Una cosa molto importante di cui bisogna tenere conto, secondo me, quando si va a scegliere cosa giocare, è il cosiddetto “mood”, ovvero il come ci sentiamo, che è influenzato dalla nostra situazione privata/lavorativa o “semplicemente” mentale, per altri innumerevoli motivi.
In questo periodo (circa gli ultimi quattro mesi) mi son preso bene con Legends of Runeterra, il gioco di carte del mondo di League of Legends; affiancato a Ai: The Somnium Files, visual novel pazzissima di Kotaro Uchikoshi (a cui abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda, qualche mese fa).
“Bene, che cosa c’entra?” – ti starai chiedendo – e invece c’entra un sacco, ora ci arrivo: per farla semplice, insomma, mi mancava “menare le mani“.
Sfogliando la mia immaginaria e infinita lista del backlog, mi son ricordato di una serie perfetta allo scopo, anzi due: Bayonetta e Devil May Cry.
Tra le due serie, alla fine, la scelta è caduta su Devil May Cry: era un periodo in cui avevo parecchia nostalgia di Prince of Persia, la mia serie preferita di sempre e quello che si avvicinava lontanamente di più era proprio lui.
E quindi eccoci: compro la tonante Devil May Cry HD Collection e mi butto in questa nuova avventura che, per quanto “nuova” per me, è stata in grado di ricordarmi alcune cose “vecchie”.
Benvenuti al primo numero di “#POSTGAME: Parlando di videogiochi fuori tempo massimo”: Devil May Cry, 20 anni dopo!
NOTA A MARGINE: Poi in realtà ho comprato pure Bayonetta, coi saldi invernali di Steam ho trovato il bundle con Vanquish ad uno sputo quindi si ho preso anche lui, giusto per non farsi mancare nulla.
Avviato il gioco in realtà vengo accolto da una sottospecie di launcher, che dal come si presenta blando e rozzo fa capire subito quanta cura sia stata applicata alla remastered (cioè molto poca, ndr.).
Però oh, subito dopo questo colpo d’occhio sentì un tamarissimo e caratteristico “DEVIL MAY CRY, EICDI COLLECTION” e tutti i problemi passano in secondo piano (occhio a questo grassetto).
E, così, mi butto a capofitto sul primo.
Inizia subito con un raccontone cattivissimo su un certo demone Sparda che ha sigillato gli inferi perché ci teneva alla razza umana, sostanzialmente. Figo, mi piace, hai la mia attenzione.
Subito dopo una tipa altrettanto incazzatissima sfonda letteralmente con una moto l’entrata dell’agenzia Devil May Cry, che per farvela breve è una cosa un po’ tipo i Ghostbusters ma più tamarra, cattiva e metal.
La signora in giallo nero dice di chiamarsi Trish e che un certo cattivone di nome Mundus sta per risvegliarsi e vuole che il nostro caro protagonista debba fermarlo: a tale scopo il nostro cacciatore di demoni scazzatissimo, figlio di quel figo di Sparda che dicevamo prima, si reca sull’isola del tempo sull’isola di Paradis su un’isola a caso in cui, sempre a caso, si trova anche un simpatico portale per gli inferi.
Volevo scrivere una didascalia simpatica ma… meraviglioso. Sta lanciando letteralmente la moto con cui ha sfasciato l’entrata dell’agenzia, addosso a Dante. Fantastico.
Insomma, adesso non voglio raccontarvi tutta la trama per filo e per segno anche perché quella del primo è molto tamarra quanto sempliciotta e praticamente ve l’ho detta tutta però volevo darvi un po’ di contesto, e farvi immedesimare nel tipo di avventura che ho vissuto.
Inoltre, quello che vi ho appena descritto era necessaria anche a far comprendere per bene lo spirito del gioco, perlomeno del primo: una storia semplice, la classica storia del bene contro il male, quindi cos’ha di speciale questa serie e gioco storici?
Il carattere.
L’aspetto che contraddistingue Devil May Cry è assolutamente e maledettamente il carattere.
Dante è un protagonista carismatico, simpatico, potente, ma allo stesso modo non perfetto e, nonostante questo soprattutto si noti nel terzo gioco della serie, fin dalla sua prima apparizione ne abbiamo comunque qualche esempio.
Dante è per metà umano, come noi, con la (s)fortuna di essere anche mezzo demone: è un personaggio che combatte continuamente demoni essendolo lui stesso per metà, e questo ha fin TROPPE chiavi di lettura, credetemi.
Olé!
Ma facciamo un passo indietro.
Penso sia utile, nonché il momento, di spiegarvi il processo mentale che ha generato questo episodio della rubrica e, di conseguenza, la “forma definitiva” di #POSTGAME.
Come dicevo all’inizio, ho deciso di giocare Devil May Cry perché sì, volevo menare le mani, certo.
Ma, almeno nel mio caso, le mie “voglie” di solito hanno una motivazione alla base, un qualche cosa di importante le scaturisce. (sì, sono una persona noiosamente pragmatica solitamente)
Per farla breve, sapendo cosa sto giocando potete capire il mio stato d’animo attuale, il mio livello di stress e in generale il periodo che sto passando: non so se questo valga per tutti, anzi, vi dirò di più: anche io stesso ho capito questa cosa da poco.
Nell’ultimo annetto e mezzo, più o meno, ho notato che saltavo da un titolo all’altro (finalmente) in modo spontaneo e soprattutto ho riacquistato il piacere di giocare che da molto non provavo, non così nitidamente.
Immagine a scopo puramente illustrativo di me che riacquisisco il “piacere di giocare”.
Devil May Cry, in questo senso, è stata la rivelazione: giocando la trilogia iniziale, ho capito di riuscire a godermelo proprio perché mi trovavo in un determinato e cosiddetto mood.
Una cosa che si nota subito è che nel mondo di Devil May Cry tutto può succedere, dalle cose più folli alle più banali: a differenza di altre opere, soprattutto cinematografiche come i prodotti di Michael Bay o i più recenti Fast & Furious, qui non stona per nulla perché costruisce il tutto su queste situazioni fuori dal normale, rendendole contestualizzate e credibili nel contesto (appunto) in cui vengono rappresentate.
Insomma, ciò per dirvi che in questo caso sono andate ad abbracciarsi queste due cose: quello che voleva trasmettere l’opera e ciò che io andavo cercando.
Sempre con mio stupore, tra l’altro, ho notato un aspetto in comune tra me e Dante: entrambi abbiamo avuto questa voglia e necessità di ricercare la nostra individualità e soprattutto amiamo la pizza.
“E che significa adesso?”
Semplicemente il suo essere figlio di Sparda viene prima del suo essere Dante e lui, che assolutamente è irritato da ciò, cerca di distaccarsi totalmente dalla sua origine per questo motivo (e non solo, ovviamente), nonostante comunque dimostri più volte di avere un bel ricordo di entrambi i genitori.
“E che centri tu?”
Ironia della sorte, sono sempre stato un ragazzo che a sua volta è sempre voluto essere il più indipendente possibile, a cui piace farsi carico di tutto perché preferisce avere in mano il proprio destino (e probabilmente anche per un po’ di masochismo, ndr.), senza contare che ho iniziato a giocare Devil May Cry poco dopo essermi trasferito ed esser andato a convivere con la mia ragazza, quindi fresco fresco di “indipendenza” e “distacco” e di conseguenza ancora più vicino a questi temi.
Tra l’altro, Devil May Cry basa moltissimo della sua narrativa sulla famiglia e le relazioni tra i vari componenti: a partire dalle vicende che coinvolgono la stirpe di Sparda, anche le backstory di Trish e di Lady parlano di situazioni familiari complesse (e se ci aggiungiamo anche l’anime, pure Patty Lowell non scherza).
Per esempio è interessante il rapporto tra i giovani Dante e Vergil che viene proposto in Devil May Cry 3, dove da una parte vediamo un Dante abbastanza smarrito, che vuole starsene in disparte e distaccato dal passato, mentre dall’altra un Vergil che non ha mai superato la morte della madre e che cerca il potere demoniaco per vendicarsi.
A corredo poi abbiamo Trish e Lady che sono praticamente due lati della stessa medaglia: Trish è un demone completo, con le fattezze della madre di Dante che però era un essere umano, mentre Lady è totalmente umana.
Entrambe però, nonostante così diverse, hanno avuto praticamente problemi familiari molto simili.
In ogni caso, penso si sia capito quanto dietro alle mazzate di Devil May Cry, Dante, Vergil e compagnia ci sia dell’altro, su cui vale la pena riflettere.
Article featuring people with family issues from the Devil May Cry™ Series.
“Non c’è dubbio che l’originale Devil May Cry abbia fissato per sempre figure come Dante e Trish; concetti come le juggle combo, il Devil Trigger e lo Stylish Action”
~Matt Walker, Producer di Devil May Cry 3 e 5
Se ci riflettiamo un secondo, si realizza facilmente quanto cavolo sia stata cruciale la nascita della serie, anche nel mercato dei giochi action.
Per esempio sono abbastanza lampanti le ispirazioni in God of War e Darksiders, alcuni dei primi action occidentali ad avere un focus sulla spettacolarità e freneticità del combattimenti, senza contare la presenza delle juggle combo citate prima, “inventate” proprio da Devil May Cry, perlomeno in questo genere di videogames.
Rimanendo sempre in tema di titoli/studi occidentali, possiamo citare anche Ninja Theory, che si è dedicata a due titoli come Heavenly Sword ed Enslaved molto simili alla visione occidentale coniata da God of War, per certi versi però ancora più fedeli a quella originale, al punto che sono stati incaricati loro stessi di ideare un reboot di Devil May Cry, il famosissimo quanto controverso DmC.
Quanto è bellino Enslaved?
Tornando al Giappone paradossalmente è stato proprio lo stesso Hideki Kamiya il maggior promotore, dato che dopo il primo titolo si è dedicato ad altri lavori che però ne contenevano lo spirito: oltre l’ovvio Bayonetta, abbiamo il più recente Astral Chain indirettamente, che a sua volta prende ispirazione da Chaos Legion, altro titolo che basava alcuni aspetti proprio sulle avventure del cacciatore di demoni per eccellenza.
Tutti giochi che però, alla fine, hanno trovato comunque la propria identità, il proprio carattere.
Wink.
Ma esattamente perché ha funzionato come formula? Come mai è stata ripresa più volte come avete potuto leggere?
Devil May Cry e tutti i titoli citati prima, chi più chi meno, hanno come obiettivo il far divertire il giocatore; farlo fallire magari qualche volta, certo, ma alla fine prevedono sempre che il giocatore avrà la meglio.
Ma è normale, nessun creatore vorrebbe mai che i giocatori rimangano bloccati per sempre: tutti i titoli citati danno una sfida, nemmeno così difficile da superare a difficoltà standard, semplicemente per permetterti di impersonare l’eroe del caso, sentire i tuoi miglioramenti e darti quel senso di soddisfazione che provi migliorando e abbattendo nemici sempre più forti, cercando però al contempo di rendere la cosa il meno tediosa possibile, aiutandoti come possono a migliorare e capire come superare la sfida.
Questo è sicuramente il messaggio comune di questo tipo di giochi, che in questo fattore trovano il più grande distacco per esempio dai soulslike, che invece vogliono tu completi le loro sfide con il minimo aiuto, a volte scadendo nella tediosità ma regalando un grado di sfida ovviamente maggiore.
Hi soulsborn players.
Ironico, però, quanto Dante (ma anche e soprattutto Kratos di God of War) incarnino bene questo concetto: creature per metà mistiche, che per quanto facciano cose fuori dal normale, ci vogliono ricordare quanto comunque per metà sono come noi e che non sono totalmente imbattibili, che anche se alla fine hanno la meglio devono comunque impegnarsi e migliorare per farlo.
Ed ecco la conclusione di questo primo #POSTGAME… wow.
Ci ho messo un (bel) po’ più di tempo del previsto per svariati imprevisti ma ehy, eccoci qui, finalmente.
Spero che il pezzo vi sia piaciuto e che vi abbia lasciato qualcosa in più, che sia una visione diversa di questo genere di giochi, curiosità nel voler provare Devil May Cry che, come avete potuto notare, è un pezzo davvero importante nella storia dei videogiochi, ben più di quanto si pensi.
Con questo vi saluto e vi ricordo di seguirci su tutti i nostri social e soprattutto vi invito ad attendere il secondo numero di #POSTGAME che ad oggi non è nemmeno stato definito, quindi… bomba, ne avete da aspettare.
E come sarò solito ricordarvi ogni volta: al più tardi si parla ancora di un titolo, più vuol dire che è importante, per un motivo o per un altro.
Alla prossima!
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