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The Last of Us (stagione 2): L’ennesima delusione

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The Last of Us 2 Recensione

Nella recensione della scorsa stagione di The Last Of Us, ci eravamo salutati con grandi aspettative e ambizioni, sperando che HBO potesse regalarci un adattamento fedele ma allo stesso tempo originale, come aveva già fatto con il primo capitolo della saga. Inutile dire che, per svariati motivi, il risultato si è rivelato piuttosto deludente.

Malgrado le controversie e le opinioni polarizzanti, non si può negare che The Last of Us 2 sia ormai diventato un capitolo fondamentale della storia videoludica di PlayStation. Non a caso, il gioco è ancora oggi oggetto di dibattito e discussione, a cinque anni dalla sua uscita. Adattarlo, quindi, non era impresa facile. Tuttavia, i motivi per cui questa stagione ha fallito sono molteplici: scopriamoli insieme.

The Last of Us Season 2 | Official Trailer | Max

Niente più che un compitino

Con pochi ma significativi cambiamenti, gli sceneggiatori hanno sostanzialmente eliminato ciò che caratterizzava la storia di The Last of Us 2, nota per essere cinica, amara e, per certi versi, crudele, trasformandola in un adattamento privo di mordente, incapace di rendere efficacemente il tema centrale del gioco e la complessità dei suoi personaggi.

La saga di The Last of Us è permeata da un’atmosfera opprimente e priva di speranza, un aspetto che la prima stagione aveva saputo cogliere alla perfezione. La seconda stagione, invece, avrebbe dovuto accentuare ulteriormente questa malinconia e la sfiducia verso il genere umano, ma sceglie invece di smorzare il tono con battute e dialoghi da serie adolescenziale, pensati per un pubblico più ampio e generalista. Il risultato è una resa stilistica meno intensa, disturbante e nel complesso meno efficace.

Il punto cruciale del gioco (e quindi della serie) è sicuramente la morte di Joel, ucciso per le sue azioni nel capitolo precedente, nientemeno che dalla figlia del chirurgo che, attraverso il sacrificio di Ellie, avrebbe potuto salvare l’umanità dalla piaga del Cordyceps. Una morte che, come vediamo presto, condiziona la resa dell’intera stagione.

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Empatia ed Ellie

L’assenza di Joel è estremamente significativa nel secondo capitolo: elimina la dinamica tra lui ed Ellie, che nel primo gioco offriva anche momenti di leggerezza, e trasforma la ragazza in un personaggio spietato, guidato unicamente dal desiderio di vendetta per la perdita della sua unica figura paterna.

Nell’adattamento, però, questa evoluzione brutale è del tutto assente. Ellie, interpretata ancora da Bella Ramsey (che in questo momento sta subendo una spregevole ondata d’odio da parte dei detrattori della serie), mantiene sempre un atteggiamento giocoso e irriverente, attenuando così l’impulso violento e autodistruttivo che permeava il personaggio nel videogioco.

Nonostante il suo indubbio talento, Bella Ramsey non trasmette il carisma necessario per reggere da sola l’intera stagione, come invece riusciva a fare Pedro Pascal. E se nel gioco il giocatore poteva immedesimarsi nei panni di Ellie, qui lo spettatore si trova davanti a una storyline di vendetta piatta e poco coinvolgente, incarnata da una protagonista percepita spesso come petulante e poco incisiva, rendendo il tutto noioso e, a tratti, frustrante.

La serie inoltre attenua quasi del tutto l’aspetto della violenza, che nel gioco era un elemento centrale e inscindibile dal racconto. Ellie, infatti, non uccide né ferisce quasi nessuno, e quando lo fa è per errore o per autodifesa, trasformando quella che nel videogioco era una missione disperata di vendetta in una lunga “scampagnata” con la compagna Dinah (interpretata da Isabela Merced).

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Una mancanza di pugni allo stomaco

La storia di The Last of Us è profondamente incentrata sulla discesa di Ellie nell’abisso della vendetta, ma sembra quasi che gli sceneggiatori abbiano avuto timore di esplorare questo lato oscuro del personaggio, preferendo invece mantenerla ancorata alla caratterizzazione della prima stagione.

Forse la ragione è da ricercare nel fatto che, fin dall’inizio, si svela che i nemici di Ellie sono persone comuni, con famiglie e amici. Nel videogioco questa consapevolezza emerge progressivamente, generando nel giocatore un profondo conflitto emotivo. Nella serie questo elemento viene esplicitato fin dal primo episodio, neutralizzando qualsiasi sorpresa narrativa.

Può sembrare un dettaglio secondario, ma si rivela in realtà un errore fondamentale, che dimostra una scarsa comprensione delle tematiche profonde del gioco. Probabilmente si è voluto evitare di presentare Abby (interpretata da Kaitlyn Dever) come un mostro privo di umanità, offrendole subito una motivazione alle sue azioni. Il problema, però, è che nel gioco lei doveva essere un personaggio odiabile fin da subito, per poi, eventualmente, conquistare comprensione.

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Peccato per i giocatori

La mancanza di sfumature e sottigliezza nella sceneggiatura si avverte per tutta la stagione. I personaggi verbalizzano continuamente emozioni e stati d’animo, lasciando pochissimo spazio all’interpretazione dello spettatore e rendendo la storia molto meno coinvolgente rispetto all’esperienza videoludica.

Il limite del coinvolgimento era già stato evidenziato nella recensione della prima stagione (è ovvio che controllare direttamente un personaggio genera un legame più profondo, ndr.) ma là il problema era almeno mitigato da una scrittura solida, protagonisti carismatici e un’efficace espansione del mondo e dei personaggi secondari. In questa stagione, invece, la trasposizione appare pedissequa e allo stesso tempo piatta e noiosa.

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Un finale bruciato

L’errore più grave, però, è rappresentato dalla scelta di anticipare la conversazione tra Joel ed Ellie e il conseguente perdono di quest’ultima. Nel gioco, questo momento arriva solo verso la fine, al termine di un percorso emotivamente devastante. Si tratta di una rivelazione potente, che mostra l’inutilità della vendetta e il valore del perdono. Anticiparlo di una stagione compromette profondamente l’epilogo e svuota la narrazione di una delle sue intuizioni più significative.

Sia chiaro: non tutto è da buttare. Alcuni episodi, soprattutto quelli che coinvolgono Joel, funzionano bene. E la fedeltà alla trama originale è innegabile. Ma ciò che manca è il cuore della storia: il peso della vendetta, la spirale della violenza, la possibilità di perdonare quando tutto sembra perduto.

The Last of Us doveva essere una riflessione sull’oscurità dell’animo umano e sulla complessità del dolore. Questa seconda stagione, invece, sembra fuggire da quelle stesse ombre. E il rischio, ora, è che la terza non riesca a risollevarsi da questa scelta.

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Giornalista freelance e articolista a tempo perso, penso che anche i film, fumetti e videogiochi hanno qualcosa da raccontare se si scava un pò più in fondo e non ci si ferma alla semplice copertina.

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