gli spazi aperti risultano tremendamente claustrofobici.

Il film gode di questo Phillips, quello che ruba la messa in scena e intere sequenze da Scorsese.

Il regista è riuscito a comunque a creare sequenze memorabili.

Restando vaghi, c’è una scena splatter particolarmente cruenta, la più bella del film, fatta interamente di campi medi e di vedo non vedo.

Oppure, si pensi alle sequenze della rivelazione di quel famoso inganno, realizzate con un montaggio paurosamente bello.

Ottima anche la fotografia, giocata sui toni di verde e sulla cupezza degli ambienti illuminati da qualche faro occasionale.

Il colore rosso risalta meravigliosamente, pur non cozzando con le luci soffuse che dominano gran parte delle scene.

Joker, la recensione 12

Buona questa. Tutti ridono.

Joker è un film importante. Storicamente, rappresenta per i cinecomics quello che Easy Rider ha rappresentato per il cinema hollywoodiano.

Come l’avvento della nuova Hollywood, rappresenta un tentativo di alzare l’asticella qualitativa dei prodotti tratti dai fumetti, ossia qualcosa che chiunque dovrebbe sostenere e apprezzare.

Il successo di un film del genere potrebbe portare persino la Disney a riconsiderare l’idea di creare prodotti meno beceri, o magari lo stesso pubblico ad interessarsi a film veri.

Joker ha dettato uno standard importante, sia per la DC che per la concorrenza, e bisogna vedere se tale standard verrà mantenuto. In caso contrario, ci troveremo di fronte ad un altro Logan.

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Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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