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Armored Core 6: Fires of Rubicon, la recensione: la grande deviazione di percorso di From Software

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Una delle caratteristiche che più apprezzo di determinati studi di sviluppo riguarda la loro volontà di proporre una tipologia di esperienza completamente diversa rispetto a quelle dei loro stessi titoli precedenti: l’esempio più calzante è Tango Gameworks, che dopo quasi un decennio di horror psicologici (i due The Evil Within e Ghostwire Tokyo), se n’è uscita più recentemente con Hi-Fi Rush, un coloratissimo hack’n slash scanzonato e divertente.

Nel caso di From Software la cosa è leggermente diversa: con Fires of Rubicon la software house giapponese torna a mettere le mani sulla storica saga di Armored Core, che volente o nolente sarebbe stata influenzata dall’esplosivo percorso di crescita e maturità di sviluppo avuto con i Dark Souls, Bloodborne, Sekiro ed Elden Ring negli ultimi anni.

Con questa consapevolezza e un abbondante dose di curiosità, mi sono fiondato con il mio mech nelle immense e desolate lande di Rubicon, per studiare e analizzare più a fondo tale operazione: sarà riuscita From Software a rendere nuovamente giustizia alla sua stessa saga? Scopriamolo nella recensione.

ARMORED CORE VI FIRES OF RUBICON — Story Trailer

Svegliati, 621!

Armored Core 6 è ambientato su Rubicon, un pianeta freddo e desolato che nasconde una risorsa tanto preziosa quanto pericolosa: si tratta del Coral, una sostanza particolarmente instabile che fece incombere sul pianeta una serie di violentissime tempeste stellari (chiamate I Bagliori di IBIS), che infiammarono il cielo e bruciarono l’atmosfera.

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Per quanto il pianeta fosse per forza di cose del tutto inabitabile, vennero costruite un po’ ovunque una numerosa quantità di stabilimenti industriali volti proprio alla lavorazione e all’estrazione del Coral, controllati e gestiti da alcune maxi corporazioni che si contendono le varie regioni del pianeta in un clima di tensione e ostilità costante.

Nei panni dell‘Agente 621 dovremmo seguire le indicazioni del Supervisore Walter per rispondere alle richieste di alcune delle suddette corporazioni e risistemare determinati equilibri di potere sul pianeta, come se fossimo dei veri e propri mercenari.

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Poche domande, molta azione

Dal punto di vista narrativo, Armored Core 6: Fires of Rubicon propone una storia estremamente lineare non solo negli eventi che la riguardano ma anche soprattutto nell’esposizione del loro racconto.

Praticamente ogni sviluppo e potenziale colpo di scena ci verrà comunicato tramite semplici messaggi sul computer di bordo del nostro mech, che si limitano a essere poco più che generici avvisi sulle condizioni della guerra e più nello specifico sull’evoluzione dei rapporti tra le corporazioni, con dialoghi e conversazioni tra personaggi quadrati e tendenzialmente privi di personalità (salvo giusto un paio di casi).

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Quindi, tra una missione e l’altra, ci dovremo sorbire una serie di schermate di comunicazione che fungeranno da briefing e debriefing sulle missioni che ci riguardano, e che noi, da bravi mercenari del tutto apersonali e silenziosi, eseguiremo senza porci alcuna domanda.

In poche parole, laddove in altri giochi tali intermezzi non sarebbero stati altro che spunti di approfondimento loristico secondario come audiolog e videolog sul mondo di gioco, nel caso di Fires of Rubicon rappresentano l’unica forma di esposizione alla narrazione: come avviene in tutti gli altri giochi di From Software, dovrete quindi scordarvi di sperare di assistere a chissà quale sequenza carica di tensione o cutscene spettacolare.

Inoltre, si denota anche una certa trascuratezza nella cura del contesto ambientale di gioco, che fallisce nel dare il giusto valore creativo e immaginifico agli scenari di Rubicon, suggestivi e impressionanti visivamente parlando ma del tutto anonimi e privi di carattere dal punto di vista narrativo.

In poche parole, vi ritroverete più volte a guardarvi attorno per ammirare la loro imponenza e maestosità estetica, percependo però al contempo totale indifferenza nei confronti di cosa siano e cosa rappresentino.

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Il Mastino di Walter

Ma per quanto tale disattenzione rappresenti un effettivo neo della produzione, diventa automatico il fatto che, dal momento in cui si prende il controllo del proprio mech, l’intera componente narrativo/immersiva passi immediatamente in secondo piano e faccia ampio spazio al vero piatto forte dell’esperienza, il gameplay.

A livello puramente meccanico, Armored Core 6: Fires of Rubicon risulta estremamente immediato e facile da imparare.

I vari propulsori del Mech ci permetteranno di controllare con precisione ogni movimento delle tre dimensioni, sfruttandoli come Jetpack per prendere quota, saltare, planare, dashare e persino effettuare uno scatto in accelerazione per avvicinarsi rapidamente al nemico o raggiungere punti distanti.

In tutto ciò, durante ognuna di queste azioni, avremo la possibilità di fare fuoco con le nostre armi: più nello specifico, avremo a disposizione un totale di quattro slot, le prime due saranno relative alle bocche da fuoco di stampo classico da impugnare nelle due mani (fucili e mitragliatori ma anche armi corpo a corpo e scudi portatili) mentre le seconde andranno montate sulle due spalle e proporranno modalità di fuoco specifiche e più potenti (lanciarazzi multipli ad aggancio, cannoni laser di vario tipo, barriere protettive ecc.) e avranno un tempo di ricarica più elevato.

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Improvvisarsi meccanici

Attenzione però, dovremo scegliere con cautela quali armi portarci dietro non solo in base alla comodità e all’efficienza delle loro modalità di fuoco ma anche in base a quanto si adattano al resto delle componenti del mech dal punto di vista statistico.

Infatti dovremo occuparci di gestire al meglio il suo assemblaggio a tutto tondo: man mano che proseguiremo nell’avventura infatti, il negozio della strumentazione acquistabile verrà continuamente aggiornato, e con il denaro guadagnato durante le missioni potremo acquistare diverse tipologie di braccia, gambe, caschi, toraci, generatori e schede interne.

Ognuno di essi avrà un certo peso e una serie di altri valori: questi andranno a influenzare in maniera netta ogni statistica relativa al funzionamento prestazionale del mech, dalla velocità di spinta dei propulsori al consumo energetico (l’equivalente della stamina), dalla fluidità dei movimenti alla barra della salute.

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Toccherà a noi e a noi soltanto trovare il giusto equilibrio tra le varie componenti in base al nostro stile di gioco: possiamo essere più fragili ma rapidi e scattanti, più resistenti ma lenti e ingombranti oppure anche una via di mezzo tra le due cose.

In poche parole, acquistando sempre più componenti durante l’avventura, il senso di progressione non sarà scandito da potenziamenti o miglioramenti di tipo passivo bensì dalla quantità sempre crescente di possibilità di personalizzazione del nostro mech. Armored Core 6 ci incentiverà a cambiare continuamente la sua composizione per cambiare approccio e a superare più agevolmente le battaglie o le sequenze più difficili.

L’unica forma di potenziamento effettivamente verticale riguarda i settaggi del Sistema Operativo: proseguendo nell’avventura, sbloccheremo l’Arena, una modalità secondaria che ci vedrà impegnati in simulazioni di combattimento PVP contro mech comandati dal’I.A.

Essi saranno di difficoltà sempre crescente, e ci permetteranno di ottenere una valuta specifica adibita proprio al miglioramento di determinate capacità passive, del tutto indipendenti dalla composizione del resto delle componenti e che, conseguentemente, non intaccheranno negativamente in alcun modo le prestazioni generali del mech.

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Tale approccio risulta indubbiamente interessante per come è strutturato, ma purtroppo cade vittima di una serie di sbilanciamenti e squilibri che lasciano poco spazio all’immaginazione.

Per quanto esso offra effettivamente molta libertà di combattimento al giocatore, in tanti (troppi) casi risulta evidente che determinati settaggi siano abbondantemente più convenienti di altri, in particolare per quanto riguarda le armi: una volta acquistate le più potenti, vi verrà automatico assemblare tutto il resto del mech attorno a esse, e non avrete alcun motivo di provare altre combinazioni (se non giusto per curiosità).

Fuoco alle polveri

Parlando invece del combat system nudo e crudo, Armored Core 6: Fires of Rubicon si propone come uno sparatutto action estremamente dinamico: in maniera pressoché del tutto opposta rispetto ai recenti titoli di From Software, i combattimenti di Armored Core 6 saranno iper movimentati e veloci, e testeranno in maniera estremamente diretta i vostri riflessi ancor prima che le vostre capacità strategiche.

Praticamente ogni scontro sarà una spettacolare danza di robot in costante movimento che non contempla nemmeno lontanamente alcuna forma di staticità: il tutto è un continuo tripudio di smitragliate e cannonate senza esclusione di colpi, nel quale la minima distrazione o disattenzione può portarvi velocemente alla sconfitta, mentre agire con concentrazione e sangue freddo vi assicurerà la vittoria.

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Per questo risulterà di primaria importanza imparare a gestire nel migliore dei modi i movimenti del mech in base alle possibilità offerte dal suo assemblaggio: oltre a cercare in ogni modo di schivare i colpi nemici, dovremmo fare attenzione alla stamina e alla barra del sovraccarico energetico, che se dovesse raggiungere il massimo vi impedirà per qualche secondo di compiere qualsiasi azione, esponendovi al fuoco nemico.

Al contempo, tramite la funzione di autoaggancio potremo, per quanto possibile, tenere sempre sott’occhio i movimenti e le azioni dei nemici, aprendo il fuoco con la consapevolezza che, essendo anch’essi rapidi e sfuggenti, molti dei vostri colpi non andranno a segno.

Il risultato è qualcosa galvanizzante all’inverosimile, merito di un flusso di gioco e di una velocità dell’azione che, una volta padroneggiati i comandi del mech e imparato a sfruttarne le potenzialità, sa regalare una sensazione di distruzione e potere sensorialmente così soddisfacenti da esser difficilmente spiegabile a parole.

Ogni colpo inferto o missile nemico schivato farà sentire un brivido lungo la schiena quasi inebriante, così come al contrario ogni attacco subito e ogni cannonata andata a vuoto faranno sentire il loro peso sul combattimento, dando all’improvviso quella sensazione di aver commesso un errore e di dover rimediare il prima possibile.

Da un eccesso all’altro

Purtroppo, anche in questo caso vanno segnalati grossi problemi di bilanciamento: in particolare alcuni dei boss principali saranno soggetti a picchi di difficoltà semplicemente esagerati, del tutto incoerenti rispetto al resto del livello di sfida.

Dall’istante in cui avviene l’ingaggio non si avrà nemmeno un secondo per osservare il nemico che lui inizierà a scaricarvi contro una quantità di attacchi in sequenza che, anche concentrandovi solo ed esclusivamente nel deviare e scattare, riusciranno comunque a colpirvi e a sovraccaricare i sistemi del vostro mech con estrema semplicità.

Al contrario, quando toccherà a noi eseguire manovre offensive, lo vedremo muoversi e scattare a destra e sinistra schivando ogni singolo nostro colpo come se fosse a rallentatore.

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In tal senso, il tutto è anche colpa della cattiva gestione della telecamera, che essendo inutilmente troppo vicina alle spalle del mech controllato, crea grossi problemi nella comprensione delle distanze e della spazialità delle arene.

Per fare un esempio, alcuni nemici schizzeranno fuori dalla visuale in maniera talmente rapida che nemmeno il sistema di autoaggancio riuscirà a stargli dietro, costringendoci in maniera sgradevole a doverci guardare spasmodicamente attorno per cercare di reinquadrarlo.

In poche parole, la vostra vittoria non sarà praticamente mai deterministica, bensì sarete costretti ad abituare la memoria muscolare a fare esattamente la mossa giusta al momento giusto (spesso e volentieri dovendo agire preventivamente), sperando di “spiazzare” forzatamente l’intelligenza artificiale nemica e infliggere qualche colpo in più.

Data la velocità di combattimenti, la sensazione di dover per forza ripiegare su un tale approccio piuttosto che sulle nostre effettive capacità di improvvisazione e velocità di reazione è qualcosa di alquanto noioso e poco divertente.

Intenzioni creative discutibili

Come detto in precedenza, il tutto entra in curioso contrasto con la maggior parte delle altre missioni, che propongono invece un livello di sfida quasi inesistente, anche e soprattutto a causa della loro struttura: in praticamente tutti i casi ci ritroveremo a doverci spostare nella mappa raggiungendone determinati punti di interesse sconfiggendo le varie unità ostili nel percorso (come altri robot minori, navicelle, torrette ecc).

Salvo qualche sequenza gimmick che prova a differenziare un po’ l’esperienza, la maggior parte delle missioni scorreranno via nell’arco di davvero pochi minuti, e risulteranno quasi sempre fini a loro stesse, prive di chissà quale spunto di design interessante.

In tal senso, avrei preferito una quantità inferiore di missioni ma leggermente più strutturate e longeve, così da dare effettivamente un maggiore senso di continuità degli eventi ed evitando di interromperne il flusso di gioco con intermezzi e altri caricamenti.

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A ciò si aggiungono una serie di altri contenuti, come le modalità PVP, la componente relativa alla personalizzazione estetica del mech e ai vari NG+, che oltre a essere funzionali al raggiungimento di finali alternativi, andranno ad aggiungere scontri inediti e componenti aggiuntive per il mech.

Purtroppo, la mancanza di mordente nella struttura generale di gioco rende il tutto meno interessante del previsto, adatto solo ed esclusivamente agli appassionati più sfegatati.

Tra indecisioni tecniche e meraviglie visive

Ma tralasciando quei fastidiosi momenti di frustrazione dovuti a determinate bossfight, il resto dei problemi sopracitati rimangono tendenzialmente trascurabili, dato che nel suo complesso l’esperienza riesce scorrere in maniera piacevole, proprio grazie alla costante spettacolarità delle battaglie e alla bellezza estetica delle ambientazioni.

A proposito di queste ultime, per quanto come detto in precedenza non abbiano quasi alcuna rilevanza narrativa, danno sempre e comunque un senso di immensità a dir poco suggestivo: tra le gigantesche lande naturali di Rubicon si estendono colossali strutture tecnologiche che si perdono a vista d’occhio oltre l’orizzonte e in cielo tra le nuvole, che grazie al sistema di illuminazione e a skybox artisticamente ispirate gli danno un tono quasi solenne.

Al contempo, a livello prettamente tecnico non sono rimasto del tutto convinto: sia nelle zone esterne che in quelle interne si può notare facilmente una certa mancanza di varietà negli elementi dello scenario, che tra palazzi, tralicci, container, macchinari ecc. tendono a ripetersi più del dovuto, e a essere comunque prive di chissà quale livello di dettaglio.

Discorso ben diverso per quanto riguarda la qualità dei modelli di robot e mech vari, ben più curati nelle texture e nella resa della loro consistenza fisica.

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Ma ciò che rende Fires of Rubicon uno spettacolo per gli occhi è senza dubbio l’effettistica relativa agli scontri a fuoco: tra esplosioni, cannonate laser, fiammate, proiettili e fendenti energetici ogni combattimento sarà un tripudio di particellari a schermo semplicemente sensazionale, il tutto mantenendo sempre e comunque un framerate stabilissimo.

Quindi, seppur non rappresenti l’apice tecnico della generazione, ho apprezzato molto il fatto che From Software abbia preferito focalizzarsi sugli aspetti visivi principali per l’esperienza (quelli relativi all’azione), sacrificando quelli di secondaria importanza che avrebbero richiesto sforzi produttivi a mio avviso inutili.

Conclusioni

Con Armored Core 6 Fires of Rubicon la cara e vecchia From Software torna a mettere le mani sulla sua amata saga di mech, offrendo un’esperienza brutale e magnetica, che trova il suo assoluto punto di forza nella spettacolarità del suo Combat System dinamico, regalando una numerosa quantità di scontri sensorialmente goduriosi e visivamente scenici.

Purtroppo però, soffre al contempo di diverse problematiche sia di natura creativa che tecnica: la componente narrativa risulta a malapena abbozzata, molte delle missioni sono strutturate in maniera pigra e priva di idee di design interessanti, mentre il livello di sfida presenta numerosi sbilanciamenti e picchi di difficoltà del tutto inadeguati.

A ogni modo, rimane un titolo pressoché obbligatorio per i tutti fan di robot/mech e simili, e al contempo assolutamente consigliato agli amanti del genere action: per quanto si potesse quindi fare di meglio, va elogiata la scelta di From Software e Bandai Namco di proporre un’opera del genere, che spezza la monotonia dei Souls e si fa godere per quello che è.

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Armored Core 6: Fires of Rubicon
GAMEPLAY E LONGEVITA'
8.5
COMPARTO GRAFICO E SONORO
8
COERENZA E CURA DEL DETTAGLIO
7.5
Pros
Divertente e dinamico
Scenicamente spettacolare
Componente gestionale interessante
Cons
Trama e narrazione a malapena abbozzati
Struttura di gioco ripetitiva
Parecchio sbilanciamento di livello in livello
8
VOTO

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Salve a tutti, sono Mattia, e da circa 18 anni ho un'intesa passione per il mondo dei videogiochi, e con essa mi porto dietro una forte propensione alla discussione e al dialogo il più discorsivo possibile riguardo questa incredibile arte.

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