Shibatarian, manga shonen a tinte horror-sovrannaturali di Katsuya Iwamuro, pubblicato in Giappone da Shueisha, è recentemente sbarcato in Italia per Edizioni Star Comics, suscitando precocemente la curiosità del pubblico anche grazie alla partecipazione dell’autore al Comicon di Napoli 2024.
Difficile dare torto al sentimento generale. Già dalla copertina del primo numero, la figura allegramente noncurante di Shibata, uno personaggi principali, immersa nell’oscurità riesce al contempo a incuriosire e inquadrare immediatamente di che manga si tratti.
Ma visto che il vecchio adagio consiglia di non giudicare un libro dalla copertina, tocca chiedersi se le restanti tavole si siano dimostrate degne delle aspettative.
Come prevede la grande tradizione degli shonen, il protagonista è uno sfigatone, tale Sato, che un giorno fa la conoscenza di un coetaneo più sfigato di lui, Shibata, seppellito fino al collo nel terreno ai piedi di un albero di ciliegio da un gruppo di teppisti, come anticipato dalla copertina del primo volumetto.
I due scoprono presto di condividere la passione per il cinema, e l’indole allegra di Shibata sembra essere l’unica cosa in grado di sollevare il morale dell’emarginato Sato, che mal sopporta la prepotenza e il conformismo degli altri compagni di scuola. L’unica altra persona che sembra voler bene a Sato è Michika, ragazza timida e riservata, nonché palesemente infatuata di lui.
I tre decidono di fare squadra per girare un film da presentare all’annuale festival scolastico, con l’obiettivo di riabilitare la loro reputazione agli occhi dell’intero istituto. Il piano però fallisce a causa delle interferenze del mellifluo e popolare Yoshida, membro del club di calcio, che umilia pubblicamente il protagonista e i suoi propositi, spingendolo a rinnegare la sua opera di fronte a Shibata per esprimere il desiderio di girare un altro tipo di film: uno in cui i suoi compagni di classe muoiono tutti assassinati. Desiderio che, per sua sfortuna, finirà scatenare una grottesca serie di eventi apocalittici, rivelando la natura non esattamente umana dello stesso Shibata.
Shibatarian appartiene a un glorioso filone di manga horror che basa il proprio appeal sull’assurdità dell’incipit, al pari di Kikkirikiller di Yousuke Suzaki o Gyo di Junji Ito. Tutte e tre le opere citate hanno come filo conduttore l’invasione massiva di una creatura che sostituisca i ben più banali zombi della tradizione occidentale, la cui causa scatenante trova riscontro nella mano dell’uomo.
Il fumetto di Iwamuro spicca sugli altri per una caratteristica che in opere del genere – come dimostra The Walking Dead – dovrebbe essere fondamentale: la caratterizzazione del protagonista e della minaccia che si troverà ad affrontare. In questo caso i due sono strettamente collegati, in quanto l’operato di/degli Shibata sembra essere una proiezione dei desideri più intimi e viscerali di Sato, da lui stesso rinnegati con l’entrata nell’età adulta.
Lo stesso Shibata non è una moltitudine depensante e caotica, bensì una vera e propria Legione con una mente alveare e uno scopo ben preciso: mettere Sato alla prova. Inoltre, il suo passato e i motivi che lo spingono sono perfettamente coerenti con il presente della narrazione. Risulta quindi essere un villain decisamente carismatico e riconoscibile, anche grazie al carattere spigliato fornitogli dall’autore. Sempre ottimista e ossessivamente sorridente, l’atteggiamento dell’antagonista cozza perfettamente con la discesa nel baratro di Sato, costretto prima a rivalutare e poi ad affrontare quello che prima considerava il migliore amico che potesse desiderare.
La scrittura brillante e cadenzata è sicuramente uno degli aspetti più pregevoli di Shibatarian. Iwamuro scandisce perfettamente i tempi narrativi, dimostrando un certo gusto cinematografico al pari dei suoi protagonisti.
Difficile trovare una battuta o una inquadratura che siano “buttate lì”, giusto per il colpo d’occhio, anche perché il tratto dell’autore non è decisamente tra i più raffinati in circolazione. Forse, proprio perché conscio di questo suo limite tecnico, palese nella resa anatomica e prospettica, il mangaka cerca sempre di giocare sulle situazioni e sul non detto più che sulla violenza grafica di cui il suo manga è comunque pregno. Utilizza trucchi del mestiere semplicissimi, ma non semplicistici, come stilizzare al massimo il character design di Shibata per esacerbarne l’estraneità rispetto alla realtà che lo circonda, trasmettendo immediatamente una sensazione di disagio al lettore. Oppure moltiplicando l’utilizzo dei retini in sua presenza, magari prediligendo una closure (gli spazi tra le vignette) nera anziché bianca.
L’inquietudine traspare dalle sue tavole grazie alla preparazione al momento greve di turno, lasciando in secondo piano il momento in sé, ossia la parte che potremmo definire gratuita.
Attraverso l’approfondimento dei suoi personaggi, il lettore assiste a una feroce critica nei confronti del conformismo e della competitività giapponesi, due elementi antitetici che convivono nel nella realtà diegetica della finzione narrativa come in quella extra-diegetica.
In Shibata Sato e Michika vedono il riflesso distorto dei propri percorsi di vita.
Il primo nel suo tentativo ossessivo di distinguersi da una massa che lui ritiene informe e crudele e della quale non riesce ad accettare di far parte; la seconda nella propria mancanza di autodeterminazione, che l’ha portata a confondersi talmente tanto nella massa ma da risultare praticamente invisibile.
A loro si frappone una creatura soprannaturale allo stesso tempo unica, riconoscibile e molteplice. Affabile e, al contempo, spietata ed egoista con i propri simili, Shibata incarna pienamente le due facce più spaventose della società giapponese, anche attraverso l’associazione con le piante di ciliegio, uno dei simboli del Sol Levante.
Attualmente Shibatarian è entrato nel suo secondo arco narrativo in Giappone e l’autore sembra aver scelto un altro aspetto della società giapponese da criticare in maniera più esplicita, ossia lo sfruttamento intensivo dei lavoratori e, più in generale, la crudeltà dell’essere umano che, posto in una situazione di vantaggio, può approfittarsi della bontà del prossimo.
Tuttavia, si sta assistendo a una perdita progressiva dell’atmosfera orrorifica, dovuta principalmente all’abbandono dell’intimità e della morbosità dell’arco narrativo precedente in favore di una storia dal respiro più ampio.
In genere sterzate di questo tipo sono presagio di una parabola discendente, ma per ora il manga di Katsuya Iwamuro si è rivelato una lettura di tutto rispetto, in grado di stimolare la curiosità dei lettori e persino arricchirli di qualche riflessione che vada al di là delle solite fregnacce sull’amicizia, l’impegno e il raggiungimento dei propri sogni. Un traguardo che, a fronte di alcune forzature narrative, non è assolutamente da trascurare in una produzione massiva come quella degli shonen manga.
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