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Il Crunch nell’industria del Gaming

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La Entertainment Software Association dichiara che ad oggi l’industria videloudica americana da sola, da lavoro a circa 200.000 persone, assieme ad altri dati di assoluto interesse che chi vi scrive vi invita a consultare qui. La stessa associazione lavora sodo negli Stati Uniti per garantire una regolamentazione univoca rispetto alle condizioni di questi lavoratori, ed a trattamenti riservati a questa particolare popolazione.

Esiste infatti un cosiddetto “mondo dietro il mondo“, che si separa dall’esperienza che noi giocatori viviamo nel gioco, e che in realtà si riferisce a chi quel mondo lo ha creato. Jason Schreier, giornalista d’inchiesta che ha dedicato la sua carriera a svelare i retroscena di questo colosso dell’intrattenimento, ha spesso messo in luce la straordinaria complessità che si cela dietro lo sviluppo di un gioco, che si tratti di un piccolo Indie o un Tripla A.

Schreier, come altri prima e dopo di lui, non si è però particolarmente soffermato sulla difficoltà tecniche incontrate durante gli sviluppi, quanto piuttosto sul fattore umano. Le notizie trapelate da una serie di case blasonate, hanno infatti avuto una forte onda mediatica, non tanto per le tematiche propriamente tecniche di questo settore, apprezzabili perlopiù da appassionati del settore, quanto piuttosto su una serie di componenti puramente soggettive, legate al fattore umano del management delle stesse case.

In questi articoli, un termine tra tutti è stato prima coniato e poi utilizzato spesso, per descrivere un contesto che sicuramente esiste anche al di fuori del mondo dei videogiochi, ma che è qui che trova forse il suo significato più adatto. Oggi infatti vi parliamo del Crunch.

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Che cos’è il Crunch?

Definito nel dizionario anche come il suono onomatopeico prodotto dal nostro masticare, in questo articolo si riferisce piuttosto ad un momento particolare nello sviluppo di un videogioco. Viene infatti definito “crunch time” quel momento in cui si avvicinano le scadenze e si rischia di bucarle, e per ovviare a questo problema si ricorre ad orari e ritmi serrati, con l’idea o comunque con la promessa che tale periodo sia limitato nel tempo.

L’industria videoludica si basa sul concetto di lavoro a progetto. La consegna di un gioco e la sua conseguente uscita sul mercato sono legate ad una moltitudine di aspetti che evitiamo di trattare qui per un puro discorso di lunghezza. Per tale motivo però, legare il fenomeno del crunch ad un’unica causa è oggettivamente difficile. Da un lato abbiamo fattori tecnici, come l’utilizzo di nuovi software a cui il team di sviluppo non è abituato (guardare ad esempio Anthem con l’utilizzo del motore di gioco Dice), dall’altra abbiamo le scelte di un management che spesso e volentieri non tiene conto del primo fattore menzionato, per poi proporre date di consegne oggettivamente non rispettabili (guardare sempre Anthem).

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Storia del fenomeno

Quando si parla di storia di questo fenomeno c’è da fare un primo importante chiarimento: parlare di quando le società hanno iniziato a caricare eccessivamente i propri dipendenti è oggettivamente una pratica senza tempo, per cui di seguito ci limitiamo a segnalare quando il Crunch ha iniziato ad essere segnalato e portato all’attenzione del pubblico. Quelle che seguono sono solo alcune delle storie più eclatanti, portate alla luce da personale qualificato e verificato.

Storicamente, il fenomeno del crunch è venuto in risalto per la prima volta nel 2004. In quell’anno, una fonte anonima che si firmava come “EA Spouse” (trad. Moglie di EA, ossia una moglie di un lavoratore presso la Electronic Arts), due anni dopo rivelata come Erin Hoffman, pubblicò nel suo blog le condizioni di vita che il marito aveva a causa del suo lavoro presso la nota casa. Tali condizioni avevano indubbiamente ripercussioni sulla loro vita di coppia. Le lunghe ore di lavoro non retribuite, i ritmi forsennati che in questo caso erano più la norma che l’eccezione, ed altri temi riportati nel blog avevano generato per la prima volta nell’industria un’onda mediatica che ha portato alla luce il fenomeno, al punto tale che EA si vide intentare due class action che furono poi risolte in favore dell’accusa nel 2006.

Nel 2010 venne alla luce un altro evento simile, che questa volta coinvolgeva Rockstar. Un gruppo di “Rockstar Spouses” scrisse una lettera aperta al management della società, criticando le condizioni di lavoro che i loro mariti sopportavano già dall’anno precedente. Questo portò una serie di altri dipendenti della casa ad alzare la mano e pubblicare le loro storie, evidentemente simili a quelle citate. Articoli ben documentati e segnalazioni autenticate nel tempo ci insegnano che quella non fu l’ultima volta che Rockstar applicava il crunch sui suoi dipendenti.

Nel 2017 fu il turno di Epic Games e di Fortnite, dopo che Polygon pubblicò i resoconti di svariate dozzine di interviste con i dipendenti di Epic Games, i quali raccontavano di un periodo di più mesi lavorando circa 70 ore a settimana (alcuni segnalavano che certi colleghi arrivavano ad accumularne anche 100.).

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Qualche anno dopo, nel 2018 per la precisione, gli sviluppatori di Telltale Games (The Walking Dead, The Wolf Among Us), chiusero i battenti. Un report di Kotaku portò alla luce i racconti dei dipendenti che la sera prima avevano finito di lavorare alle 3 di notte, senza avere idea di tale avvenimento e senza ricevere alcuna liquidazione.

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Conseguenze del Crunch

Ciò che ha permesso ai lavoratori di gettare luce su tale fenomeno è senza dubbio la notevole somiglianza dei sintomi fisici e psicologici legati al crunch. Quando i primi dipendenti hanno iniziato a parlare, ciò che ha spinto altri a seguirli è stato certamente il potersi identificare tramite quello che i primi soffrivano.

Erin Hoffman, le Rockstar Spouses e tanti altri dipendenti direttamente coinvolti hanno dipinto un quadro tanto chiaro quanto preoccupante. Una delle testimonianze più comprensive è attribuita a Dan Houser, co-fondatore di Rockstar Games. In un’intervista con Vulture, Houser racconta il costo umano dello sviluppo di Red Dead Redemption 2Seguono altri nomi che a diversi livelli della scala gerarchica iniziano a segnalare una varietà di sintomi.

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Ritmi di veglia/sonno alterati, schizzofrenia, stress, ed in generale la consapevolezza della precarietà della propria posizione, sono solo alcuni dei problemi segnalati da una varietà di utenti. Segnalare tali abusi (perché di abusi si tratta) era spesso considerato un suicidio professionale, con il rischio di essere considerati dei traditori dai propri colleghi.

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Le reazioni

L’eco mediatica del Crunch ha permesso di portare alla luce ulteriori società piagate da questa pratica. Al di là delle soluzioni concrete adottate dalle singole case, la stessa popolazione dei dipendenti di questa industria ha iniziato a sollevare il velo di omertà legato a questo ambiente. Una delle ragioni è anche dovuta al fatto che gran parte di questa popolazione lavora a contratto, e che la eccessiva instabilità di tale posizione li porti paradossalmente a non dover temere ripercussioni in caso di whistleblowing.

L‘industria del gaming è oggi quella che impiega una delle popolazioni più giovani. C’è chi dice che sia dovuto alla propensione verso il tipo di intrattenimento, chi invece che si debba al fatto che statisticamente un giovane ha meno incombenze (come ad esempio una famiglia) da dover bilanciare col lavoro.

I più senior dell’industria, tuttavia, hanno anche loro iniziato a prendere in mano la situazione. Un esempio concreto è l’organizzazione Game Workers Unite, che ha saputo ampliare il proprio perimetro oltre i confini statunitensi. Pur non trattandosi di un vero e proprio sindacato, si tratta di un’organizzazione che incoraggia questa pratica, raccogliendo al proprio interno quelle persone che hanno intenzione di sindacalizzarsi.

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Conclusioni

L’interesse di chi scrive è stato quello di riportare una realtà fortunatamente nota, e creare un interesse ad approfondire il tema. Erin Hoffman scriveva che “Nessuno lavora nel mondo del gaming a meno che non ami quello che fa”, e ad oggi basta leggere anche solo una parte di quanto riportato nelle varie fonti per farsi un’idea del significato dietro queste parole.

La strada intrapresa a partire dal 2004 è ancora lunga, ma il Crunch è ormai noto e sempre meno accettato non solo dagli sviluppatori, ma anche dall’opinione pubblica generale. La ESA parla di un’età media dei giocatori compresa tra i 35 ed i 44 anni e chi vi scrive confida nella capacità di giudizio di questa demografica.

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Mraser si dedica al mondo dei videogiochi da quando a 4 anni qualcuno lo massacrò a Street Fighter ad un arcade di Rivisondoli e lui per orgoglio decise di diventare il migliore. A 10 anni perde la sua Nintendo64, spaccata in due dal padre dopo che lui aveva abbattuto il televisore per collegarsi da solo la console, e più tardi con la Gamecube scoprirà per la prima volta l'attrazione furry grazie a Krystal di StarFox Adventures. Qualche (tanti) anni dopo Mraser continua a dedicare più tempo ai videogiochi di quanti ammetta con la sua ragazza e oggi scrive per SpaceNerd su news, recensioni e sull'ultima menzogna di Todd Howard.

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