Come quasi ogni saga videoludica “longeva”, nei due decenni abbondanti della sua vita anche quella di Call of Duty ha visto passare davanti a sè diversi filoni narrativi e creativi.
In particolare, dal 2010 possiamo dire che quello di Black Ops ne abbia viste di tutti i colori: tra capitoli “storici” ed altri futuristici, arrivò con Black Ops 4 addirittura a rinunciare del tutto alla campagna a giocatore singolo in favore di Blackout, la modalità Battle Royale che fece da base per quella che sarebbe poi divenuta l’attuale Warzone.
Fu poi con Black Ops Cold War che Activision e Treyarch decisero di tornare alle origini, riprendendo eventi, personaggi ed atmosfere del titolo originale: ebbene, è da poco uscito il sesto capitolo numerato, che avrebbe fatto da sequel proprio a quello del 2020.
Scopriamo com’è andato Black Ops 6 nella sua recensione.
Le vicende hanno inizio nel 1991, mentre la propaganda americana grida alla fine della guerra fredda e all’inizio dell’era del disarmo nucleare si creano tensioni con i paesi del medio-oriente, dove, a causa di manovre belliche come l’operazione Desert Storm ordinata dal presidente Bush, continuano ad infuocare scontri tra le forze occidentali e quelle locali.
Durante i suddetti eventi, la squadra di un Frank Woods ormai in sedia a rotelle viene interrogata e messa sotto torchio dal comandante Livingstone in seguito ad un’operazione al confine tra l’Iraq e il Kuwait volta alla cattura del vice di Saddam Hussein, Alawi, che venne rovinosamente compromessa e che causò l’imprevista morte di quest’ultimo.
Stando alle loro testimonianze, il fallimento del piano è stato dovuto all’improvviso intervento sul campo di alcune forze esterne e sconosciute: si tratta del gruppo paramilitare dal nome in codice Pantheon, che, stando alle prime rilevazioni, sembrerebbe avere legami sottobanco con la C.I.A. e, per estensione, con il governo americano.
Così, dopo esser stati congedati, i protagonisti decideranno di indagare per conto loro sui suddetti avvenimenti, usando come base operativa una villa abbandonata nelle campagne della Bulgaria, che fece da nascondiglio dell’agente Russell Adler prima che venisse catturato in seguito agli eventi di Cold War.
Nei panni di Case, verremo spediti in giro per il mondo con l’obiettivo di recuperare informazioni, svelare i misteri dietro Pantheon e sventarne i piani malvagi.
In termini narrativi, Black Ops 6 si pone in linea con i due predecessori proponendo ed approfondendo tematiche, atmosfere e sviluppi di trama tipici per la saga: ancora una volta, tutto andrà a basarsi su sotterfugi, intrighi politici e segreti governativi nascosti al mondo, in vista di un conflitto globale incombente e dai risvolti potenzialmente catastrofici.
Tutto ciò si presta perfettamente a quel periodo storico dove propagande aggressive, relazioni politiche instabili e guerre di informazioni permeano l’aria di un clima di tensione ed insicurezza palpabile, come una lunga ed intensa partita a scacchi dove ogni mossa può far traballare la pace nel mondo.
A differenza del primo Black Ops e di Cold War però, in questo caso gli scrittori hanno preferito focalizzare il tutto sulle gesta, sugli aspetti psicologici e sulle relazioni tra i personaggi, rappresentandoli come eroi con manie di protagonismo piuttosto che come pedine di una scacchiera molto più grande ed elaborata di loro, tralasciando il contesto storico sopracitato (del quale vi è giusto qualche timido accenno), .
Durante la campagna, infatti, tale aspetto viene fuori in pressoché ogni missione, dove tutto va sempre liscio come l’olio, ogni piano procede nel migliore dei modi e senza praticamente alcun intoppo.
Personalmente ritengo che tale scelta creativa si sarebbe prestata decisamente meglio alla saga di Modern Warfare, dove il Capitano Price, Soap MacTavish e gli altri membri della Task Force 141 rappresentano personalità decisamente più forti, ed è inteso con maggiore coerenza che gli eventi siano in loro balia, e non il contrario.
Questo finisce in un certo senso per svilire quel meraviglioso mood creatosi con il primo Black Ops, che riusciva a immergere il giocatore in un’atmosfera realmente densa di tensione, in una maniera che nessun Call of Duty era riuscito a fare.
A tutto ciò fa fronte una trama che tutto sommato si regge in piedi bene: nonostante la maggior parte dei tropi narrativi presenti siano alquanto banalotti, vi saranno comunque una serie di risvolti e colpi di scena abbastanza inaspettati da intrigare il giocatore, ed invogliarlo a proseguire fino alla fine per vedere la conclusione degli eventi.
In tal senso, ho apprezzato il fatto che, similarmente a quanto visto in Cold War, vi sia un cliffhanger sul finale che potrebbe potenzialmente aprire la strada verso filoni narrativi del tutto nuovi per la saga.
A livello ludico invece, Black Ops 6 andrà a proporre una varietà di missioni così diversificate da sembrare appartenere, a tratti, a giochi diversi.
Tra sequenze di infiltrazione, fasi open map, scontri movimentati, cambi di prospettiva, inseguimenti al cardiopalma ed un altro paio di sezioni del quale preferirei non parlare per evitare spoiler, c’è davvero di tutto e forse anche di più.
A tal proposito, considerando che la longevità si attesta sulle cinque/sei ore, vi è una sovrabbondanza di fasi stealth con elementi da immersive sim che, per quanto cerchino di offrire più spunti d’approccio e di rigiocabilità, finiscono per procedere in maniera comunque lineare e, salvo un paio di casi, non riescono a brillare per originalità o spunti di design particolari.
Per quanto il tema ed il periodo storico impediscano di mettere in scena chissà quale grande battaglia su larga scala, dopo tutti questi anni mi sarebbe piaciuto vedere un ritorno ad una epicizzazione dell’azione più marcata, anche a costo di sacrificare un po’ di sospensione dell’incredulità.
Quindi, nonostante non manchino momenti ad alta intensità, il ritmo delle missioni rimane comunque un po’ troppo al ribasso, specialmente considerando non vuole e non deve sottostare alle regole di realismo volute per i Modern Warfare recenti.
Un appunto assolutamente positivo va fatto invece per quanto riguarda gli scenari, che riescono ad esser estremamente variegati ma anche caratterizzati da una quantità di dettagli visivi spaventosa, al punto che mi è venuta voglia in più di un’occasione di soffermarmi e guardarmi attorno per apprezzarne ogni minuzia, o anche solo per vedere e sentire altri NPC parlare ed interagire tra loro.
A livello di gameplay, va segnalata l’interessante aggiunta di “nemici speciali”, che non si limitano ad esser semplicemente delle versioni più corazzate e resistenti delle unità base, ma si adoperano anche per piazzare trappole elettriche, lanciare granate a gas velenoso e persino teleguidare una RC-XD.
Due parole vanno spese anche per quello che è l’HUB centrale: durante le missioni potremo in vari modi acquisire del denaro, che potremo poi spendere per “allestire” alcune stanze della villa abbandonata con un poligono di tiro, un banco da lavoro ecc.
Con questi, avremo accesso a dei potenziamenti passivi di varie categorie che ci daranno dei vantaggi sul campo, come l’aumento della velocità di ricarica o dei danni inflitti, la possibilità di trasportare più equipaggiamenti piuttosto che di craftare una varietà di armi uniche con relativi accessori ecc.
Ebbene, tale meccanica di avanzamento risulta obiettivamente superflua e fine a sé stessa, in quanto non riesce in alcun caso ad integrarsi a dovere con la struttura della campagna o a proporre un senso di progressione interessante.
Apprezzatissimo invece l’inserimento di un vero e proprio easter egg che funge da missione secondaria: dopo aver ottenuto la torcia a raggi UV, potremo indagare su alcune tracce lasciate in giro per la casa e completare enigmi che, indizio dopo indizio, ci faranno accedere a zone segrete e a scoprire dettagli aggiuntivi su questa ambientazione.
Per quanto nelle varie modalità secondarie dei Call of Duty precedenti siano sempre stati presenti easter egg di questo tipo, mi ha colpito il modo in cui Treyarch sia riuscita ad integrarne uno così bene in una campagna a giocatore singolo.
È semplicemente perfetto; gli enigmi per quanto abbastanza semplici, risultano comunque interessanti e richiedono una discreta dose di osservazione, così come i segreti dietro essi celati sono avvolti in un’aura di mistero che si adatta alla grande a quell’atmosfera.
Il bello è che il tutto avviene in maniera estremamente sottile e silenziosa, in quanto potreste tranquillamente perdervela tra la foga di una missione e l’altra: al contempo, coloro che vorranno guardarsi più attorno e approfondire la questione verranno coinvolti in una caccia al tesoro davvero piacevole.
Come unica nota negativa va detto che una volta imboccata la giusta strada sarà possibile completare il tutto davvero in poco tempo, mentre la ricompensa finale non rappresenta altro che un piccolo contentino per il giocatore: nonostante ciò, mi auguro con tutto il cuore che Treyarch possa riproporre altre idee simili in futuro in forme un po’ più elaborate e, perché no, magari anche più complesse da portare a termine.
In definitiva, nonostante qualche banalità di troppo e qualche scelta creativa a mio avviso discutibile, la campagna di Black Ops 6 si fa sicuramente godere con gusto, in particolare grazie alla notevole varietà di situazioni.
Ma ovviamente non sarebbe Call of Duty senza la sua altra grande componente principale, il multigiocatore.
Fondamentalmente, l’impianto PVP proposto da Black Ops 6 si pone perfettamente in linea con gli ultimi capitoli della saga: esso porta con sé un totale di 16 nuove mappe ed un grande assortimento di armi, accessori, perk e modalità, molte delle quali già viste in passato mentre altre del tutto inedite.
Quindi contenutisticamente parlando non si discosta in alcun modo dagli ultimi capitoli della saga: al contempo, vi è una grande novità dal punto di vista meccanico chiamata “Onnimovimento”.
Per farla breve, si tratta di un insieme di migliorie e rifiniture nel sistema di controllo del personaggio, che permette di gestire con maggiore fluidità ogni nostra azione.
Laddove in passato capitava di incastrarsi in certi punti e di avere di conseguenza i movimenti inibiti, in questo caso avremo la possibilità di scattare e tuffarci in qualsiasi momento verso ogni direzione e di ruotare rapidamente la visuale anche da accovacciati o sdraiati.
Con una versatilità di controllo del genere, i giocatori possono agire e muoversi con una consapevolezza molto diversa in quelle che sono le logiche di spostamento nella mappa, in tutto ciò che riguarda le tattiche posizionali, data l’agilità con cui è possibile ora guardarsi attorno, approcciarsi agli angoli e in generale tenere sotto controllo l’andamento delle sparatorie.
Questo cambia per forza di cose anche il ritmo delle battaglie, che sono ancor più rapide e movimentate che in passato: ovviamente, con la suddetta precisione nei controlli risulta più ovvio che mai il fatto che l’esito di certi scontri verrà portato a casa solo da chi ha una maggior coordinazione movimento-mira e riflessi fulminei.
Considerato quanto alti siano stati i livelli raggiunti dal sistema di shooting negli anni (che rimane eccezionale anche in questo capitolo), ho apprezzato enormemente la volontà di Treyarch di focalizzarsi su aspetti del genere che, per quanto siano sempre stati di buon livello, avevano ancora qualcosa di migliorabile, e Black Ops 6 ne è la dimostrazione.
Infatti, si tratta di un’aggiunta di quality of life così funzionale e ben implementata che sarà ormai obbligatoria ed imprescindibile anche per i futuri capitoli della saga, il che, per la prima volta dopo svariati anni, profuma davvero tanto di innovazione.
Al contempo, va detto che si tratta di un sistema così impattante sull’economia di gioco da creare un divario ancor più ampio tra gli esperti ed i nuovi giocatori (o, in generale, per chi ha meno tempo da dedicare al titolo), che potrebbero venir totalmente soverchiati dal livello di competitività raggiunto, anche nelle modalità non classificate.
Questa disparità porta uno scompenso nello stile di gioco dei vari giocatori e, di conseguenza, ad un andamento delle partite irregolare e discontinuo: praticamente in ogni partita troverete giocatori che corrono e saltano in giro come forsennati ed altri che non si smuoveranno da un punto fisso neanche sotto tortura, senza che vi sia una via di mezzo tra le due cose.
Conseguentemente, alcune partite saranno talmente caotiche e rapide da non avere nemmeno il tempo di rinascere che già vi ritroverete coinvolti in una sparatoria, mentre in altre tutto sarà decisamente più statico e lento, anche in base alla mappa.
A proposito, queste ultime vantano un’ottima varietà di level design, e sono differenziate per dimensioni, gestione degli spazi, spunti di verticalità e composizione strutturale, alcune dal classico impianto a tre corsie ed altre di natura circolare.
Sotto questo punto di vista, Black Ops 6 rappresenta in tutto e per tutto un’altalena qualitativa.
Laddove si percepisce in quelle più contenute che vi è un grande studio di quella che è la gestione degli spazi, dei punti di ingaggio e degli snodi di interconnessione, in altre va notificato un posizionamento degli elementi ambientali curiosamente pigro e frettoloso, che le rendono scomode e noiose da gestire.
Di conseguenza, alcuni settori delle mappe saranno particolarmente frequentati, mentre altri ben più vuoti ed inattivi: sotto questo punto di vista avrei preferito un’attenzione maggiore nella gestione delle aree più aperte, che potesse valorizzare le mappe più ampie e rendere più interessanti gli scontri sulla lunga distanza.
Gravemente insufficiente invece il sistema di respawn che, nonostante la presenza di molte zone “sicure”, vi porterà a rinascere spesso e volentieri nei punti peggiori, troppo vicini alle aree di combattimento più frequentate o agli obiettivi da conquistare di turno, portandovi in troppi casi a ritrovarvi immediatamente di fronte a dei nemici.
Nonostante tutto ciò, va detto che il multiplayer di Black Ops 6 rimane assolutamente divertente e spettacolare, e potrebbe facilmente risucchiarvi nel suo vortice d’azione.
Il time to kill e l’equilibrio generale di gioco risultano probabilmente i più azzeccati degli ultimi anni, le armi riescono ad avere un feedback tattile unico e soddisfacente, mentre il sistema di progressione funziona alla grande, invogliando il giocatore ad andare avanti per provare nuove build e sperimentare nuovi approcci.
Al contempo, se non siete disposti a chiudere un occhio sul fatto che alcuni degli elementi che lo compongono siano disarmonici e a tratti disfunzionali, potreste perdere molto presto la voglia di giocarci.
L’ultima ma non meno importante componente ormai fondamentale per i titoli Treyarch è la modalità Zombie: dopo il passo falso della strutturazione open world vista in quella di Modern Warfare 3 (del quale parlai proprio su queste pagine circa un anno fa), lo studio ha preso la decisione di fare un passo indietro, tornando a proporre la storica versione cosiddetta “round-based”.
Così ho avuto modo di provare approfonditamente le due mappe attualmente presenti in gioco: la prima prende il nome di Liberty Falls ed è ambientata nei sobborghi di una cittadina ormai distrutta e abbandonata nella campagna del Nord America, mentre la seconda, Terminus, avrà luogo tra gli inquietanti laboratori di un’isola-prigione sperduta in mezzo al mare.
Anche in questo caso, Treyarch ha preferito rimanere sul sicuro, proponendo formule di gameplay praticamente identiche a quelle viste in Cold War, che a suo tempo le prese in prestito dall’originale Black Ops, con qualche modifica ed aggiunta derivante dalla modalità Warzone.
La struttura è bene o male sempre quella: partendo con la sola arma iniziale in una porzione di mappa ristretta, dovremo sopravvivere alle ondate di zombie, e, round dopo round, usare il denaro accumulato per aprire porte e sbloccare accessi, potenziare armi presso il Pack a Punch, acquistare bevande energetiche e attivare le trappole.
Ovviamente, nessuno ci impedirà di sfidare la sorte presso la cassa misteriosa, che estrarrà per noi un’arma casuale dal loot pool, alla ricerca della leggendaria Pistola a raggi o della wonder weapon di turno.
Oltre a ciò, vi saranno casse di munizioni, ricariche per la corazza, banchi da lavoro dove potremo utilizzare i materiali per costruire vari equipaggiamenti e la cabina arsenale, che ci permetterà di applicare effetti elementali alle nostre armi.
Tra le novità, va segnalata l’introduzione di una meccanica che permette ai giocatori di dividere le spese necessarie per l’apertura delle porte, il che semplifica lo sblocco delle varie aree e, di conseguenza, l’accesso ai sistemi di potenziamento e ai vari spunti di interazione.
A proposito di questi ultimi, in entrambe le mappe sono presenti anche in questo caso delle easter egg attorno al quale ruota l’intera narrativa.
Per portarle a termine dovremo seguire con precisione vari step, come il recupero di oggetti specifici sparsi per la mappa, l’assemblaggio della wonder weapon o del dispositivo speciale di turno e l’attivazione di eventi di gioco unici, come sfide particolari, enigmi ambientali e bossfight.
Qui sorge prepotentemente la prima sostanziale differenza tra le due mappe: se quella di Liberty Falls non presenterà chissà quale spunto interessante e risulta abbastanza semplice da portare a termine, quella di Terminus sarà invece ben più strutturata, complessa e longeva, specialmente per quanto riguarda l’entità degli enigmi ed il posizionamento delle varie interazioni.
Questo cambia di gran lunga anche l’approccio a quello che è il mood delle due mappe: in tal senso, Liberty Falls sa davvero di poco, proponendo un’ambientazione piccola in termini di estensione ma comunque spaziosa, aperta ed alla luce del sole, che non riesce in alcun modo a trasmettere qualsivoglia forma di tensione.
Al contrario, Terminus risulta assai più ampia ma al contempo cupa, inquietante e meglio gestita a livello d’atmosfera, grazie ad una resa degli scenari decisamente più d’impatto, che mi ha ricordato da vicino alcune delle mappe storiche di Call of Duty Zombies, come Der Riese e Mob of the Dead.
A parte questo, seppur possa sicuramente offrire qualche ora di divertimento ed intensa azione, ho trovato entrambe le mappe un po’ fini a loro stesse.
Una volta portate a termine le easter egg e svelati i segreti di entrambi, non si ha praticamente alcuno stimolo a continuare a giocarle: a differenza di molte delle mappe del passato, in questo caso non ho avuto la sensazione di avere a che fare con una modalità di sopravvivenza nuda e cruda piena di misteri da svelare, bensì con una semplice avventura non lineare con ondate di difficoltà crescente.
La presenza di una minimappa zeppa di icone, la possibilità di scavalcare ostacoli e salire sulle zone sopraelevate e di utilizzare elicotteri, missili ecc. sono solo alcune delle semplificazioni che, se da un lato migliorano ed ampliano le possibilità d’approccio, dall’altra disinnescano il costante senso di pericolo ed adrenalina tipica della modalità, che è ormai andato inevitabilmente a perdersi.
Se a ciò aggiungiamo un vero e proprio sistema di progressione, che consente di crearsi dotazioni e classi sempre più potenti con il quale entrare in partita, e di avere persino la possibilità di salvare i progressi per poi riprenderli in un secondo momento rende evidente il fatto che voglia essere una modalità da prendere con più leggerezza rispetto al passato.
Si tratta di una scelta creativa che può essere apprezzata e che a suo modo riesce a risultare comunque intrattenente: per quanto la curiosità di vedere quali altre mappe verranno introdotte durante gli aggiornamenti stagionali ci sia tutta, non può che rimanere un certo amaro in bocca.
Tecnicamente parlando, Black Ops 6 propone un livello di realismo sicuramente inferiore rispetto ad alcuni capitoli del passato (in particolare, il Modern Warfare del 2019) in favore di una maggiore pulizia visiva e di un’apprezzatissima fluidità prestazionale.
Nonostante ciò, gli ambienti rimangono comunque zeppi di dettagli estetici, e sono avvolti in un sistema di illuminazione sul pezzo, al quale si aggiungono animazioni ed effetti particellari che se la cavano tutto sommato bene.
Discorso simile per quanto riguarda il comparto sonoro, curato abbastanza da risultare funzionale e pratico, sia per quanto riguarda il doppiaggio che la realizzazione di suoni e rumori relativi a spari, esplosioni, passi e quant’altro, specialmente in quella che è la loro resa direzionale e distanziale nella tridimensionalità degli ambienti.
Di alto livello invece le musiche, grazie ad un Jack Well in grado di alternare il metal e l’elettronica con grande maestria tramite temi che bucano le cuffie ed entrano direttamente in testa.
A dir poco disastrosa invece la componente sistemistica del gioco: per quanto abbia enormemente apprezzato la revisione dei menù e delle interfacce (ora decisamente più intuitive e comprensibili rispetto al passato), sono incappato in profili che si disconnettono, messaggi di errore generici, costanti riavvii del software obbligatori ed un’altra serie di problemi di connettività che compromettono la godibilità e l’immediatezza dell’esperienza.
Black Ops 6 è un Call of Duty di buon livello, che decide di essere conservativo su determinati aspetti e al contempo sperimentale su altri: ognuna delle sue componenti convince con moderazione, inciampando in qualche scelta creativa non sempre felice ma riuscendo comunque a proporre una solidità di fondo assolutamente non scontata.
Per quanto non ci sia niente che spicchi davvero (tralasciando l’introduzione dell’onnimovimento), c’è abbastanza quantità e varietà di contenuto da offrire spunti di godibilità adatti un po’ a tutti e da garantire di conseguenza qualche ora di divertimento, sia che siate veterani o nuovi giocatori.
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