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Travis Strikes Again, la recensione: il killer otaku sta tornando

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Travis Strikes Again, la recensione: il killer otaku sta tornando 1

Travis Strikes Again: No More Heroes

7.5

GAMEPLAY E LONGEVITA'

5.0/10

COMPARTO GRAFICO E SONORO

8.5/10

COERENZA E CURA DEL DETTAGLIO

9.0/10

Pros

  • Stupendo tributo alla vecchia scuola
  • Trama e dialoghi ben scritti
  • Fuori dagli schemi

Cons

  • Gameplay blando e ripetitivo
  • Carenza di varietà
  • Citazioni potenzialmente poco fruibili

Con Travis Strikes Again, dopo nove anni dall’ultimo capitolo, Travis Touchdown è finalmente ritornato. Ma di chi stiamo parlando, precisamente? Se non vi sta suonando nessun campanello, purtroppo è normale: la serie di cui è protagonista, No More Heroes, ha debuttato in esclusiva per Wii ben 11 anni fa. Nel 2010 è approdato su PlayStation 3, mentre sui lidi Nintendo sbarcava il sequel tuttora rimasto esclusiva. No More Heroes è una serie hack-and-slash molto peculiare, in quanto caratterizzata da uno stile grafico in cell-shading, violenza estrema dalle venature tarantiniane, citazionismo e volgarità senza troppi complimenti. In altri termini è un titolo molto autoriale, che trasuda stile nipponico (e sangue) da tutti i porti; non c’è dunque da stupirsi se non ha riscosso un particolare successo commerciale.

In breve e senza spoiler, la trama dei precedenti capitoli la seguente: Travis Touchdown è un giovane otaku che, dopo essersi aggiudicato una spada laser funzionante all’asta, è rimasto senza un quattrino e decide di diventare un assassino per sbarcare il lunario. Ritrovandosi invischiato in un’associazione di assassini, ma non si perde d’animo e comincia a prenderci gusto con quel suo nuovo lavoro: decide così di scalare la classifica per diventare l’assassino più temuto in assoluto. Nel secondo capitolo pure.

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Un grandioso tributo alla vecchia scuola

La trama riprende sette anni dopo la conclusione del secondo capitolo: Bad Man, il padre di una degli assassini uccisi da Travis nel primo capitolo, viene assoldato da una nuova misteriosa organizzazione per vendicare la morte della figlia.

Benché l’incipit possa scoraggiare chi non ha giocato ai precedenti capitoli, la fine del prologo porta la trama verso tutt’altra direzione: giunto presso il camper in cui l’otaku anti-eroe si era ritirato, i due cominciano a combattere ma vengono risucchiati dalla bizzarra nonché unica console posseduta da Travis. Di qui i due nemici si alleano per trovare e battere uno dopo l’altro i sei giochi della console, contenuti in un misterioso formato a sfera. La leggenda narra che, ottenuti tutti e sei i chip alla fine di ogni gioco, la console permetta di esaudire un qualsiasi desiderio: Bad Man vede in questa opportunità una speranza per riportare in vita sua figlia.

La trama, volutamente bizzarra e sopra le righe, non è il punto forte del gioco né vuole esserlo, poiché si tratta di un espediente per lanciare i giocatori in svariati giochi dentro il gioco. Entrando nel primo di questi sotto-giochi diventa chiara l’intento dell’autore (Goichi Suda) con questo spin-off, ovvero rendere tributo ai videogiochi degli anni ’80 con cui è cresciuto. Questa passione verso la vecchia scuola emerge nelle atmosfere, nella colona sonora e nella struttura dei giochi che di volta in volta Travis e Bad Man si ritrovano ad affrontare; il tutto viene tuttavia corredato da uno stile grafico moderno in cell-shading, non certo all’avanguardia ma originale, piacevole alla vista ed ancorate ai 60 frame per secondo. Si viene così a creare un interessante connubio fra nostalgia e modernità.

Modernità che viene totalmente lasciata da parte nelle sequenze narrative poste tra un sotto-gioco e l’altro, in cui Travis si ritrova in giro per il mondo alla ricerca delle sfere di gioco. In queste sequenze il gioco diventa letteralmente una Visual Novel anni ’80 con scritte e sprite verdi su sfondo nero. Dietro a uno stile quanto mai vintage si cela una trama degna di nota, costellata da dialoghi ben scritti, personaggi fuori di testa, divertenti rotture della quarta parete ed un citazionismo semplicemente squisito. La quantità di testo da leggere non è affatto invadente e si lascia seguire volentieri; del resto, sono i personaggi stessi che si preoccupano di non far scendere (testuali parole) il punteggio Meta-Score del loro gioco.

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Tanti giochi, un solo gameplay

Considerato quanto detto fin’ora sullo stile del gioco, sarebbe lecito aspettarsi che le meccaniche di gameplay cambino di gioco in gioco per omaggiare generi diversi ma, purtroppo, così non è: il titolo è difatti caratterizzato da un gameplay hack-and-slash dall’inizio alla fine del gioco, con alcune lievi varianti a seconda del sotto-gioco in cui ci si trova. Il sistema di combattimento non è particolarmente profondo: attacchi leggeri/pesanti (senza combo), attacchi in salto, schivate ed una discreta varietà di nemici. Ed è proprio qui che l’incontro tra vecchio e nuovo si incrina, poiché a fronte di un sistema di combattimento molto blando e ripetitivo, il ritmo dei giochi non è affatto immediato come le controparti a cui l’autore si ispira.

A differenza dei concentratissimi livelli di pochi minuti dei cabinati, i sotto-giochi di Travis Strikes Again constano ciascuno di un solo livello che dura dai 60 ai 90 minuti, nei quali non si fa null’altro che menare fendenti; di conseguenza è molto facile essere colti dalla noia, giacché la trama vera e propria si sviluppa solo negli intermezzi tra un sotto-gioco e l’altro. Un sistema di progressione dei personaggi (che influenza solo attacco e salute), le abilità a ricarica sparpagliate per i giochi e quegli accenni di variazione sul tema di cui sopra tentano di sopperire alla ripetitività, ma con scarso successo.

Fortunatamente le cose migliorano dal quarto sotto-gioco in avanti: i ritmi si fanno più serrati, la difficoltà aumenta e la trama decolla definitivamente, rendendo lo scorrere del gioco più godibile e meno insofferente alla ripetitività. Ma sfortunatamente si tratta delle ultime due-tre ore di gioco a fronte di una longevità di circa una dozzina di ore per completare la storia.

Il fattore rigiocabilità è presente ma è poco accattivante: finendo il gioco sarà possibile sbloccare un nuovo personaggio, una nuova difficoltà ed il “Nuovo Game+”, ma non cambiano le carte in tavola considerate le problematiche del gameplay. Il nuovo personaggio potrebbe sembrare un’interessante variazione sul tema, tuttavia come i due personaggi (Travis e Bad Man) intercambiabili in qualsiasi momento nel corso del gioco, anche il terzo personaggio non presente differenze se non nelle animazioni e nelle statistiche; le mosse rimangono pressoché identiche all’infuori di un paio di abilità esclusive.

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Un target ristretto

Bisogna dirlo, gli ultimi capitoli tolgono un po’ di amaro in bocca poiché sono più immediati, divertenti e costellati da un citazionismo che raggiunge vette altissime: i fan di Suda51 resteranno a bocca aperta per l’entrata in scena di un certo personaggio che va ben oltre la semplice citazione, assieme ad un’altra chicca che farà molto, molto piacere ai fan dei titoli indie. Più nello specifico, i fan di No More Heroes troveranno un sacco di interessantissimo spunti di trama nel finale che proiettano verso il terzo capitolo della serie.

Queste distinzioni tra fan pongono però una riflessione conclusiva sul titolo: a chi è rivolto? Essenzialmente a due categorie di persone: quelle cresciute con i videogiochi anni ’80 (o amanti dello stile retro) e quelle appassionate dei titoli di Suda51. Tutti gli altri, anche se appassionati del genere hack-and-slash, rischiano di non apprezzare il grande lavoro di passione che salva il gioco dalla mediocrità.

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Laureato in economia, grande cultore del mondo del marketing e ovviamente appassionato di videogiochi fin da tenere età, sono stato svezzato a 3 anni con i miei primissimi videogiochi, a 4 con nientemeno che Monkey Island giocato assieme a mio padre e a 5 ho portato a termine il mio primo videogioco in assoluto, Pandemonium, dando il via "ufficialmente" alla mia passione. Da allora posso vantarmi di aver concluso quasi tutti i più celebri titoli usciti possedendo pressoché tutte le console, dalla prima Playstation in avanti. Tolti i titoli sportivi, non c'è genere di gioco in cui non mi piaccia cimentarmi

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