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The Umbrella Academy 3: Hotel Oblivion, la recensione

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the umbrella academy hotel oblivion

The Umbrella Academy 3: Hotel Oblivion

7.8

SCENEGGIATURA

7.7/10

DISEGNI

7.8/10

CURA EDITORIALE

7.8/10

Pros

  • Il ritorno a una narrazione coerente
  • L'ottima gestione del ritmo
  • Finalmente qualche risposta alle domande poste nei primissimi numeri
  • Nuovi interrogativi che si aggiungono

Cons

  • Poche interazioni tra i protagonisti

The Umbrella Academy: Hotel Oblivion è il terzo volume della serie a fumetti creata da Gerard Way e Gabriel Bá per Dark Horse Comics (edita in Italia da Bao Publishing) che ha ispirato l’omonimo adattamento live action prodotto da Netflix. Dopo quasi dieci anni dalla pubblicazione di Dallas, gli autori riprendono finalmente in mano le trame lasciate in sospeso in virtù dell’enorme successo della serie in streaming. Avranno fatto un buon lavoro, o si saranno limitati a un onesto compitino?

Il ritorno alla ragione in The Umbrella Academy

Hotel Oblivion comincia con i membri dell’Academy separati in seguito agli eventi tragici del finale di Dallas. Ognuno dei membri persegue un proprio obiettivo, finché alcuni di questi non si intrecciano andando a formare delle vere e proprie coppie: Allison-Numero 5; Diego-Luther; Vanya-Madre. A Klaus, come al solito, tocca il ruolo del solitario esoterico che alla fine salva effettivamente la giornata a tutti.

Gerard Way torna a scrivere una trama compatta e interessante, alternando sapientemente i vari binari narrativi in modo tale da destare sempre l’attenzione del lettore con calibrati colpi di scena tra gli uni e gli altri. Lo sceneggiatore non dimentica di attingere a piene mani dal suo bagaglio nerd, attingendo questa volta all’immaginario cyberpunk e pan-dimensionale dei fumetti anni ’90.
Gabriel Bá ha così modo di sbizzarrirsi più e meglio del volumi precedenti, intrecciando suggestioni particellari alla Jack Kirby di 2001: Odissea nello spazio e ambienti bui delimitati da neri nettissimi alla Mike Mignola. La componente ragionata e mistery di La suite dell’apocalisse e il ritmo anarco-punk di Dallas trovano in The Umbrella Academy: Hotel Oblivion il definitivo trait d’union.

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L’intero fulcro della vicenda torna a essere il misterioso padre putativo del gruppo, Sir Reginald Hargreeves, del quale veniamo a scoprire ulteriori segreti che minano ulteriormente la sua immagine agli occhi del lettore e dei membri dell’Academy.

A ogni segreto scoperto ne sopraggiungono altri due su cui indagare, in particolare il motivo del trattamento riservato a Vanya, tornata a essere un personaggio attivo e interessante all’interno del cast, e l’esistenza di altri superumani nati in seguito alla gomitata atomica.

Gerard Way si è impegnato per dare al lettore di The Umbrella Academy, che per dieci anni ha atteso lo sviluppo della serie Dark Horse Comics, tutto quello che avrebbe potuto desiderare. La trama orizzontale ha finalmente trovato una sua direzione, il gruppo è di nuovo unito e pronto all’azione e il divertimento misto alla pesante inquietudine gotica tipica dell’estetica di Way non è stato accantonato, a differenza dei personaggi.

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Se infatti si può imputare una pecca a The Umbrella Academy: Hotel Oblivion, è proprio l’aver parzialmente trascurato quella che era la componente di maggior interesse dei primi volumi: l’ottima caratterizzazione dei suoi protagonisti.
Sebbene tre dei quattro binari narrativi abbiano per protagonisti una coppia di personaggi, questi non interagiscono mai tra loro in maniera significativa.

Eppure gli assortimenti dei sottogruppi facevano presupporre tutt’altro. Allison è l’unica ad avere un significativo e toccante retroscena sulla sua vita familiare, riguardante gli errori di una madre che portano alla separazione con i figli e la conseguente disperazione.
Ma lei e Numero 5 avrebbero potuto benissimo discutere della rivelazione avvenuta nel finale di Dallas che li coinvolgeva direttamente, e invece neanche una sillaba a riguardo.

Luther e Diego, dalle cui litigate dipendeva il destino del gruppo stesso, sembrano ora andare d’amore d’accordo, salvo qualche accenno alle loro differenze caratteriali che non trovano quasi mai riscontro effettivo nelle loro azioni. Anche loro due godono di un’interessante (almeno visivamente) interazione emotiva, ma alla luce degli effetti sulla trama sembra più che altro una tirata per i capelli piuttosto melensa. Klaus segue come nei precedenti volumi il suo percorso da “colui che per amore della famiglia ha deciso di sobbarcarsi il peso della salvezza dell’umanità”, ma nulla di nuovo.

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Sembra quasi che, per la smania di ridestare l’interesse del lettore, Gerard Way abbia commesso l’errore opposto a quello commesso con Dallas: alla ricerca di un’assoluta coerenza per dimostrare le sue effettive (e indiscutibili) abilità di narratore, è finito per sacrificare in parte la spontaneità e la crudezza delle interazioni puramente umane che avevano segnato il successo di The Umbrella Academy.

Nonostante la maggior parte dei protagonisti non brilli per caratterizzazione, i personaggi secondari si rivelano invece molto azzeccati.
Dall’Illusionista assassino, qui nel ruolo di padre che cerca di strappare il figlio dalle angherie di una moglie abusiva, a Perseus, villain principale del volume incarnante il concetto di legacy fumettistica – che negli anni ’90 spopolava tra successori illustri di noti supereroi come Ben Reilly, Wally West e Kyle Rayner – in quanto mosso dall’ansia di essere all’altezza del padre. Loro due danno effettivamente smalto alla componente emotiva di questo terzo capitolo di The Umbrella Academy.

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The Umbrella Academy: Hotel Oblivion resta un ottimo ritorno del supergruppo complessato di Gerard Way e Gabriel Bá, i quali ne hanno impreziosito alcune caratteristiche peculiari (l’estetica e l’intreccio) e limato altre (il manierismo delle scene d’azione), pur tralasciando qualcosa nel processo (le interazioni tra i personaggi). Le aspettative per i volumi che verranno, anche e soprattutto in virtù del tesissimo finale di Hotel Oblivion, sono ragionevolmente alte.

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Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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