Uscito nelle sale italiane il 29 settembre 2022, Dragon Ball Super – Super Hero è il nuovo lungometraggio animato – nonché il primo realizzato in grafica computerizzata – tratto dal manga di Akira Toriyama, qui anche in veste di soggettista e sceneggiatore, mentre la regia è stata affidata a Tetsuro Kodama.
Pur trattandosi di un sequel di Dragon Ball Super – Broly, il film aveva sin da subito attirato le attenzioni e le perplessità dei fan già dal cast, disgraziatamente leakato in seguito a un attacco hacker che aveva costretto Toei Animation a posticipare l’uscita nelle sale.
I protagonisti infatti non sono Goku e Vegeta, il cui contributo è limitato all’ennesima sessione di allenamento supervisionata da Whis, bensì Gohan e, soprattutto, Piccolo, di fatto il personaggio più attivo del film. Il ruolo di antagonista spetta invece non all’ennesima minaccia interplanetaria mai citata prima, ma al buon vecchio esercito del Fiocco Rosso, tanto caro all’autore originale.
Condivisibili o meno, tali scelte denotano la forte impronta di Toriyama, che a differenza di altri prodotti del franchise che lo hanno visto coinvolto – in primis il manga di Super – con questo film si dimostra assai più interessato a mettere in scena la sua idea di Dragon Ball, da sempre osteggiata a causa delle ingerenze dei fan.
Per contestualizzare le scelte narrative operate in questo film bisogna partire da un assioma fondamentale: ad Akira Toriyama non frega niente di Dragon Ball.
Nonostante il successo l’abbia reso un’icona degli anni ’80 e ’90, il manga di Son Goku e compagni è sempre stato una spina nel fianco per il suo autore. Tant’è che lui, la serie Z, non la voleva proprio fare. Per convincerlo c’è voluto che tutto lo staff di Shūeisha lo pregasse in ginocchio.
Costretto a rimettersi a lavoro e imbrigliato nella costrittiva formula del battle shōnen, ben lontana dalla libertà creativa concessa dal genere demenziale di Dottor Slump & Arale e del primissimo Dragon Ball, Toriyama sfogò la sua frustrazione all’interno di un singolo personaggio creato ad hoc: Gohan.
Le similitudini tra il figlio di Son Goku e il suo autore non sono poche: entrambi sono prodigi nei rispettivi campi (Gohan nello studio e nel combattimento, Toriyama è un artista grafico eccezionale) costretti a svolgere controvoglia attività in cui sono bravi, ma risultano per loro frustranti (Gohan è fortissimo ma non vuole combattere, Toriyama è un mangaka di tutto rispetto, ma non vuole disegnare battle shōnen).
Per tutta la durata della Saga di Freezer e per buona parte della Saga di Cell, Gohan viene usato come punching ball dai nemici di turno, pur esibendosi in sporadici momenti di rivalsa rabbiosa che si concludono quasi sempre in un nulla di fatto (vedi la testata nello stomaco di Radish o il rampage contro la seconda forma di Freezer).
Nel momento della verità, ossia lo scontro finale con Cell, qualcosa nell’autore e nel personaggio si rompe definitivamente. Gohan diventa Super Saiyan 2, surclassando tutti gli altri guerrieri Z, inclusi suo padre e Vegeta, e sconfigge il boss finale grazie a uno sfoggio di immane potenza.
È come se Toriyama gli avesse sussurrato: “Non preoccuparti, ragazzo. Adesso io e te ci riprendiamo questo manga alla faccia di Goku e dei sondaggi di gradimento!”
Effettivamente Gohan diventa il protagonista assoluto dei primi capitoli della Saga di Majin Buu, e l’intenzione sembra quella di renderlo l’effettivo personaggio bandiera di Dragon Ball.
Toriyama riprende a fare quello che sa meglio: scene demenziali di vita quotidiana intrecciate con le sue passioni nerd, in questo caso i Super Sentai, da cui l’introduzione di Great Saiyaman.
La distensione e la gioia di quei primi capitoli avranno vita breve.
Il pubblico chiede a gran voce il ritorno del bidimensionale Goku e delle scazzottate soffertone. Toriyama è costretto ad accontentarli, relegando la sua vena demenziale al nemico della saga, quel Majin Buu che il mangaka stesso definisce, per bocca di Goku, il nemico più forte e imprevedibile mai apparso in Dragon Ball.
Con una tale asincronia tra la sua idea di autorialità e il prodotto che lo ha reso celebre, risulta assai più comprensibile l’atteggiamento distaccato di Toriyama nei confronti dei prodotti precedenti a questo Dragon Ball Super – Super Hero, all’interno del quale è presente gran parte delle suggestioni che avrebbe voluto infondere nella serie classica.
Il film parte male con un triplo spiegone carpiato di settimo livello che introduce i due antagonisti della storia, entrambi improbabili discendenti di personaggi noti. Il primo è Magenta, figlio del Generale Red del Fiocco Rosso (da cui ha ereditato la modesta altezza), imprenditore intenzionato a ricostruire l’esercito paterno mascherandolo da multinazionale tecnologica. Il secondo è il Dr Hedo, nipote del Dr Gero con la stessa fissa del nonno per i cyborg, ma descritto come assai più talentuoso e ossessionato dai Super Sentai.
Magenta propone a Hedo di allearsi per sconfiggere i Guerrieri Z, che il nuovo capo del Fiocco Rosso descrive come una società segreta di alieni guidati dalla Capsule Corporation di Bulma con lo scopo dominare il mondo.
Sebbene venga presentato come un personaggio spietato e privo di scrupoli, Hedo si esalta all’idea di salvare il mondo come i suoi amati supereroi e accetta di creare nuovi cyborg per il Fiocco Rosso in cambio di fondi illimitati. L’idea di un industriale che getta fango su una società concorrente è alquanto sorprendente per gli standard di Dragon Ball.
L’antagonista medio del franchise è in genere un tizio che vuole eliminare i Guerrieri Z per vendetta, per dominare il mondo e perché sì. Magenta si dimostra in questo senso molto maturo: a lui non interessa tanto vendicare il padre, quanto far primeggiare la sua azienda, e per farlo deve eliminare slealmente la Capsule Corp.
È una semplice questione di affari.
Poi è ovvio che anche lui, pur non avendo i complessi del padre sull’altezza, scada nel macchiettistico e nella demenza, più che nel demenziale, ma il suo è comunque uno sforzo di caratterizzazione apprezzabile.
Un altro che usa il cervello, anche se in questo caso non è la prima volta, è Piccolo, vero protagonista e antagonista del film.
Dopo essere stato attaccato da Gamma 2, uno dei nuovi cyborg creati da Hedo, invece di buttarsi a capofitto nella base nemica come avrebbe fatto un tizio con i capelli a punta di nostra conoscenza, si finge morto e si infiltra con un travestimento nel quartier generale del Fiocco Rosso, carpendo i piani dei nemici senza che questi gli facessero lo spiegone. Metal Gear Piccolo. In più, da bravo villain, elabora un piano per sabotare i nemici dall’interno e al contempo convincere Gohan a muovere il deretano dal suo studio.
Come? Ma ovviamente rapendogli la figlia!
Purtroppo, nonostante il divertimento nel vedere Piccolo in un ruolo non convenzionale, la prima parte del film risulta drammaticamente lenta nel suo disimpegno. Solo dopo i primi 50 minuti si incominciano a intravedere sprazzi di reale esaltazione. Anche perché Toriyama lancia finalmente in campo il suo campione, Gohan, ancora una volta strappato alla tranquillità del quotidiano per essere lanciato in un mondo di violenza e maleducazione.
L’autore mette subito le cose in chiaro: Gohan è schifosamente forte.
Entra, spacca tutto, si trasforma, si ritrasforma, si tritrasforma e recupera quella carica che non si vedeva dai tempi dello scontro con Cell, la cui atmosfera viene sapientemente ricreata attraverso la magica tecnica del riciclaggio.
Se ha deciso di farsi la parte e rinunciare alla lotta, è solo perché non gli andava di combattere, così come a Toriyama non andava più di occuparsi di Dragon Ball e ha lasciato che fossero Toei e Shūeisha – praticamente i suoi Goku e Vegeta – a fare il lavoro sporco. Magari saranno un po’ arrugginiti, ma sono sempre loro i più forti, sono loro l’autore e il protagonista (mancato) della serie.
A rovinare parzialmente questa rivalsa, si mette in mezzo la totale perdita di controllo sullo schieramento degli antagonisti, che tra cambi di personalità e di bandiera finisce per arrovellarsi su sé stesso per fare spazio al classico mostrone senza cervello dei film di Dragon Ball Z tipo Hildegard e Hatchyack.
Ciò nonostante, in questo film c’è più Toriyama che in tutto Dragon Ball messo insieme.
Le gag demenziali alla Dr Slump; le battute estemporanee sul sedere di Bulma (invero molto imbarazzanti) tipiche dei primi capitoli di Dragon Ball; le onomatopee dei Super Sentai che accompagnano i colpi dei cyborg Gamma; gli sgangherati rapporti genitoriali (quello tra Piccolo e Gohan, ma anche tra Gohan e Pan), anche questi figli di Dr Slump; la creatività con cui vengono utilizzate le abilità dei personaggi.
Ma, soprattutto, il fatto che Toriyama faccia una cosa che non ha mai fatto in 15 anni di serializzazione: si ricorda quello che ha scritto in precedenza.
Piccolo che vuole sbloccare il suo potenziale segreto come Gohan e Crillin su Namek; sempre Piccolo che si ricorda di poter diventare gigantesco come durante lo scontro con Goku al Torneo Tenkaichi. Questi e tanti altri elementi di lore testimoniano l’impegno profuso dal mangaka in fase di stesura dello script.
Curiosamente, l’indole scherzona dello sceneggiatore è stata incoraggiata dalla produzione, che ha affidato il suo film a un regista come Tetsuro Kodama, specializzato in prodotti dedicati a un pubblico infantile. Dargli le redini di un film dalla forte componente action, peraltro animato in grafica computerizzata, rappresentava un doppio azzardo che tutto sommato ha ripagato.
La regia di Kodama è decisamente fluida e le inquadrature a effetto non mancano di certo, sebbene in certi casi si percepisca una certa staticità forzata in scene che richiederebbero maggiore spigliatezza nei movimenti di macchina, soprattutto negli ultimi atti dello scontro finale.
Contribuisce molto l’eccellente comparto sonoro e le musiche curate dal potentissimo Naoki Satō, i cui bassi caricano alla perfezione i momenti topici delle trasformazioni per poi esplodere in accordi catartici durante colpi speciali.
Dragon Ball Super – Super Hero è una ventata d’aria fresca, una deviazione necessaria che libera momentaneamente il pubblico dall’ingombro di due protagonisti, Goku e Vegeta, ormai pietrificati nelle loro caratterizzazioni. È anche un film pieno di rallentamenti, forzature e incongruenze, come tutto ciò che riguarda Dragon Ball, ma se siete tra coloro che, una volta cresciuti, hanno abbandonato il franchise perché si erano accorti che era troppo brutto, vi ritroverete un’onestà e un divertimento che esulano dalle dinamiche di mercato.
Almeno un pochino.
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