Nell’ultimo mese ho vissuto dei meravigliosi momenti in cui cavalcavo lungo delle piane rigogliose, affettavo degli invasori con un mix di tecniche da Samurai, ladro e guerriero Mongolo, e giocavo finalmente a Ghost of Tsushima sulla mia PlayStation 4 Pro. L’idea di giocare ad un gioco ambientato in Giappone, prodotto dalla stessa casa che mi ha regalato Infamous Second Son, e che ha introdotto il gioco accompagnandolo ad una live con un suonatore di flauto Shakuhachi, mi ha conquistato in men che non si dica.
A quanto pare però, stando alle prime recensioni, non ho semplicemente comprato Ghost of Tsushima, un gioiellino targato Sucker Punch che ti fa davvero sentire come Spiderm… ehm, come un Samurai, ma ho piuttosto deciso di investire i miei soldi in un “ennesimo open world”.
Le recensioni di questo gioco lo elogiano per tutta una serie di temi, ma tra i punti negativi risulta sempre il fatto che Ghost of Tsushima presenta una dinamica esplorativa trita e ritrita. Udite udite amici miei, perché la risposta a tutto ciò vi lascerà di stucco: e allora?
La scorsa settimana ho passato circa quaranta ore su questo gioco, e ancora non sono riuscito a trovare il problema. Ghost of Tsushima è sicuramente un altro open world, ma in questo articolo voglio spiegarvi perché dovreste altamente fregarvene e giocarci comunque.
Affrontiamo subito un argomento ben noto, così possiamo andare avanti. Ghost of Tsushima è visivamente stupendo, punto. Giocare a questo gioco in 4K è assolutamente emozionante. L’isola di Tsushima brilla di colori, ombre, flora e fauna che difficilmente ho visto in altri giochi. Neanche a farlo apposta, il salto di qualità grafico fatto in questo gioco rispetto alla concorrenza mi ha fatto venire in mente quando giocai a Second Son, uno dei primi giochi comprati sulla mia PlayStation 4.
Esplorare Tsushima è un’esperienza meravigliosa, e il gioco lo sa bene, al punto che la totalità di quest principali e secondarie si basa sulla creazione di ambienti dove l’elemento Nipponico esplode in mix audio e soprattutto video assolutamente impeccabile. Il fatto che l’hub del giocatore sia ridotto al minimo indispensabile, e che la photo mode sia attivabile con un semplice pulsante, dimostra come il punto forte di questo gioco sia l’aspetto grafico, lo stesso elemento che ti spinge a percorrere in lungo e in largo la vastità dell’isola, a comporre haiku ai piedi di scorci meravigliosi, a rendere omaggio ad altari sulle sommità delle montagne, e chi più ne ha più ne metta.
Cavalcare per Tsushima, scoprire la mappa e visitare man mano tutti i punti interrogativi è dunque un’esperienza sicuramente arcinota, ma comunque appagante.
Il gioco non sarebbe un open world che si rispetti, senza avere delle missioni che spesso e volentieri ti trasformano in una specie di fattorino di morte in giro per Tsushima. “Sì buongiorno Signor Mongolo sono Lord Sakai, ho qui il verbale per quella statua che avete distrutto e per quella famiglia che avete trucidato! Vuole pagare a rate un arto alla volta, o preferisce tutto in un colpo al petto?”
Scherzi a parte, le quest sono belle e ben costruite. A parte quelle che riguardano la quest principale (che sono poco attinenti rispetto a questo articolo, ndr.), il titolo fa comunque un buon lavoro nell’invogliare il giocatore ancora una volta ad uscire dal tracciato prestabilito e aiutare personaggi più o meno conosciuti in una discreta varietà di storie e di sfide. Che siano vendette, missioni di scorta, recupero di merci rubate o investigazioni di crimini, la struttura delle quest in sé non brilla di originalità, ma è un piacevole cambio di marcia ed una pausa a tratti rinfrescante rispetto ad una trama principale che mantiene volutamente una nota di tristezza.
Il meccanismo di ricompensa di ciascuna quest inoltre è concretamente utile alla progressione del personaggio, ma non indispensabile. La dinamica open world anche qui viene alla luce, giocando sulla volontà di chi si approccia a questo archetipo di completare quanti più aspetti secondari possibili, prima di lanciarsi nuovamente nelle principali.
Il problema che ho sempre riscontrato negli open world è stato quello di rischiare di danneggiare i ritmi della storia. Il nemico è alle porte, aspettano tutti che tu ti unisca alla battaglia, ma quella vecchia signora non trova il suo cane e a te quegli XP servono. È tutto pronto per quell’attacco a sorpresa, ma a te mancano giusto due pezzi di bambù per migliorare finalmente il tuo arco.
Ebbene, Ghost of Tsushima non è da meno. Ci sono una miriade di elementi, più o meno utili alla progressione del giocatore, che si frappongono tra lui e Khotun Khan, leader degli invasori Mongoli. Non parlo solo delle quest secondarie, ma di tutta una serie di elementi legati alla componente esplorativa che permettono al giocatore di crescere, imparare nuove mosse, migliorare la propria attrezzatura e così via.
Quello in cui Ghost of Tsushima riesce tuttavia, è il fatto di non stravolgere mai la trama e la sua scorrevolezza. Quasi tutte le azioni, i punti di interesse e le missioni, giocano un ruolo accessorio ma comunque rilevante rispetto al gioco, che mantiene quindi una sua fluidità anche nei momenti meno attinenti alla trama. Si tratta di pause che il giocatore si prende, vero, ma comunque tutte finalizzate ad un obiettivo ben chiaro, che in nessun modo pretende di mettere in secondo piano il cammino di Jin Sakai come Samurai, Shinobi, o semplicemente come amante della patria.
In Shadow Warrior 2 c’è una frase che mi è rimasta impressa, e ogni tanto torna a galla nella mia memoria: selezionando la difficoltà, il livello più facile, chiamato “Tiny Grasshopper” si traduce in italiano più o meno così:
Questo livello di difficoltà è fatto per persone che non sentono di dover provare nulla agli altri o a sé stessi. Giocare a Shadow Warrior 2 a livello Facile è assolutamente ok, se alla fine di una giornata devastante tutto quello che desideri è solo sentirti come un fottuto supereroe
Non è che ho semplicemente apprezzato il gameplay di Ghost of Tsushima, mi sono proprio gasato ai massimi livelli, e lo so che non è il massimo leggere termini del genere su un articolo, ma non saprei come altro descriverlo. Jin Sakai è piccola macchina da guerra, una one-man army che contrappone le sue tecniche da Samurai a quelle dei Mongoli, e chi controlla il Fantasma di Tsushima ha costantemente la sensazione di governare il più grande incubo di banditi e invasori. Il titolo mette a disposizione del giocatore tutti gli strumenti per risolvere i conflitti in modo rapido ed efficace.
Qui non parliamo della componente stealth del gioco, un elemento troppo importante per essere trattato qui, ma piuttosto nel fatto che difficilmente, durante le nostre traversate da punto A a punto B, ci rifiuteremo di macellare una carovana di Mongoli o un gruppo di banditi la cui unica sfortuna è stata quella di trovarsi nel punto sbagliato al momento sbagliato. Il fatto di liberare insediamento nemico dopo insediamento ha ancora una volta un’utilità pratica sia a livello di elementi ottenuti che di scoperta della mappa, e solo raramente pone un freno alla volontà di esplorare del giocatore, quando ad esempio un accampamento andrà liberato in un’apposita missione.
L’elemento open world fa anche qui capolino, permettendo al giocatore di raggiungere tutta una serie di punti di interesse che lo aiuteranno ad aumentare la propria salute e concentrazione, e gli incontri durante il tragitto non godono sicuramente di una gran varietà, ma sfido chiunque abbia giocato a Ghost of Tsushima e abbia letto questo articolo ad constatare il contrario quando si afferma che ci si sente come delle macchine da guerra quando si riesce a trucidare cinque nemici diversi senza subire un graffio.
Ghost of Tsushima si tratta dunque di un altro open world, ma non è “il solito open world”. L’isola di Tsushima vale la pena di essere esplorata in lungo e in largo, l’opzione di fast travel ha senso solo se state raccogliendo l’ennesimo monile Mongolo e nel Bergamasco c’è un insegnante di flauto Shakuhachi a buon prezzo e ben recensito. L’ultima affermazione serve a me come promemoria.
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