Fumetti

Briar Vol. 1 – La bella risvegliata, la recensione

Briar, serie a fumetti scritta da Christopher Cantwell (Iron Man) e disegnata da Germán García (Ka-Zar) con i colori di Matheus Lopes (Supergirl – La donna del domani) per Boom! Studios, debutta finalmente in Italia per Edizioni BD.

Inizialmente concepita come miniserie, questa rivisitazione della fiaba della Bella addormentata è stata velocemente promossa a serie regolare grazie a un’ottima accoglienza da parte di pubblico e critica, presentandosi velocemente come uno dei titoli di punta dell’editore di Something is Killing the Children.

Tale interesse non deve stupire, dato che autori ed editor sono riusciti a confezionare un prodotto capace di sopperire a una mancanza non da poco nell’attuale panorama dell’intrattenimento fumettistico e non: la presenza di una principessa (davvero) con le palle.

Briar – La bella addormentata si è svegliata… e vuole vendetta!

L’idea alla base di Briar è estremamente semplice: cosa succederebbe se la fiaba della Bella addormentata avesse una protagonista affatto passiva e una villain tutt’altro che stupida?

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In quel caso il lettore si troverebbe di fronte a una decostruzione del racconto originale, a una implementazione di elementi realistici che vadano a scardinare, criticare e rimpiazzare l’ingenuità su cui poggiava una storia troppo vecchia per risultare ancora interessante in un contesto moderno.

Sì, perché le fiabe, così come ogni altra opera di finzione, non sono immutabili come vuole la retorica qualunquista. La loro ragion d’essere è soggetta allo scorrere del tempo, all’inesorabile mutamento dei costumi e del gusto dei lettori. Possono, dunque, diventare desuete, poco appetibili e, in certi casi, persino inappropriate, e ciò a prescindere dalla loro importanza storica e dal valore semiotico che, quello sì, resta a dispetto di tutto.

Tra tutti gli stereotipi da fiaba, quello della principessa è uno dei peggio invecchiati, nonché quello che più di tutti sta venendo messo in discussione da quasi dieci anni a questa parte.

La principessa delle fiabe è una donna prigioniera di un ruolo sociale ben circoscritto, la cui caratteristica principale è la passività, che a sua volta si estrinseca attraverso precetti ben cristallizzati:

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  • deve essere sempre cortese e ben educata (anche con chi cerca di farle del male);
  • non deve mai reagire personalmente alle proprie sventure, in quanto – si suppone – incapace farlo;
  • deve conseguentemente affidarsi in tutto e per tutto alla figura patriarcale di turno. In genere il re suo padre all’inizio della storia e poi il principe suo marito alla fine;
  • non ottiene mai niente nell’epilogo della sua storia, ma è essa stessa l’oggetto della missione principale. D’altronde le principesse europee, salvo rare eccezioni, non potevano ereditare un bel niente e ogni loro possedimento era in realtà concesso dalle figure patriarcali di cui sopra.

Imporre un esempio del genere a una donna moderna sarebbe quantomeno discutibile. E infatti persino la Disney, che dello stereotipo della principessa ha fatto un brand, ha dovuto cambiare nel corso del tempo il suo approccio alla caratterizzazione delle sue eroine, con risultati spesso altalenanti per diverse ragioni, ma tutte ancora una volta riconducibili a un unico comune denominatore: se vuoi che la tua eroina sia credibile, il suo viaggio dovrà essere faticoso e i pericoli che dovrà affrontare tangibili. Insomma, c’è bisogno che la principessa provi ciò che tutte le donne provano quando cercano di raggiungere un obbiettivo loro precluso: la sofferenza.

In Briar Christopher Cantwell, già noto come creatore della serie tv Halt and Catch Fire, riempie di sofferenza ogni singola tavola. Non a caso, il titolo della storia non è altro che il nome originale della protagonista, Briar-rose (in italiano Rosaspina), privato della sua metà delicata e piacente.

Adottando l’approccio decostruzionista di Alan Moore alla fiaba della Bella addormentata fa sì che il principe azzurro, traviato dalla fata cattiva, non si preoccupi minimamente di svegliare Rosaspina, ma la sposi così com’è, immersa in un sonno profondo, per poi allearsi con il re suo padre e iniziare una massiccia guerra di conquista dei reami circostanti.

Passano molti anni e del regno incantato di un tempo non restano che macerie e cadaveri. Rosaspina, ormai ridotta a uno scheletro marcente e ancora immobile sull’altare dov’era stata lasciata secoli prima, viene miracolosamente risvegliata e ricomposta dall’intervento di una misteriosa figura che si dilegua subito dopo.

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Il primo gesto della rivenuta, i cui vestiti e carnagione sono ormai logori, è vomitare per lo spavento. Difficile vedere una principessa Disney in una condizione di così umana decadenza, e ancora più difficile sarebbe vedere quella stessa principessa negarsi il sonno per paura di tornare a dormire per sempre.

Nonostante le sue condizioni, la protagonista dovrà fare i conti con un mondo profondamente cambiato che non riconosce più i suoi status né quelli dei suoi illustri parenti. Essere una principessa in quel regno fantasy corrotto – così come esserlo nella modernità – non vale più niente.

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Nel corso delle tavole la protagonista subirà ogni genere di sopruso, violenza e abuso, i quali tuttavia non saranno gratuiti, bensì funzionali all’approfondimento dell’ambientazione oscura in cui la vicenda ci svolge, la quale è ormai sotto il controllo quasi totale della Fata che ha condannato Rosaspina al sonno quasi eterno che ancora la minaccia.

Cantwell però non abbandona totalmente i topoi del genere fantasy e del racconto fiabesco. Si limita semplicemente a mascherarli sapientemente, scandendoli attraverso scene dal forte impatto impatto visivo che difficilmente il lettore potrebbe accostare allo stereotipo della fiaba (anche se i Fratelli Grimm potrebbero dissentire).

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Alla fine, la quest di Rosaspina segue fedelmente gli step del viaggio dell’eroe, con tanto di formazione della compagnia di avventurieri – per una volta assolutamente necessaria alla protagonista – che la assisterà nell’impresa di sconfiggere la signora oscura di turno. Tuttavia, questo viaggio viene scandito da scontri violentissimi e perversi rituali maggiormente accostabili a un racconto di Conan il Barbaro che a un romanzo di Tolkien.

Tra mille sofferenze, la protagonista cresce, matura, perde gradualmente quel poco di innocenza e quel tanto di spocchia reale che ancora la caratterizzava. Impara a opporsi, impara a combattere, impara a non venire sfruttata e cavarsela da sola. Questo, però, solo dopo aver subito la qualunque, come ogni bravo eroe che si rispetti. E questo è emblematico visto che, come lei stessa sottolinea, il narratore è morto, e ora la storia è tutta nelle sue mani.

Rosaspina è l’esatto contrario delle eroine farlocche della Disney stile Captain Marvel e Ray Skywalker, nate con certezze e abilità inamovibili, incontestabili, invincibili, e perciò incapaci di crescere e di relazionarsi alla realtà delle spettatrici che dovrebbero rappresentare. Ironico, dato che attualmente Cantwell è anche uno dei principali sceneggiatori della Marvel Comics.

Lo sceneggiatore riesce persino a compensare un immaginario che, per quanto suggestivo, risulta comunque parecchio banale, e lo fa giocando meravigliosamente con gli elementi narrativi messi in gioco. Da bravo estimatore della pistola di Čechov, fa in modo che ogni personaggio, ogni oggetto, ogni avvenimento torni utile ai fini della trama, pur concedendosi qualche forzatura che potrebbe venire risolta nei numeri successivi, ad esempio perché la misteriosa figura che ha svegliato Rosaspina si è dileguata senza farsi vedere né fornirle una spiegazione.

Se ogni riga della sceneggiatura di Cantwell è un danno fatto alla povera protagonista, lo stile del disegnatore Germán García è la beffa.

L’artista spagnolo, con il suo tratto morbido e le sue pennellate secche, sarebbe il disegnatore perfetto per una storia di principesse disneyane. Vederlo invece rappresentare massacri e schifezze varie rende l’atmosfera di Briar unica nel suo genere, fornendo ulteriore slancio all’intento decostruzionista dello scrittore. La sinergia con il colorista Matthew Lopes, che spesso sfrutta la monocromia per imprimere un mood preciso alle varie sequenze, riesce comunque a restituire un senso di familiarità nel lettore di fantasy, che tra vegetazioni lussureggianti e maestosi paesaggi in rovina non avrà niente da rimpiangere alle scenografie dei film blockbuster hollywoodiani.

Se Taron e la pentola magica avesse avuto la metà dell’appeal visivo di questo Briar, sarebbe stato comunque un flop perché era scritto da cani, però avrebbe avuto un’estetica favolosa. Anzi, fiabesca.

Briar è un fumetto di rottura sia nei confronti del vecchio modo di intendere le principesse delle fiabe sia nei confronti del nuovo modo di intendere le eroine femminili.

Il viaggio di Rosaspina è assolutamente degno delle attenzioni del lettore e i comprimari che la assisteranno sono tutti parimenti ben diversificati ma fallibili. E quindi altrettanto piacevoli da scoprire.

La trama, per quanto ben costruita, per ora risulta priva di un vero e proprio mordente che esuli dalle dinamiche dell’anti-fiaba imbastite in questo primo volume, sebbene vengano disseminati diversi misteri utili a fornire una svolta in futuro.

Sta di fatto che chiunque sia in cerca di una principessa disney apocrifa che possa sostituire nel proprio cuore quelle originali, potrebbe aver trovato il fumetto che fa al caso suo.

Briar Vol. 1 - La bella risvegliata
Sceneggiatura
7.5
Disegni
8
Cura editoriale
7
Pros
Una principessa per cui vale la pena tifare
Un messaggio decostruzionista equidistante dagli stereotipi passati e presenti sulle protagoniste femminili
Il contrasto tra la sceneggiatura cruda e violenta e i disegni morbidi ed evocativi
Comprimari utili alla narrazione, ben diversificati e facilmente apprezzabili
Cons
Qualche forzatura che potrebbe venire risolta in futuro
La trama non molto originale
7.5
VOTO
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Vittorio Pezzella

Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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Vittorio Pezzella
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