L’animazione è e rimane una delle più grandi forme d’arte che l’essere umano abbia mai creato, anzi, senza di essa, tecnicamente non esisterebbe neanche il cinema.
Nel corso degli anni, generazioni di animatori dei migliori studi di animazioni di tutto il mondo, come Bob Camplett e Chuck Jones per la Warner Bros, i Nine Old Men della Walt Disney Company, gli orientali Satoshi Kon e Hayao Miyazaki, e infine Richard Williams, considerato il più grande animatore di tutti i tempi, con la loro immaginazione, qualche foglio e una matita hanno saputo raccontare le storie più straordinare, scatenando negli spettatori una fantasia che difficilmente può essere replicata nella vita reale.
Eppure, malgrado l’infinita potenzialità del media, persiste ancora la convinzione che i prodotti animati siano un qualcosa di seconda categoria rispetto ad altre produzioni, generalizzando la tecnica come adatta a filmetti o serie televisive per un pubblico infantile e quindi irrilevante nel panorama cinematografico più “serio”. Il discorso di apertura agli Oscar per la categoria al miglior film d’animazione infatti risulta sempre un esempio più che lampante.
Ovviamente non serve una laurea per capire che tale disprezzo per l’animazione è assolutamente infondato e privo di senso, in quanto oltre che considerare l’animazione come genere cinematografico e non come pura forma d’arte, molte grandi produzioni hollywoodiane utilizzano in maniera massiccia e sopropositata molte tecniche d’animazione, come si vede dall’uso della CGI nei film supereroistici.
Come i dati hanno dimostrato, seppur usciti lo stesso anno, la gente ha preferito andare a vedere un film dove un grosso alieno viola in CGI combatte per pochi secondi Spider Man piuttosto che il miglior film mai prodotto sull’Uomo Ragno soltanto perché era un semplice “cartone animato”.
Questa mentalità quasi tossica di degradare i film animati ha spinto nel corso degli anni la maggior parte delle major hollywoodiane a produrre remake in live action di grandi opere d’animazione, come nel caso dei tradizionali Classici Disney, fino a stuzzicare anche l’attenzione dei giovanissimi con adattamenti di manga ed anime famosissimi come Dragon Ball, Death Note, Ghost in the Shell e il più recente One Piece. Ma sebbene i live action si sono dimostrati sempre dei discretti successi commerciali, vuoi il fattore nostalgia e l’estrema facilità nel produrli, la qualità effettiva del prodotto è sempre venuta meno.
Sarò franco, già l’idea di fare un remake live action mi risulta come una mancanza di rispetto verso la controparte originaria, in quanto, come ho detto in precedenza, la bellezza dell’animazione non risiede soltanto nella caratterizzazione dei personaggi o nella scrittura della trama, ma è anche nella tecnica stessa: un film d’animazione è bello anche perché è animato, e se si toglie questo fattore allora rimane solo una pallida imitazione di quello che il live action dovrebbe essere.
Solitamente, per produrre un live action di un prodotto animato si optano due opzioni: o si fa qualcosa di completamente diverso dall’opera originale oppure la si adatta nella maniera più fedele possibile e nessun approccio solitamente va mai a buon fine.
Il film live action di Death Note è notoriamente vituperato per avere una storia completamente diversa rispetto al manga, ma se non avesse avuto dei precisi elementi di Death Note come Ryuk, L o il quaderno della morte probabilmente sarebbe stato anche apprezzato da un determinato pubblico. Siccome però per il marketing doveva essere un adattamento, questi elementi sono stati inseriti a forza in una storia pressoché originale, perciò il film non è stato apprezzato ne dal fandom ne tantomeno dal pubblico generalista.
Se è quindi molto rischioso creare adattamenti originali, la strategia più efficiente è quella di creare live action che sono delle copie carbone del materiale d’origine, così come sta facendo la Disney con le loro annuali uscite di live action dei suoi classici, noti per essere dei film nè carne nè pesce che non potranno mai surclassare a livello qualitativo il film animato da cui prendono ispirazione e che si rivelano alla fine essere quello che sono, prodotti utili solo a riempire le sale con discutibili strategie di marketing per valorizzare l’effetto nostalgia.
Ora, non è certamente detto che la creatività dell’animazione non possa essere replicata, vedasi alcuni adattamenti in live action giapponesi di manga come Assassination Classroom o Kenshin: Samurai Vagabondo che imitano e rispettano lo spirito e la dinamicità dell’opera da cui prendono ispirazione. Sono speso i remake occidentali, soprattutto quelli di casa di Netflix, che invece prendono la strada opposta, optando invece per uno stile meno stravagante e più realistico che però sfocia nel grottesco oppure nel vero e proprio cringe.
Basta guardare l’adattamento di Cowboy Bebop, una serie anime ricordata per il suo stile di animazione estremamente fluido e con una palette di colori che davano vita a degli sfondi memorabili, tradotti nel live action con una messa in scena praticamente senz’anima, citazionista solo per il fine di esserla, che ricostruisce le scene più famose dell’anime ma le priva dell’atmosfera che permeava la serie originale e ne snatura il messaggio che c’era dietro, rendendo il nuovo prodotto vuoto e mediocre.
Il primo episodio dell’anime di Cowboy Bebop è esemplare in quanto rappresenta uno dei concetti più famosi e importanti della filosofia giapponese, il Ma (間) ovvero la bellezza del vuoto, della non azione e del raccoglimento, aspetto che riappare spesso anche in molti film dello studio Ghibli e che cozza con la struttura in tre atti tipicamente occidentale.
Non c’è nessun avanzamento di trama o particolari momenti che si susseguono per catturare l’attenzione. Per tutto l’episodio i due protagonisti, Spike e Jet, vivono la loro mondanità (nel loro caso, trovare un pò di cibo per sfamarsi) e allo stesso tempo combattono con i loro demoni interiori, ma senza che venga espressamente detto allo spettatore la situazione tesa che stanno provando, svelando invece sottilmente la caratterizzazione dei personaggi della vicenda.
Nel live action invece ogni traccia di sottigliezza è completamente assente: ogni personaggio dice esplicitamente tutto quello che pensa, il minutaggio è estremamente diluito al fine di arrivare alla durata normale di un episodio televisivo, il che porta ovviamente a scene filler e riempitive, messe in scena nella maniera più blanda e anonima possibile. Senza ombra di dubbio, una bastardizzazione del capolavoro di Shin’ichirō Watanabe (che ha infatti rinnegato il live action) e una delle peggiori trasposizioni di un prodotto animato forse dai tempi de L’ultimo dominatore dell’aria di M. Night Shyamalan.
E malgrado tutto Netflix ci ha di nuovo riprovato proprio recentemente con il live action di One Piece uscito qualche giorno fa, il quale, malgrado abbia avuto un responso ben più gradito di altri, difficilmente eguagliala genialità dello stile energetico e stravagante di Eiichiro Oda. Buona fortuna ad adattare il Gear 5, Netflix, ne avrai bisogno.
Certamente, è vero che esistono alcuni live action hollywoodiani meritevoli e anche di norma apprezzati dal pubblico, ma risultano comunque delle eccezioni. Un esempio è Speed Racer delle sorelle Wachowski, film cult di per sé molto godibile ma sicuramente trash e campy, tratto che comunque deriva dall’omonima serie anime degli anni Sessanta, oppure Alita – Angelo della Battaglia, che ha fatto riscoprire alle nuove generazioni l’opera di Yukito Kishiro che avrebbe sennò rischiato l’oblio. Ma comunque le scene migliori di questi live action risultano ancora una volta le parti animate in CGI e, forse, se tutti e due i film fossero stati animati, sarebbero stati ancora più godibili.
L’animazione è un arte denigrata e che sta perdendo importanza e deve essere in tutti i modi preservata.
Non esaltatevi per annunci e notizie riguardanti nuovi live action di Akira, Yu degli Spettri, Dragon Trainer o di Avatar, resistiamo a questa wave hollywoodiana e riscopriamo invece grandi classici dell’animazione senza tempo, in quanto non serve assolutamente un remake in live action per evidenziare la loro vera importanza.
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