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The Callisto Protocol, la recensione: lo spazio è morto, di nuovo

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The Callisto Protocol, la recensione: lo spazio è morto, di nuovo 1

The Callisto Protocol

7

GAMEPLAY E LONGEVITA'

6.5/10

COMPARTO GRAFICO E SONORO

8.0/10

COERENZA E CURA DEL DETTAGLIO

6.5/10

Pros

  • Intenso e violento
  • Visivamente e registicamente spettacolare

Cons

  • Sviluppi narrativi deboli
  • Generale mancanza di varietà e originalità
  • Combat System abbozzato e complessivamente poco funzionale
  • Disastrosi problemi di ottimizzazione e di mixaggio audio

In questo medium vi sono opere che sono destinate a lasciare un segno indelebile nella sua storia, diventando pietra miliare, metro di paragone e fonte d’ispirazione per quanto riguarda il genere di appartenenza.

Ma cosa succede quando, a distanza di svariati anni, è proprio l’autore originale di una di queste a volerne creare un successore spirituale?

A questa domanda ha provato a rispondere Glen Schofield, ex game director dell’ormai defunta Visceral Games e, conseguentemente, creatore di quel capolavoro horror che risponde al nome di Dead Space; così, ha fondato Striking Distance e si è rimboccato le maniche per mettersi al lavoro su un titolo horror completamente nuovo, prendendo a piene mani dagli schemi e dalle atmosfere della disavventura di Isaac Clarke.

Così, lo scorso 2 dicembre è stato rilasciato The Callisto Protocol sotto il publishing di Krafton: come è andata? Saranno riusciti a rendere il dovuto omaggio a Dead Space?
Cerchiamo di scoprirlo nella sua recensione.

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“Imprevisti prevedibili”

Il tutto ha inizio a bordo della nave spaziale del protagonista Jacob Lee che, insieme al suo socio in affari, si ritrovano a dover eseguire una consegna per un’operazione di contrabbando non meglio definita: durante il tragitto tra Callisto ed Europa (due delle numerose lune satellite di Giove), vengono abbordati da un gruppo di apparenti pirati dello spazio, con il quale avverrà uno scontro diretto ed il conseguente incidente che farà schiantare rovinosamente il velivolo proprio su Callisto.

Dopo esser sopravvissuto, Jacob verrà catturato da una sorta di guardia carceraria che, dopo aver ricevuto ordini dall’alto, lo rinchiuderà nella prigione di massima sicurezza di Black Iron, per motivi inizialmente sconosciuti.

Ma praticamente subito dopo il suo imprigionamento, inizierà a diffondersi nel maxi complesso una specie di infezione che porterà quasi tutta la popolazione del posto a trasformarsi in orripilanti creature deformate.

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Senza farsi troppe domande, Jacob si porrà l’obiettivo di cercare una via di fuga da Callisto per mettersi in salvo e portare a casa la pelle: nel farlo però, avverrà qualcosa che, come di consueto, lo coinvolgerà direttamente nelle vicende e lo porterà a voler cercare risposte più profonde al mistero che si cela dietro questi inquietanti avvenimenti.

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La trama subirà un processo di trasformazione che farà evolvere la storia di sopravvivenza nuda e cruda a una bolla di spunti narrativi che mescola gli stilemi classici dell’horror sci-fi a tematiche più umane, con sfumature di natura politica, complottista e religiosa.

L’importanza del flusso del racconto

Seppur l’andamento delle vicende di The Callisto Protocol mantenga un buon livello di tensione narrativa per buona parte della campagna, una volta giunti al momento delle rivelazioni non possiamo dire di esser rimasti particolarmente stupiti o coinvolti, dato che queste non si distaccheranno praticamente mai dagli standard del genere d’appartenenza, finendo per proporre avvenimenti, colpi di scena e rivelazioni tendenzialmente sconclusionati e privi di mordente.

La sensazione è quella che il team di scrittura abbia preferito concentrare l’enfasi sulla disavventura diretta di Jacob (e quindi l’insieme degli ostacoli, degli imprevisti e degli incidenti che si troverà man mano a dover superare) e solo dopo sull’esposizione di un intreccio di eventi solido ed elaborato, nonostante le basi loristiche che compongono il mondo di gioco ci siano tutte.

Discorso similare va fatto per i comprimari che Jacob avrà modo di conoscere ed incontrare: il gioco farà di tutto per farci affezionare a loro, purtroppo fallendo in modo alquanto misero, dato che il rapporto che si creerà rimarrà praticamente sempre e solo di convenienza, senza mai svilupparsi in qualcosa in più profondo o empatico.

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Dall’altro lato però, a sostenere con forza il senso di immersione ci pensa una regia che propone spostamenti di telecamera dal taglio squisitamente cinematografico, che rendono le cutscenes (ma anche i vari intermezzi e sequenze scriptate) altamente spettacolari e gustose in termini prettamente scenici, complici anche un cast d’eccezione e una resa di volti e animazioni tra le più realistiche degli ultimi anni.

Quindi, nonostante la trama non riesca a decollare, a fine gioco avremo comunque la sensazione averne viste e attraversate di tutti i colori.

Binomio combattimento corpo a corpo – horror: funziona?

Spostandoci invece sul piano del gameplay, il tutto si baserà sul particolare combat system, quasi completamente orientato sul corpo a corpo: una volta ingaggiato un nemico, dovremo usare la schivata per deviare i suoi colpi, per poi contrattaccare a nostra volta con il manganello elettrico, come se fosse una sorta di incontro di boxe.

A ciò si aggiunge la componente shooting, in quanto grazie alle nostre armi da fuoco potremo indebolire il più possibile il nemico prima dell’ingaggio fisico. Inoltre, questa si andrà a inserire nel corpo a corpo stesso dato che le combo con manganello ci permetteranno di sfruttare lo stordimento del nemico per estrarre velocemente la nostra pistola o il nostro fucile di turno e sparare al punto giusto, infliggendo danni ingenti.

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L’ultimo strumento che avremo a disposizione sarà il GRP, uno speciale guanto telecinetico con il quale potremo attirare a noi nemici e oggetti dello scenario e scagliarli con forza dove riteniamo più opportuno.

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Quindi, per riuscire a sopravvivere dovremo imparare a padroneggiare nel migliore dei modi tutte queste azioni, agendo con pazienza e sangue freddo, dato che la fretta e l’avventatezza potrebbero rischiare di spezzare in modo imprevisto il ciclo di combattimento, e di portarvi quindi a una fine orribile.

Qualcosa non va…

Seppur una volta imparato a dovere riesca a regalare enormi soddisfazioni, questo sistema soffre gravemente di una serie di ingenuità e di scelte di design infelici, che riteniamo al limite dell’ingiustificabile, soprattutto data la sua apparenza di combat system “tecnico”.

Innanzitutto, la possibilità di schivata sarà esclusivamente circoscritta al momento in cui il nemico attaccherà, basterà semplicemente muovere o tenere premuta la levetta verso una direzione e Jacob la eseguirà in automatico, senza che vi sia alcuna forma di stamina o che sia richiesto del tempismo nell’azione.

Ciò rilega le nostre schivate a un insieme di script del quale non abbiamo il totale controllo: infatti capiterà a volte che, nonostante si veda partire l’animazione di schivata (che, essendo automatica, dovrebbe andare sempre a buon fine), il nemico riuscirà comunque a colpirci per qualche motivo ignoto; vi lasciamo immaginare il senso di frustrazione quando ciò avviene contro nemici che uccidono in un sol colpo.

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Discorso similare va fatto per quando saremo noi ad attaccare, non importa quando forte colpiremo o quanto riusciremo a stordire il nemico, a volte lui riuscirà a pararsi e a contrattaccare con velocità maggiore alla nostra, il che neutralizza a prescindere qualsivoglia strategia di anticipazione.

Ad aggravare la situazione ci pensa una varietà di nemici tutt’altro che esaltante, che, oltre a peccare gravemente di originalità (limitandosi a essere poco più di banali zombie), andranno affrontati tutti sempre allo stesso modo: essendo lo schema di combattimento così impostato, i nemici avranno sempre gli stessi moveset, da contrastare con sempre le stesse mosse, inclusi gli scontri contro i boss principali e i miniboss.

In qualche sezione avanzata isolata, saremo costretti a ricorrere allo stealth in modo pressoché inequivocabile, ma anche in questo caso non si può non notare una complessiva pigrizia nel posizionamento dei nemici e nella loro intelligenza artificiale.

Inoltre, anche le arene di combattimento soffrono di una banalità complessiva che impedirà al giocatore di avere chissà quale libertà d’approccio o differenze nelle strategie di attacco, difesa e fuga, il che finirà molto presto per rendere praticamente ogni incontro la copia di quello precedente, salvo per qualche eccezione.

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Altro piccolo appunto va fatto per quanto riguarda le armi che avremo a disposizione durante l’avventura: oltre a essere anch’esse completamente prive d’identità, si denota una inspiegabile mancanza di efficacia nel loro utilizzo classico, in quanto spesso e volentieri non basterà un intero caricatore per sconfiggere un nemico, mentre con una banale e veloce combo corpo a corpo con manganello distruggeremo in men che non si dica anche il più tosto dei nemici.

Conseguentemente, l’idea di cercare il contatto fisico contro creature mostruose (che dovrebbero incutere timore) è qualcosa che stona in modo netto rispetto all’atmosfera e il contesto horror, che fa inevitabilmente venir meno il fattore paura e tensione.

In poche parole, per quanto nobile sia l’intenzione di cambiare le carte in tavola per quanto riguarda il combattimento nei TPS horror, l’insieme degli script e degli automatismi che lo regolano lo rende troppo poco pratico o divertente, e che non lascia alcuno spazio all’interpretazione: un gran peccato, dato che quando tutto funziona a dovere si riesce comunque a percepire un senso di soddisfazione tutt’altro che scontato.

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Ma guardando il lato positivo, tutto ciò rende i combattimenti spettacolari quantomeno da vedere, grazie a una cura per le animazioni e a un utilizzo della violenza che ci farà percepire a fondo la pesantezza di ogni colpo andato a segno, inflitto o subito che sia.

Da applausi le animazioni relative alla morte del protagonista, più brutali e viscerali che mai.

Uno schiaffo in faccia al concetto di “open”

La struttura di avanzamento sarà rilegata a un level design estremamente lineare, con strade e corridoi alquanto stretti e claustrofobici, nel quale dovremo sempre e solo combattere e proseguire, senza enigmi da superare o qualsivoglia altra tipologia di interazione.

Nonostante ciò vi saranno comunque dei minuscoli spunti di esplorazione secondaria che ci faranno staccare brevemente dal percorso principale con stanze e corridoi segreti che si andranno poi inevitabilmente a collegare a esso in modo semplicistico.

Festa per gli occhi

A sollevare con forza l’intera esperienza ci pensa un comparto grafico ed estetico semplicemente eccezionale.

Oltre alla resa estremamente vivida e realistica di personaggi e creature nemiche, praticamente ogni singola stanza, passaggio, cunicolo e anfratto sarà zeppo di modelli e texture ambientali curate fino al più microscopico dei dettagli, per non parlare dei continui giochi di luce e illuminazione che squarciano la composizione scenica e aumentano a dismisura l’immersione sensoriale.

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Ci è capitato più volte di rimanere così a bocca aperta dinanzi all’imponenza dell’aspetto visivo da sentirci costretti a camminare con lentezza e a guardarci continuamente attorno, per assaporare al meglio la bellezza immane di quegli ambienti, nonostante questi non spicchino quasi mai per chissà quale varietà di biomi.

Quindi, per questi motivi, ci sentiamo di giustificare l’assoluta linearità complessiva del gioco, in quanto ha permesso agli sviluppatori di gestire nel migliore dei modi ogni minuzia, quantomeno visivamente parlando.

Ma per le orecchie?

Stesso discorso va applicato al sound design, in particolare per quanto riguarda l’effettistica generale, i rumori ambientali e i versi dei nemici: nonostante non vi siano praticamente mai jumpscare e il fattore paura non sia così accentuato, la qualità di questi suoni (da godersi rigorosamente in cuffia) riempirà comunque l’atmosfera di tensione e ci terrà sempre sul chi va là.

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Purtroppo, noi italiani siamo stati alquanto sfortunati: infatti il comparto audio soffre di gravissimi problemi relativi ai dialoghi dei personaggi, che, oltre a non seguire minimamente il labiale, presenta un mixaggio dei volumi del tutto mal equilibrato.

In alcuni casi le voci saranno talmente basse che non riusciremo nemmeno a sentirle, mentre in altri ci esploderanno nelle orecchie come fossero colpi di fucile: questo avviene a volte persino nella stessa frase.

Come se ciò non bastasse, persino i sottotitoli non riescono a stare al passo dei dialoghi, risultando in troppi casi del tutto sfasati: vi lasciamo immaginare quanto tutto ciò spezzi l’immersione narrativa durante le cutscenes.

“Pessimizzazione”

Un altro punto che va purtroppo rovinosamente a sfavore di The Callisto Protocol riguarda l’ottimizzazione del software: al Day One, la versione PC soffriva di freeze e cali di framerate talmente spudorati da impedire al giocatore di combattere dignitosamente, mentre i vari crash del gioco, uniti a caricamenti troppo lunghi, hanno reso l’esperienza utente ai limiti del disastroso.

C’è da dire che Striking Distance ha già rilasciato un paio di patch correttive per migliorare le performance, che hanno reso il titolo quantomeno giocabile a dettagli medi, e ha inoltre promesso che ulteriori aggiustamenti verranno apportati nel tempo.

Nonostante il loro intervento sia stato fulmineo, quello dell’ottimizzazione rimane un problema talmente grande da non poter essere trascurato in alcun modo, soprattutto da una produzione con tali ambizioni e budget elevato.

Conclusioni

Striking Distance e Glen Schofield hanno preferito crescere la loro creatura a pane e steroidi piuttosto che con ispirazione e creatività, e il risultato finale ne è la conferma: sia in termini ludici che in quelli narrativi, The Callisto Protocol rappresenta un buco nell’acqua, a causa di una generale mancanza di idee e di un combat system interessante ma mal calibrato, la quale realizzazione frettolosa evidenzia svariati problemi di design e di funzionamento delle meccaniche.

A ciò si aggiungono gravi problemi di ottimizzazione del software e di mixaggio dell’audio, che contribuiscono a rovinare un’esperienza poco pulita già di suo.

Dall’altro lato, The Callisto Protocol mostra i muscoli offrendo un’imponenza visiva, una cura grafica e una bellezza estetica da togliere il fiato, che, unite alla spettacolarizzazione della violenza e a una regia alquanto cinematografica, potrebbero da sole far valere il prezzo del biglietto (magari non a prezzo pieno) per tutti gli amanti del genere sci-fi horror, e per coloro che non cercano altro che un’esperienza audiovisiva di livello.

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Salve a tutti, sono Mattia, e da circa 18 anni ho un'intesa passione per il mondo dei videogiochi, e con essa mi porto dietro una forte propensione alla discussione e al dialogo il più discorsivo possibile riguardo questa incredibile arte.

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Giovanni Palmieri
Giovanni Palmieri
1 anno fa

E’ bello, mi è piaciuto e il seguito lo prenderò su ps5

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Dead Space Remake (2023), la recensione - SpaceNerd.it
1 anno fa

[…] differenza di come avviene nel suo gemello spirituale The Callisto Protocol (di cui potete trovare la nostra recensione qui), lo shooting ricopre un ruolo fondamentale: i necromorfi risulteranno particolarmente veloci, […]

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