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L,D&R – Suits, recensione: I redneck non sono buoni protagonisti

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L,D&R - Suits, recensione: I redneck non sono buoni protagonisti 1

L,D&R: Suits

6.1

Comparto Tecnico

6.5/10

Cast

5.5/10

Scrittura

6.0/10

Regia

5.5/10

Direzione artistica

7.0/10

Pros

  • Buone sequenze d'azione
  • Ogni tanto qualche battuta è simpatica

Cons

  • Design poco originali
  • Scrittura estremamente minimale
  • Personaggi anonimi
  • Storia ancora più anonima
  • Ne carne ne pesce

Alla quarta posizione nella lista ufficiale di Love, Death & Robot troviamo Suits (Tute Meccanizzate) di Blur Studio, diretto da Franck Balson, al suo esordio come regista, su un adattamento del solito Philip Gelatt di un racconto breve di Steven Lewis.

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Trama

Suits si ambienta in quella che sembra una fattoria del midwest americano dove Hank, un contadino redneck altamente stereotipato, e sua moglie notano che nel recinto della loro proprietà si sta aprendo un varco.

Il corpulento contadino monta un esoscheletro che ricorda un po’ quelli di Avatar di James Cameron e va a controllare trovandosi a confrontarsi con uno sciame di alieni affamati molto ispirati ad Alien che vogliono mangiargli il bestiame… per cominciare.

Il resto della pellicola è occupata da un impari combattimento tra i tre redneck armati dei loro esoscheletri fatti in casa contro lo sciame di migliaia di insetti spaziali carnivori pronti a far loro la pelle, in uno scontro di resistenza in cui i tre eroi dovranno guadagnare tempo mentre le loro famiglie si mettono al sicuro.

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Scrittura e Regia

Come complessità di scrittura e regia degli eventi siamo distanti anni luce dalle ricercate immagini di Sonnie’s Edge.
Per questa pellicola di puro intrattenimento che oscilla senza troppa convinzione tra il drammatico e il tamarro sopra le righe senza riuscire benissimo in nessuno dei due, Balson predilige una serie di scelte di inquadrature semplici, votate più a mostrare l’azione piuttosto che a veicolare messaggi; anche perché di messaggi non ce ne sono.

Le uniche finezze registiche sono dei non molto lunghi piani sequenza atti a mostrare poco a poco l’esoscheletro e il campo di battaglia dopo il combattimento. Se la sequenza finale poi è un omaggio spudorato al primo Men in Black.

La scrittura è estremamente minimale, più adatta a una sequenza d’apertura di un videogioco che a un corto animato indipendente: viene scovato un problema, il protagonista parte per risolverlo, altri si uniscono a lui e si continua ad affrontare mostri via via più pericolosi fino alla risoluzione finale.

Il tono della vicenda vorrebbe essere epico, ma non ci riesce.

I design vagamente caricaturali dei personaggi, raro esempio di stereotipizzazione ulteriore di una classe sociale già ampiamente stereotipizzata, non permette di prenderli veramente sul serio e le frasi da duro in situazione disperata da film d’azione standard di stampo marcatamente hollywoodiano che Hank spara durante la lotta non aiutano di certo ad abbassare il tasso di stranezza e di sopra le righe dell’intero film.

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Tecnica

Abbandonato il fotorealismo del precedente corto di Blur, Suits ricorre a un caricaturale e cartoonesco approccio in Cell Shading dando al corto un aspetto non tanto da fumetto quanto da cutscene di un videogioco per console portatile.

Le animazioni sono tutto sommato godibili benché lontane dai bellissimi risultati già visti con i corti precedenti.

Questo non sarebbe un problema visto quel che si vuole raccontare, ma considerando da dove veniamo con gli episodi della serie non è illecito chiedere qualcosa di più.

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In conclusione

Suits non è necessariamente un brutto cortometraggio: intrattiene con un combattimento spettacolare e dei colpi di scena abbastanza interessanti, ma fallisce miseramente in tutto il resto.

Il comparto tecnico non è nulla di memorabile, la trama è fin troppo semplice e dipendente dall’azione frenetica, il design dei personaggi principali così come dei loro esoscheletri non sono nulla di nuovo per l’immaginario collettivo e le emozioni che lascia sono troppo effimere per restare impresse. In parole povere, Suits non lascia nulla allo spettatore una volta finito.

Di Suits inoltre non si capisce se vuole essere un corto semplicemente ignorante e sopra le righe oppure prendersi sul serio. Da una parte i personaggi e le situazioni (contesto a parte) sono troppo stereotipate per far pensare a qualcosa di serio, dall’altra le scene dal sentore drammatico sono trattate in maniere troppo seria per essere pensate come parodie o prese in giro di quelle stesse scene stereotipate.

In sintesi, un cortometraggio tra i più dimenticabili tra le fila di Love, Death & Robot. Magari ne trarranno un buon videogioco.

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Ciao gente! Sono Riccardo Magliano, classe 1995, originario di Pontedera (PI), ma di stanza a Bologna per motivi di studio. Sono laureato in triennale al DAMS al momento studio per diventare sceneggiatore cinematografico. Sono grande appassionato e estimatore di prodotti d'animazione, dalle serie, ai lungometraggi, ai corti, l'importante é che raccontino qualcosa (cosa non sempre indispensabile perché tra i miei film preferiti c'é Fantasia).
Qui su Spacenerd mi occuperò di recensioni e approfondimenti su tutto ciò che concerne l'animazione, specie quella occidentale, più e più volte colpevolmente trascurata dalla massa di fanatici di anime.
Grazie a tutti per l'attenzione e buon divertimento

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