Call of Duty Vanguard, la recensione: si torna in trincea

Call of Duty Vanguard

7.2

GAMEPLAY E LONGEVITÀ

8.0/10

COMPARTO GRAFICO E SONORO

7.5/10

COERENZA E CURA DEL DETTAGLIO

6.0/10

Pros

  • Divertente
  • Ben ottimizzato
  • Ottima colonna sonora
  • Modalità Zombie intrigante nel concept...

Cons

  • ...ma insufficiente nel contenuto
  • Campagna dimenticabile
  • Alcuni elementi del multiplayer fanno storcere il naso

Per quanto si possa urlare alla commercializzazione e criticarne le conseguenti scelte di sviluppo e pubblicazione, è innegabile che la saga di Call of Duty abbia un ruolo fondamentale nel Medium: che sia per la campagna, per le componenti multigiocatore, le modalità zombie ho la più recente Battle Royale Warzone, l’IP di Activision sta riuscendo di anno in anno a continuare a far parlare di sé, e anche nel caso di Vanguard, sua ultima iterazione, la cosa non è cambiata.

Dopo averne studiato a fondo i suoi contenuti, siamo pronti a parlarvene per vedere cosa hanno combinato gli sviluppatori di Sledgehammer Games, e fare il punto della situazione sulla saga: ecco la recensione di Call of Duty Vanguard.

Chiunque conosca la saga anche in modo approssimativo, può immaginare quanto può essere difficile per gli sviluppatori decidere un setting ed un’ambientazione per un nuovo gioco di guerra di una saga che conta un totale di quasi 20 capitoli: risulta infatti ovvio che alcune epoche e contesti vengano ripetuti più volte nell’arco dei decenni fino a diventare pressoché scontati, per forza di cose.

In quale trincea ci ritroviamo?

Dopo un World at War impossibile da odiare ed un World War II non propriamente brillante, ci ritroviamo ancora una volta a fare i conti con la Seconda Guerra Mondiale: in questo caso, seguiremo le vicende di una Task Force speciale, i quali membri sono stati selezionati appositamente per essersi distinti in passato dopo aver compiuto e partecipato ad imprese eroiche in alcuni dei più importanti scenari storici del conflitto.

Il tutto inizia durante quella che avrebbe dovuto essere la loro ultima missione, ovvero insinuarsi in una sorta di base portuale nazista per scovare documenti ed informazioni relative ad un misterioso progetto Phoenix, oltre al quale si intravedono segni di divisione ed instabilità nelle autorità e nelle forze politiche del Terzo Reich.

Durante l’infiltrazione però, qualcosa va storto, e i nostri protagonisti vengono catturati e imprigionati per esser posti ad interrogatorio: qui, tra dialoghi e conversazioni, ci ritroveremo a navigare nel loro passato, andando a vivere in prima persona proprio i momenti che li portarono a sopravvivere e a risolvere situazioni disperate al limite dell’impossibile.

Al passato di ognuno di loro sono quindi dedicate intere missioni della campagna, ed essendo tutti quanti di nazionalità ed eserciti diversi, verremo trasportati su più fronti, in contesti, scenari e momenti differenti: alla fine di ognuna di essa, torneremo nel presente per assistere agli sviluppi più attuali, quelli che porteranno effettivamente avanti le vicende di trama fino al gran finale.

Narrativamente parlando, Vanguard prende solo in prestito gli avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale affinché facciano da palco scenico ad una trama dai risvolti storicamente inediti, oltre al quale sorgono sotterfugi e background d’ispirazione distopica.

Seppur si intraveda nel corso delle missioni uno sviluppo degli eventi potenzialmente accattivante, si percepisce una mancanza di approfondimento nei procedimenti legati all’esposizione di un particolare colpo di scena, e conseguentemente, di un finale che, per quanto riesca a risultare scenicamente epico, ci ha lasciato un fastidioso senso di indifferenza e di occasione sprecata.

Un altro problema relativo alla trama riguarda l’utilizzo del contesto storico: in poche parole, dal primo istante di gioco abbiamo avuto la sensazione che l’intera guerra vertesse e dipendesse unicamente dalle gesta dei personaggi principali, che assumono quindi il ruolo di protagonisti assoluti del conflitto, la quale sfacciata caratterizzazione li fa ergere come supereroi piuttosto che come eroi, mancando di dare la meritata giustizia alla tragedia che è stata questa guerra.

Eroismo, ma privo di coraggio?

A livello di composizione della campagna Sledgehammer ha deciso di rinunciare ad alcune delle novità inserite in Cold War (dialoghi multipli, scelte da prendere, interazioni e missioni secondarie, ndr.), per tornare ad offrire una struttura estremamente più semplice e lineare.

Infatti, lo sviluppo delle missioni procede con lentezza nella maggior parte dei casi, affinché il giocatore possa assaporare ogni ambiente e godersi la numerosa quantità di eventi che avvengono in esso, come a fare da spettatore di un film: Su questo, Vanguard svolge un lavoro dignitoso e riesce a regalare diversi momenti di coinvolgimento, in quanto la regia di queste sequenze risulta riuscita e spettacolare, anche grazie ad un comparto artistico che ne esalta a dovere la resa scenica.

Seppur questa sia una struttura funzionale e pratica (utilizzata in molti dei vecchi Call of Duty), nel caso di Vanguard l’abbiamo trovato un po’ sbilanciata, in quanto se da un lato vi sono sezioni pregne d’azione ed intensità, dall’altro ve ne sono altre ben più lente e noiose.

Il gioco prova inoltre a variegare l’esperienza nell’utilizzo dei vari personaggi inserendo piccole capacità e meccaniche uniche ad ognuno di loro, che risultano però talmente blande ed abbozzate che non riescono nemmeno lontanamente a caratterizzarne come si deve il gameplay.

Data la sua scarsa longevità (inferiore ai capitoli precedenti, che già a loro volta non eccellevano a riguardo), la totale (e curiosa) mancanza di ogni forma di collezionabili e di una modalità cooperativa, contribuiscono a rendere la campagna di Vanguard appena sufficiente, che soddisferà praticamente solo coloro che non hanno particolari pretese.

Combattere, ma per competere

La seconda componente del quale vogliamo parlarvi è quella relativa al multigiocatore, che continua ad essere assolutamente imprescindibile.

Come ogni anno, ci siamo approcciati ad essa con estrema curiosità da un lato e sincera preoccupazione dall’altro: nonostante ciò, non siamo ovviamente partiti prevenuti, e abbiamo imbracciato i nostri fucili con la mente libera, appoggiandoci solo ed esclusivamente alla nostra esperienza e conoscenza pregressa di tutti i capitoli precedenti.

La prima cosa del quale ci siamo resi conto scendendo sul campo di battaglia é rappresentata da alcune meccaniche di movimento derivate direttamente dal Modern Warfare del 2019: in particolare, parliamo dello scatto tattico, che permette di applicare un’ulteriore grado di corsa allo scatto normale, che rende il personaggio più veloce a costo di una momentanea mancanza di maneggevolezza dell’arma.

In secondo luogo ritorna anche la possibilità di affacciarsi ed appoggiarsi a sporgenze e superfici che, al contrario dello scatto tattico, incentiva in alcuni casi una certa staticità per favorire un posizionamento strategico.

A metà tra queste due, si trova la possibilità di aprire, chiudere, sfondare e anche distruggere le varie porte presenti nelle mappe di gioco, il che torna ad offrire ulteriori spunti di ingaggio.

Considerato ciò, il level design delle mappe riesce ad essere tutto sommato variegato: seppur la maggior parte di esse recuperino la classica struttura a tre corsie, la differenziazione della gestione degli spazi e delle distanze consente una notevole quantità di possibilità di approccio non solo negli spostamenti ma anche a livello visivo tra finestre, balconate ecc. (che si sviluppano ovviamente anche nei vari piani di verticalità), anche grazie ad una nuova piccola meccanica che consente di frantumare e distruggere pannelli di legno o altri elementi fragili dello scenario.

Nonostante tale varietà, le mappe presentano in prevalenza spazi piccoli e stretti, il che porta i giocatori a muoversi di più rispetto al passato (grazie, tra l’altro, ad un sistema di controllo pad/mouse e tastiera alla mano particolarmente reattivo), e che rende a sua volta il flusso e la velocità di gioco decisamente rapida.

Considerando che il time to kill risulta ancora piuttosto basso, molte azioni saranno pressoché fulminee: se da un lato riuscirete a compiere multiuccisioni con una certa velocità, dall’altro morirete più e più volte in continuazione (spesso senza rendervene conto) in modo decisamente più netto rispetto a Modern Warfare o a Cold War.

Sotto questo punto di vista, e da segnalare un gravissimo problema di respawn system, che vi farà rinascere molto spesso proprio accanto ai vostri nemici e alla loro linea di spawn (e viceversa), creando notevoli disagi e confusioni nelle strategie di trapping, che risulterebbero sbilanciate e scorrette nel modo sbagliato.

Nonostante ciò, lo shooting ed il feedback dei colpi continua ad essere tra i migliori in circolazione, in quanto ogni arma riesce ad essere ancora incredibilmente soddisfacente, specialmente quando si colpisce un nemico alla testa: se da un lato infatti gli headshot sono fortemente incentivati, dall’altro abbiamo notato qualche problema nel bilanciamento dei danni infieriti sul resto del corpo in base alla distanza del bersaglio, come se la statistica legata alla gittata non sia coerente con quella che dovrebbe essere l’utilità e l’efficacia dei vari tipi di arma in base alla situazione.

Un altro problema di coerenza delle armi risiede nella gestione del suono spaziale, in quanto la resa dei loro effetti sonori spesso e volentieri non combacia nemmeno lontanamente con quella che dovrebbe essere: quando verrete uccisi dalla più silenziosa delle pistole di basso calibro vi sembrerà di essere stati colpiti da una palla di cannone, mentre al contrario i colpi di cecchino risulteranno tutt’altro che rumorosi.

Quindi, che si fa?

In termini di modalità troviamo un paio di novità piuttosto interessanti: la prima è Pattuglia, una specie di modalità postazione nel quale l’area da mantenere, invece di cambiare la sua zona ogni tot tempo, sarà in costante movimento, e attraverserà il in lungo e in largo l’intera mappa nell’arco della partita.

Questa modalità riesce a funzionare piuttosto bene e, seppur l’azione si concentri sempre sulla zona di conquista, il fatto che essa si sposti secondo pattern predefiniti permette di approcciarsi ad essa con imboscate e strategie di anticipazione che non abbiamo visto in altre modalità.

La seconda prende invece il nome di Collina dei Campioni, nel quale molteplici squadre composte da coppie o terzetti si ritroveranno in una mappa suddivisa in arene più piccole nel quale dovranno sfidarsi faccia a faccia (sempre una squadra contro una squadra), con l’obiettivo di arrivare in finale per poi rimanere l’ultima in vita: le vite saranno limitate (comuni per tutta la squadra) e, ad ogni round vinto, i giocatori otterranno dei soldi con il quale potranno acquistare armi, potenziamenti e corazze.

Quindi, questa struttura a mo’ di mini torneo con meccaniche di progressione e sopravvivenza rappresenta in tutto e per tutto un’evoluzione dei classici 2v2 e 3v3, perfetta per i piccoli gruppi di amici che hanno intenzione di cimentarsi in qualcosa di ben più strategico ed impegnativo rispetto al solito deathmatch spensierato e caciarone.

Articoli che potrebbero interessarti

Personalizzare la propria esperienza

Un’altra delle novità che Vanguard propone riguarda il selettore del ritmo: uno specifico filtro che divide le modalità in tre categorie (tattico, assalto e blitz) che definiscono la quantità di giocatori che una partita può ospitare.

Considerando che le modalità e le mappe rimangono assolutamente invariate, la differenza nel numero di giocatori ne cambia in modo pressoché totale la godibilità: se tra Tattico ed Assalto la cosa è gestibile, lo stesso non si può dire di Blitz che arriva ad ospitare in certi casi fino ad un totale di 48 giocatori (nelle stesse mappe che, nei tutti contro tutti ne ospitano 8, per esempio) nel quale ogni meccanica ed elemento di design crolla su sé stesso in favore di un’esperienza talmente caotica da essere ai limiti dell’ingiocabile e, conseguentemente, fortemente sconsigliata.

Per quanto si tratti di un’opzione in più per personalizzare il proprio approccio al multiplayer, il modo in cui è stata implementata risulta piuttosto pigra ed approssimativa: il nostro consiglio è infatti quello di provarle tutte per poi dedicarsi costantemente solo alla preferita, invece di passare continuamente dall’una all’altra, proprio a causa del senso di confusione provocata dalla differenza nel numero di giocatori.

A fine partita, oltre al replay della miglior giocata/uccisione finale, è stato aggiunto l’MVP Team, una selezione dei tre giocatori che si sono distinti durante la partita (per numero uccisioni, zone conquistate ecc.), che potremmo votare come miglior giocatore.

Seppur questa aggiunta permetta di premiare coloro che si sono davvero impegnati, ci si rende velocemente conto di quanto sia una lungaggine non richiesta, che non fa altro che aumentare inutilmente il tempo tra una partita e l’altra (soprattutto considerando la storica ed importante immediatezza che ha sempre contraddistinto le partite multiplayer della saga).

Per il resto, il multiplayer e la progressione rimangono in linea con quelli dei capitoli precedenti, con una notevole quantità di armi, accessori, killstreak, operatori e skin da sbloccare tramite livellamento del personaggio e del Season Pass.

Complessivamente, non possiamo negare che Vanguard sia riuscito nonostante tutto a divertirci e ad intrattenerci per molte ore, e considerando una già annunciata roadmap di aggiornamenti e contenuti bella piena, è probabile che ci terrà incollati per altro tempo.

Dall’altro punto di vista però, dopo tutti questi anni, sarebbe stato lecito aspettarsi dei reali passi avanti e guizzi creativi interessanti, cose che questo capitolo non ha e che, come per la campagna, soddisferà sempre gli stessi giocatori abituali, sempre e solo per il solito senso di divertimento generico che continua ad offrire da molti anni a questa parte, e non per una singola ragione in più.

Cerveeeeeelli!

Ad affiancare le due modalità principali del quale vi abbiamo appena parlato ci pensa ancora una volta la modalità Zombie in una storyline inedita, sviluppata in collaborazione con Treyarch.

La riconquista di Stalingrado da parte dei russi è stata una delle mosse che portarono alla sconfitta del Terzo Reich, e quindi alla fine del conflitto: come ultima mossa per cercare di ribaltarne le sorti, un gruppo delle SS formato da scienziati, ricercatori e studiosi del soprannaturale guidato dal Barone Von List riescono a sfruttare alcuni manufatti ritrovati per evocare e risvegliare un’antica forza maligna.

Dopo aver stipulato un patto con un potente demone, Il Barone ha ottenuto il potere di resuscitare i morti che, nella forma rinata, prendono il nome di redivivi: ovviamente, toccherà ancora una volta a noi comporre una squadra per respingere questa nuova pericolosa minaccia.

La prima ed unica mappa disponibile al lancio è Dar Anfang, ambientata proprio nel cuore della città russa: una volta entrati in partita ci ritroveremo al centro di di una grande piazza, le quali uscite saranno come di consueto bloccate.

A differenza del solito però, per procedere con l’avanzamento dei round non ci toccherà semplicemente sconfiggere tutti gli zombie che ci arriveranno addosso, bensì dovremo accedere ad uno dei tre squarci dimensionali disponibili, che ci teletrasporterà in una specifica arena (e quindi in un altro ambiente), all’interno del quale dovremo completare un certo obiettivo (determinato dal portale scelto).

Una volta fatto, faremo ritorno a Stalingrado, il che sancirà il passaggio del round e il conseguente aumento di difficoltà del mondo di gioco: inoltre, data la assenza di porte da aprire con i soldi accumulati, una volta superato un turno all’interno di uno squarcio, si aprirà una nuova zona della piazza di Stalingrado, che ci farà a sua volta accedere ad altri edifici, passaggi ecc.

Ovviamente, potremo investire i soldi accumulati nel round per potenziarci progressivamente, cercando armi potenti nella cassa misteriosa, comprando corazze ed equipaggiamenti al banco di lavoro, evolvere la propria arma tramite il pack-a-punch è persino potenziare i perk presso le apposite stazioni sparse un po’ in tutta la mappa (dato che il perk base potremo ottenerlo gratuitamente).

Inoltre, vi è anche l’Altare dei Patti, presso il quale potremo scambiare i cuori (ne otterremo uno per ogni round superato) con una selezione di tre abilità passive/potenziamenti unici (scelti casualmente tra quelli disponibili, in base alla loro potenza), e potremo equipaggiarne solo tre alla volta: ciò permette di creare vere e proprie build per massimizzare l’efficacia degli effetti delle armi e degli equipaggiamenti che abbiamo deciso di utilizzare per quella run.

A tal proposito, va segnalata una scelta di design che troviamo inspiegabilmente priva di senso: le abilità disponibili presso l’altare saranno sempre le stesse, e ogni volta che ne acquisiremo una, lo slot dell’altare rimarrà vuoto e verrà riempito solo al round successivo con un’abilità nuova.

Conseguentemente, dopo che ne avremo già ottenute tre, se ci dovessimo rendere conto che la selezione offerta dall’altare non faccia al caso nostro e volessimo quindi visualizzarne di nuove, saremo costretti a scambiare (e quindi sacrificare) una o più delle nostre acquisite in precedenza, affinché uno slot dell’altare rimanga vuoto (e possa esser riempito) per il round successivo.

Ciò rende evidente una mancanza di quality of life, che rende tale meccanica intrigante solo nell’effetto pratico delle abilità ma scomoda e frustrante per quelle che sono le logiche di potenziamento del personaggio rispetto all’avanzamento della partita: secondo noi, avrebbero potuto ovviare al problema facendo ruotare casualmente i set di abilità ogni tot turni, oppure permettendo al giocatore di rerollare manualmente gli slot ad un certo costo di cuori.

Una volta superato il primo giro di completamento, potremmo accedere ad un nuovo portale, quindi ad una nuova arena con un nuovo obiettivo da raggiungere, ripetendo quindi il ciclo fin quando non verremo sconfitti o fin quando non decideremo di eseguire l’estrazione (dal quarto round in poi) ed ottenere quindi ricompense migliori.

Quanto fumo e quanto arrosto?

Le attività da svolgere all’interno dei portali saranno un totale di tre: in Raccolta dovremmo collezionare determinate tavolette che verranno rilasciate casualmente dai redivivi uccisi per poi depositarle presso un obelisco magico la quale posizione cambierà ogni cinque tavolette consegnate, in Trasmissione ci toccherà scortare la testa fluttuante di un redivivo in un percorso predefinito, mentre in Blitz ci spetterà solo ed unicamente sopravvivere per qualche minuto.

Per quanto questa struttura riesca ad essere originale ed inizialmente interessante, bastano veramente poche partite per rendersi conto di quanto Dar Anfang sia contenutisticamente insufficiente: non solo gli obiettivi sono troppi pochi e troppo banali, ma lo sono anche gli ambienti e le arene nel quale verremo teletrasportati per compierli, che sono a loro volta riciclate da porzioni di una missione della campagna e di una mappa multigiocatore ( forse solamente in un paio di casi ci troveremo in ambienti unici, che verranno ahimé anch’essi ripetuti allo sfinimento).

Discorso simile va fatto sul fattore sopravvivenza: letteralmente nella prima partita abbiamo raggiunto il round 14 senza pressoché alcuna difficoltà, riuscendo tranquillamente a potenziare al massimo praticamente ogni nostro equipaggiamento piuttosto presto e, percependo una totale mancanza di mordente nel proseguire la run e avendo avuto la sensazione di aver già approfondito tutto, abbiamo deciso quindi di lanciarci nell’estrazione per concludere la partita.

Anche in questo caso, la sensazione di potenziale sprecato prende il sopravvento in modo consistente, facendoci credere e soprattutto sperare che con i futuri aggiornamenti, Sledgehammer e Treyarch riescano a rendere giustizia ad un concept così intrigante sviluppandolo ed elaborandolo più in profondità.

Una questione di tecnica

A livello grafico, non vi è alcuna rilevazione particolare da notificare: il motore di gioco è lo stesso del Modern Warfare del 2019, che anche in questo caso esalta la resa degli interni tra texture ambientali ed effetti di luce, mentre quella relativa a spazi e scenari aperti rimane in linea con quella dei capitoli precedenti, in quanto si limita ad essere funzionale al gameplay ed incentivare una certa chiarezza e pulizia visiva generale (anche considerando la sua natura cross gen).

Un plauso notevole va fatto per quanto riguarda la colonna sonora, che seppur rientri in canoni di genere abbastanza banali per questo tipo di setting, riesce ad offrire una serie di temi pregni di epicità e solennità nella campagna (forse fin troppa, considerata la scarsa memorabilità di quest’ultima), mentre quelli relativi al multiplayer si adattano al mood della Seconda Guerra Mondiale quando si naviga tra i menù, ed accentuano a dovere i momenti cardine delle partite.

Anche in termini di ottimizzazione è stato fatto qualche importante passo avanti: oltre ad essere ben più solido in termini di stabilità del framerate e performance prestazionali, il sistema di compressione e gestione dei file del software è stato finalmente rivisto affinché non risulti un mattone per la console/PC, permettendo quindi di dare respiro all’hard disk/SSD di turno senza occupare inutilmente centinaia di GB.

Conclusioni

Avendo giocato e seguito praticamente ogni iterazione e l’andamento creativo della saga ultradecennale, è facile comprendere quali siano i canoni di aspettativa ed offerta di un suo nuovo capitolo: ebbene, Call of Duty Vanguard rientra appieno in essi sotto pressoché ogni singolo punto di vista, risultando letteralmente come un “Call of Duty qualsiasi“, che intratterrà tutti coloro che hanno sempre trovato godibile e divertente l’esperienza base offerta dai vari capitoli della saga, e non prova nemmeno per un istante a sforzarsi per offrire qualcosa di più.

Se a ciò aggiungiamo una dose inaspettata di scelte di design discutibili e un generale senso di indifferenza nella fruizione dell’opera, vien da sé rendersi conto di quante poche idee chiare abbiano in questo periodo gli sviluppatori di Sledgehammer Games.

Noi rimaniamo fiduciosi almeno per quanto riguarda la modalità Zombie sperando che possa essere sviluppata a dovere con aggiunte ed aggiornamenti, ma allo stato attuale delle cose, se siete estranei a Call of Duty e volete provare ad approcciarvici potete tranquillamente dimenticarvi dell’esistenza di questo capitolo, in quanto diamo per certo che non sarà sicuramente lui a farvi appassionare alla saga.

Seguici su tutti i nostri social!
CondividI
Mattia Mariano

Salve a tutti, sono Mattia, e da circa 18 anni ho un'intesa passione per il mondo dei videogiochi, e con essa mi porto dietro una forte propensione alla discussione e al dialogo il più discorsivo possibile riguardo questa incredibile arte.

Vedi commenti

  • Ottima recensione, mi trovo d'accordo su ogni punto!
    Aggiungerei solamente un altro piccolo problema di posizionamento degli obiettivi statici nelle mappe per le modalità che ne prevedono...
    Purtroppo spesso alcuni di essi tendono a trovarsi in punti estremamente ostici che non permettono alcun tipo di approccio tattico, il che potrebbe infierire sull'aspetto competitivo st'anno (nulla che non possa essere risolto con una patch però!).
    Inoltre molto probabilmente la problematica degli spawn sarà quasi impossibile da aggiustare, dato che le dimensioni ristrette delle mappe e la mobilità estremamente frenetica del gioco non permettono agli spawn di allocare i giocatori in punti safe in quasi nessun caso.

    Detto ciò ripeto... gran bella recensione!

    • Ohi, ti ringrazio molto per il complimento :D
      Pensandoci bene ci sono diversi punti tra le bandiere di dominio e le aree di postazione che sono quasi ingestibili da quanto sono "all'aperto" o comunque in zone difficili da contendere, considerando quanto è tutto iperreattivo non riesco nemmeno io ad immaginarmi una scena competitiva un po' seria, io stesso gioco senza pressochè alcun "impegno" a riguardo proprio perchè si muore (e si uccide) talmente in fretta e talmente a caso (in certi casi) che penso sia difficile approcciarcisi seriamente, salvo usando i soliti pretesti come camperare ed usare setup di armi incontrastabili

  • Articoli recenti

    Un’Avventura Spaziale – Un Film dei Looney Tunes, la Recensione: Ancora qui a sorprendere

    Dopo il deludente e già dimenticato Space Jam 2 c'era molta attesa per il ritorno…

    % giorni fa

    Lucca Comics & Games 2024: com’è stata la prima versione dell’Indie Vault?

    Uno degli annunci che mi hanno più incuriosito della non-conferenza di Lucca fu quello della…

    % giorni fa

    Look Back, la recensione: il film dell’anno

    Con l'elegante ritardo a cui siamo abituati, dal 7 novembre Look Back è finalmente disponibile…

    % giorni fa

    Red Dead Redemption, la recensione: la redenzione arriva su PC

    Incredibile ma vero, Red Dead Redemption è finalmente disponibile su PC, piattaforma su cui non…

    % giorni fa

    Call of Duty: Black Ops 6, la recensione: in bilico tra una guerra e l’altra!

    Come quasi ogni saga videoludica "longeva", nei due decenni abbondanti della sua vita anche quella…

    % giorni fa

    Neva, la recensione: il fiore della vita

    Tra i giochi indie che negli ultimi anni hanno più smosso anche i gamer più…

    % giorni fa