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Quando DC Comics si diede ai fumetti per ragazze

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Correva l’anno 2007; DC Comics, grazie a una serie di successi come il mega-evento Crisi Infinita e nuovi lanci come la testata Green Lantern di Geoff Johns e Superman/Batman di Jeph Loeb, aveva recuperato terreno dopo un inizio di millennio dominato da Marvel Comics, che all’epoca stava vivendo la sua rinascita grazie alla direzione di Bill Jemas e, soprattutto, Joe Quesada.

Alla fine del 2005, Marvel deteneva il 44,84% del mercato, mentre DC il 34,24%. Appena un anno dopo, a fine 2006, le percentuali erano divenute rispettivamente 42,33% e 36,95%, con un divario praticamente dimezzato dalla Distinta Concorrenza. Per quest’ultima sembrava dunque giunto il momento dell’agognato sorpasso, se non fosse che proprio nel 2007 la casa delle idee aveva lanciato un suo mega-evento campione di incassi, Civil War di Mark Millar e Steve McNiven, portando la forbice tra le due case editrici ad allargarsi nuovamente in maniera vertiginosa.

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DC Comics era all’epoca guidata dal presidente Paul Levitz e dalla sua vice, Karen Berger, già fondatrice e editor di Vertigo Comics, l’etichetta editoriale destinata a un pubblico adulto che sconvolse l’industria a fumetti degli anni ’90 con titoli come Sandman di Neil Gaiman, Preacher di Garth Ennis e Hellblazer.

Berger era dunque abituata a rischiare con proposte editoriali audaci e Levitz, che era stato suo mentore sin dagli anni ’70, si fidava ciecamente di lei e della sua capacità di intercettare nuove tipologie di pubblico.

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In quel periodo la vice-presidente si era accorta di due fenomeni estranei al mainstream del fumetto americano: il crescente successo dei graphic novel per ragazzi pubblicati all’interno del circuito delle librerie, capitanato dalla casa editrice Scholastic (Diario di una schiappa), e l’avvento dei manga, in particolare del genere shōjo. Entrambe le tipologie di fumetto avevano un qualcosa che né Marvel né DC erano (quasi) mai riusciti a ottenere: l’attenzione del pubblico femminile.

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Donne (turutù) in cerca di fumetti

Fino a quel momento il pubblico femminile era sempre stato una brutta gatta da pelare per le due major del fumetto americano. Nel corso degli anni vennero effettuati diversi tentativi (invero piuttosto maldestri) di accattivarsi le simpatie delle teenager, come la creazione della prima Ms. Marvel, ma alla fine si erano conclusi tutti in un nulla di fatto. La stessa Karen Berger – che pure era stata editor di serie al femminile come Amethyst e la Wonder Woman di George Perez – sconsigliò a Neil Gaiman di esordire in DC Comics con Black Orchid, una supereroina, asserendo che i personaggi femminili avessero meno successo delle controparti maschili. Ciò spinse lo scrittore a focalizzarsi su Sandman che, curiosamente, riscosse molto successo proprio presso le giovani donne.

Di acqua sotto i ponti ne era passata parecchia, e i tempi sembravano maturi per proporre finalmente una linea fatta su misura per le adolescenti che non comportasse necessariamente la presenza di tutine attillate. Motivo per cui Berger e il suo braccio destro Shelly Bond, che in futuro ne avrebbe preso il posto a capo della Vertigo, crearono l’etichetta Minx.

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Minx – Una DC Comics a misura di teenager… o no?

Annunciata nel novembre del 2006 e lanciata ufficialmente nell’estate del 2007, Minx puntava a un target di adolescenti di genere femminile con graphic novel destinati sia alle librerie sia alle fumetterie. Le storie sarebbero state decisamente più intimiste e tendenti al realismo dei classici fumetti di supereroi, ai quali contrapponevano anche uno stile grafico stilizzato e cartoonesco, a metà strada tra i manga (dai quali riprendevano anche l’uso del bianco e nero come colori unici) e i fumetti young adult in voga in quel periodo.

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I primi titoli, pubblicati durante l’estate del 2007, erano:

  • The Plain Janes di Cecil Castellucci e Jim Rugg
  • Re-Gifters di Mike Carey, Sonny Liew e Marc Hempel
  • Clubbing di Andi Watson e Josh Howard
  • Io non sono Lily di Derek Kirk Kim e Jesse Hamm
  • Confessions of a Blabbermouth di Mike Carey, Louise Carey e Aaron Alexovich
  • Kimmie66 di Aaron Alexovich

A questi si aggiunsero poi, nell’estate 2008, i seguenti:

  • Burnout di Rebecca Donner e Inaki Miranda
  • Water Baby di Sophie Campbell
  • The New York Four di Brian Wood e Ryan Kelly
  • Janes in Love (sequel di The Plain Janes) di Cecil Castellucci e Jim Rugg
  • Emiko Superstar di Mariko Tamaki e Steve Rolston
  • Token di Alisa Kwitney e Joelle Jones
minx dc comics

Tutto sembrava studiato a regola d’arte per fare in modo che il progetto ottenesse successo e segnasse il definitivo avvicinamento del pubblico femminile alle grandi major del fumetto.

Eppure, se da un lato la voglia di sperimentare era indubbia, visto il coinvolgimento di autori affatto mainstream come Cecil Castellucci, Brian Wood, Mariko Tamaki, Derek Kirk Kim e persino di scrittrici di prosa come Alisa Kwitney, dall’altro l’esperimento si rivelò un flop, chiudendo i battenti appena nel 2008, al secondo anno di pubblicazione.

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Delle 12 serie originariamente pubblicate, l’unica ad avere un seguito fu New York Four di Brian Wood e Ryan Kelly. Tale sequel, chiamato New York Five, è stato poi pubblicato sotto l’etichetta Vertigo.

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I fattori che avrebbero contribuito all’insuccesso del progetto Minx sono ancora poco chiari.

C’è chi dice che l’attaccamento al realismo abbia dato vita a storie dagli intrecci molto simili, che rendessero quindi poco stimolanti letture che andassero oltre il primo volume. Anche se, mettendo a paragone la trama, ad esempio, di Io sono Lily di Derek Kirk Kim e Jesse Hamm (una ragazza incontra tre versioni si se stessa provenienti dal passato e dal futuro) con quella di New York Four di Wood e Kelly (racconto corale che intreccia le vite di quattro ragazze all’interno del microcosmo di New York City) risulta difficile inquadrare questo presunto appiattimento, considerando anche un approccio grafico – essenziale per il primo, molto più ricco di dettagli per il secondo – che presenta ben poche similitudini.

Altri imputano l’insuccesso alla paradossale scarsità di autrici all’interno dell’etichetta (solo 7 serie su 12 aveva al suo interno almeno una presenza femminile nel team artistico), ma questo fattore non sembra aver influito sul successo di manga come Komi Can’t Communicate o My Dress-Up Darling presso il pubblico femminile. Assai più plausibile è invece la critica alla campagna marketing di DC Comics, la quale avrebbe fornito un’immagine pretestuosa della collana, risultata repulsiva più che attrattiva agli occhi del target di riferimento. Non a caso, i volumi di Minx vendettero maggiormente in fumetteria che in libreria, segno della mancata capacità di intercettare proprio il mercato delle lettrici.

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Quel che resta di Minx è il miraggio di un progetto che avrebbe meritato maggiore accoratezza nella promozione.

Oggi consideriamo attuali – se non addirittura sovraesposti – temi come le relazioni abusive, la ricerca di un proprio posto in un mondo sempre più grande e spaventoso, il sempre più complicato rapporto con l’altro. Ma nel 2007 erano a dir poco avanguardistici, ed erano tutti presenti all’interno dei volumi pubblicati dall’etichetta.

Il pubblico che Minx ha cercato di intercettare esisteva ed esiste ancora oggi, basta guardare al successo che la stessa DC Comics ha ottenuto in anni recenti proprio con una linea di graphic novel young adult per librerie con protagonisti quegli stessi supereroi il cui macismo e oggettivizzazione erano considerati repellenti per un pubblico femminile.

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Quella linea si chiama DC Graphic Novels for Young Adults (ex-DC Ink) ed è stata fondata nel 2020 da Michele R. Wells, che per un po’ di tempo ha ricoperto la carica di vice-presidente di DC Comics, la stessa di Karen Berger all’epoca della fondazione di Minx.

Tra le autrici di questa linea figura anche l’ex-Minx Mariko Tamaki, oltre a scrittrici di prosa YA come Kami Garcia (Beautiful Creatures) e Leigh Bardugo (Tenebre e ossa), segno che certe idee hanno bisogno di tempo per dimostrare il proprio valore.

In ogni caso, se un giorno trovaste uno dei pochissimi volumi Minx pubblicati in Italia (probabilmente NY Four/Five o Io non sono Lily) su una bancarella a qualche fiera, varrebbe sicuramente quei due spicci che eventualmente investireste nell’acquisto.

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Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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