American Horror Story 1984 (o Camp Redwood), ci porta al cospetto di una nona stagione con determinate novità rispetto a quelle passate: assistiamo infatti ad un clamoroso restyling, denotato in particolar modo dal cast (reduce dalla presenza di Sarah Paulson e Evan Peters, volti presenti finora in tutte le stagioni della serie ma assenti del tutto in quest’ultima) e dallo stile generale che la serie stessa è finita con l’assumere (tutto è a tema anni 80, a partire dalla concezione stilistica, alle ambientazioni, la colonna sonora e persino la sigla).
Ma andiamo a vedere insieme più nel dettaglio quali sono effettivamente i punti di forza e i punti deboli di American Horror Story 1984.
Attenzione la seguente recensione può contenere spoiler!
L’assenza dei volti storici di Sarah Paulson e Evan Peters hanno un determinato peso nel corso di questa stagione di American Horror Story: si sente infatti la loro mancanza. In compenso, proprio grazie alla loro dipartita, possiamo godere di un’ottima Emma Roberts che ha saputo sfruttare pienamente l’accentramento del proprio ruolo all’interno della serie, accaparrandosi il ruolo della vera protagonista (interpreta, infatti, Brooke Thompson) e prendendosi meritatamente la scena.
Ritroviamo anche: Billie Lourd che, come al solito, convince nel suo ruolo (interpreta Montana Duke), Cody Fern che ritorna dopo l’ottima scorsa stagione e che ora interpreta Xavier Plympton, Leslie Grossman (interpreta Margaret Booth) e John Carrol Lynch (interpreta Mr. Jingles alias Benjamin Richter).
Tra le new entry vediamo invece: Angelica Ross che interpreta l’infermiera Rita (e che in verità si chiama Donna Chambers) , Zach Villa nel ruolo del Night Stalker (che in realtà si chiama Richard Ramirez ed è ispirato al serial killer realmente esistito), Matthew Morrison nel ruolo di Trevor Kirchner, Deron Horton nel ruolo di Ray Powell e Gus Kenworthy in quello di Chett Clancy.
Le new entry risultano abbastanza convincenti nel corso di tutta la stagione (in particolare Ross e Villa con i relativi personaggi che si rivelano abbastanza sorprendenti), anche se di certo non riescono a colmare del tutto la mancanza della Paulson e di Peters. Tutto sommato, considerando le mancanze e le novità, il cast non delude.
Stavolta la trama, purtroppo, non è proprio del tutto convincente per vari motivi, a partire dal fatto che impiega veramente troppo tempo ad ingranare la marcia e finendo, quindi, col risultare lenta, noiosa e incomprensibile per tutta la durata delle prime 3/4 puntate.
Si comincia a capire qualcosa solo una volta arrivati a metà stagione e, escludendo, qualche colpo di scena valido e qualche plot-twist, il tutto risulta abbastanza prevedibile o, in certi casi, addirittura nonsense. Infatti, certi personaggi sembrano a volte guidati (da non si sa cosa) a fare delle scelte totalmente irrazionali dal punto di vista logico mentre altri, invece, seguono un percorso preciso, come un radicale credo religioso (ad esempio nel caso del Night Stalker), oppure vengono guidati dai sentimenti e dalle proprie personalità maturate nel corso del tempo (come ad esempio Brooke che da ragazzina ignara, passa ad essere determinata e convinta e decide quindi anche di far ritorno a Camp Redwood).
Anche la longevità purtroppo stavolta non gioca a favore della trama. Ci troviamo, infatti, di fronte alla stagione più corta di tutta la serie (solo 9 puntate), e, considerando l’inizio deludente, si potevano approfondire maggiormente certi aspetti della trama proseguendo man mano verso il finale, senza affrettare il tutto in maniera leggermente troppo precipitosa.
Possiamo quindi dire che questa stagione non è un capolavoro dal punto di vista narrativo, ma che, nel suo complesso, non è comunque male e porta sugli schermi una storia godibile.
A seguito del restyling, possiamo dire che gli anni 80 hanno praticamente influenzato, in modo totale, ogni singolo aspetto della serie, partendo già solamente dalla sigla stessa, la quale è stata interamente realizzata utilizzando un filtro che simula l’opacità tipica delle trasmissioni dell’epoca.
A seguito anche le ambientazioni sono state ricreate in modo molto fedele, accompagnate da un reparto costumi che riesce presentare in modo perfetto i look di moda in quel periodo, e, ultima ma non per questo meno importante, la colonna sonora, anch’essa influenzata del tutto dai brani che andavano in voga in quel decennio.
Per quel che riguarda la trama stessa, notiamo molto un forte richiamo a Venerdì 13 (film uscito proprio negli anni 80) e, difatti, la serie punta proprio a proporsi come una sorta di slasher horror, con una marea di cadaveri, scene gore e jumpscare. Il tutto finisce col risultare apprezzabile (soprattutto per i fan nostalgici del genere) ma un po’ troppo forzato, deludendo così gli amanti del horror classico e non trovando un valido equilibrio.
Una cosa del tutto inaspettata di questa stagione di American Horror Story, ma che risulta comunque gradevole, è proprio il finale stesso. Ci troviamo infatti ad avere, per una volta, un lieto fine, nel quale quasi nessuno dei “buoni” finisce col fare una fine dolorosa e tremenda ma in cui codesta sorte spetta invece ai villain (antagonisti) che, con tutte le loro malefatte, si ritrovano a subire un terribile trattamento ampiamente meritato.
Assistiamo, infine, alla redenzione di Mr. Jingles, che decide di sacrificare se stesso per poter fermare il Night Stalker e proteggere quindi la vita di suo figlio, che non ha nessuna colpa per le crudeli azioni compiute dal proprio padre tempo addietro.
Il Night Stalker e Margaret fanno, invece, una brutta fine, e cadono proprio nelle mani delle vittime che tempo prima erano state uccise (a causa loro) all’interno dei confini del Camp Redwood. Lo stesso non si può dire per Brooke e Donna (la finta infermiera Rita) che ,dopo essere scampate alla prima visita, decidono entrambe di far ritorno a Camp Redwood ed uscendone, inaspettatamente, vive e vegete.
Il punto più “toccante”, però, è quello nel quale vediamo il figlio di Mr. Jingles che, alla ricerca del padre, arriva al campo e che, non solo viene protetto da tutte le altre vittime intrappolate ormai in quel luogo per l’eternità (denotando che alla fine tutti quanti hanno accettato in cuor loro la redenzione di Mr. Jingles), ma che riesce anche a vedere il padre per la prima e ultima volta.
Un finale quindi che risulta lieto da, praticamente, quasi tutti i punti di vista.
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