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Umanità e cambiamento in Cyberpunk 2077

La città dei sogni

“Essere qualcuno, non essere nessuno”

Questi sono i tipici pensieri di ogni singola persona che prova a farsi una vita a Night City. La cosiddetta “Città dei Sogni“, un gioiello intriso di pura genialità ingegneristica e architettonica, sembra essere l’unica meta del dopo guerra corporativo a poter permettere una nuova vita, a patto che si comprenda che nulla è garantito.

Qualsiasi vita si scelga di intraprendere (o di abbandonare), che sia un passato da nomade, da gangster o persino da corporativo, un nuovo inizio a Night City richiede sempre di rinunciare a qualcosa o, nel peggiore dei casi, a qualcuno.

“Night City è una città che ti mastica, ti ingoia, e ti vomita via”

Il protagonista del “sogno” targato CD Projekt RED è V che, come ogni neo-sognatore in Night City, è in cerca di una seconda chance. Soggiogato dal vistoso e ampio sfoggio dell’opulenza locale, spesso fondata su complotti di potere, inganni e crudeli crimini al limite dell’umano, V cerca in tutti i modi di farsi un nome attraverso scellerate (dis)avventure. La ricerca di una nuova vita è spesso solitaria. “Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, e non sa quel che trova”.

Qualsiasi sia stato il suo passato, V è insieme a Jackie Wells, il miglior amico possibile. Sarà lui, profeticamente, a inaugurare la fine di una vita (il passato) e l’inizio di una nuova: la fine è, per V, una tragedia e l’inizio non sarà altrettanto rose e fiori.

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La scalata e la conseguente “costruzione” di un nuovo inizio non è priva di ostacoli: il continuo successo in missioni al limite del letale non è mai abbastanza per ricucire le ferite fisiche e interiori del protagonista. V si ritroverà spesso sul lastrico, a non riuscire a pagare l’affitto del proprio appartamento e a condurre una vita da mercenario che non fa altro che vivere la sua possibile “seconda possibilità” tra fixer e contratti criminali, come se fosse l’Achille del paradosso di Zenone: nonostante gli sforzi sempre dietro la tartaruga.
E sì, la tartaruga rappresenta Night City.

Night City attraverso gli occhi di V

La fine dell’esordio“: questa sarebbe la mia personale descrizione della classica frase finale di Stan, il tradizionale conduttore che ci accoglie quotidianamente tra le vie di Night City. Come definirlo altrimenti se non il “messaggero” di allettanti quanto fasulle promesse che attendono ogni giorno una popolazione delusa e amareggiata.

La realtà è che, contrariamente a come vorrebbero farla apparire le elite corporative, la vera natura di Night City è tutt’altra, nascosta da effimere apparenze. La vera logica di ciò che V e la sua avventura vogliono trasmettere risiede in una tematica intensa, per quanto semplice: l’identità. La semplice domanda di chi sia V o di cosa rappresenti Night City risiede in ogni singola missione del mondo di Cyberpunk 2077.

“Prepariamoci a un’altra giornata nella Città dei Sogni”

Porsi queste domande in un universo del genere non è per nulla scontato: le persone, anche le più comuni, non sono semplici individui e Night City è tutto fuorché una semplice città: essa è un organismo complesso stranamente cosciente e consapevole di chi quotidianamente tenta l’ascesa verso fama e popolarità. V, ammaliato dalle apparenti opportunità che la città ha da offrire, tenterà imperterrito di imporsi al di sopra del sistema ma, come molti suoi predecessori (i cui nomi sono ricordati solo attraverso dei drink serviti nell’Afterlife), si accorgerà degli enormi prezzi da pagare. Primo fra tutti quello che coincide con la vita del suo più caro amico, Jackie.

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Dopo innumerevoli lavoretti per conto dei fixer locali, uno in particolare riesce a permettere a V e il suo braccio destro di poter aspirare al “colpo grosso“: dopo aver salvato una ricca corporativa dalle grinfie di una gang locale, V e Jackie, grazie a uno speciale intermediario, riescono a ottenere l’incarico che potrebbe cambiare le loro vite per sempre.

Il fixer in questione è Dexter DeShawn, uno dei migliori del business in circolazione. Dexter, o semplicemente Dex, venne incaricato da Evelyn Parker, un’altra importante figura della vita notturna di Night City, di rubare una “reliquia” a un altrettanto potente uomo corporativo, Yorinobu Arasaka, figlio di Saburo Arasaka nonché, dunque, erede dell’omonimo impero corporativo.

Dopo aver predisposto un piano, aver conosciuto Evelyn e la sua motivazione circa il colpo in questione e aver organizzato il tutto arriva il momento del fatidico giorno, quello in cui o vivi e diventi una leggenda o muori e finisci nel dimenticatoio.

La fine dell’inizio

V e Jackie condividono la stessa visione e speranza: il colpo andrà bene e il gruppo potrà godersi le luci della ribalta. Siamo dentro al Konpeki Plaza, stanza di Yorinobu. Le informazioni di Evelyn, per quanto necessarie non sono affatto sufficienti: la reliquia da rubare, chiamata “Relic“, è un prototipo dell’Arasaka di un nuovo congegno, prossimo alla commercializzazione, in grado di permettere l’immagazzinamento della propria psiche sotto forma di engramma all’interno di un chip che, una volta impiantato nel corpo ospitante ne prende il controllo facendo subentrare la coscienza installata.

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Questo chip non può “vivere” se non all’interno o della box in cui è custodito o del corpo ospitante. In preda alla fretta dell’imminente ritorno di Yorinobu, Jackie decide di impiantarselo e correre a trovare un nascondiglio insieme a V. Il piano inizia a prendere una piega diversa da quella che ci si aspettava: nella sua stanza Yorinobu è raggiunto da suo padre Saburo.

I due uomini più potenti e influenti dell’intera famiglia Arasaka sono di fronte a V e Jackie e, a pochi attimi dall’inizio di un pesante litigio circa il futuro dell’impresa familiare, assistiamo a una tragica scena in cui il figlio uccide il padre a sangue freddo. La forte immagine scenica ritrae perfettamente quello che è sempre stato il reale intento di Yorinobu: prendere il posto del padre al comando dell’impero e scuotere l’intero sistema affiché possa liberarsi dal “vecchiume” di un establishment ormai obsoleto che, secondo lui, stava per portare l’intera famiglia verso la rovina.

Il figlio da l’allarme, accusando dei “presunti infiltrati” di esser stati gli assassini di suo padre. Parte la fuga e, tra sparatorie e parkour improbabili tra le varie zone del grattacielo, i due mercenari si ritrovano completamente spossati. Jackie, gravemente ferito, sa bene che non ce la farà e rivolge a V le sue ultime parole affidandogli il Relic, e anche la sicurezza delle persone a lui più care: sua madre, Mama Wells, e la sua ragazza, Misty.

“Ci vediamo nella Major League, Jack”

Una volta compianto l’unico vero amico che abbia mai avuto al suo fianco, V procede verso il punto d’estrazione in cui ad aspettarlo vi è il mandante dell’intera missione, Dex che, deluso e arrabbiato per il fallimento della missione, spara un colpo letale di pistola al protagonista.

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L’inizio della fine

V è morto, come già successo d’altronde: quella morte filosoficache segna la rottura con il suo passato non era sufficiente. Ma come la prima volta, V riesce a risorgere ancora una volta, ritrovandosi in una discarica.

Con le sue sole forze, riesce a strisciare, ad aprire gli occhi e a “godersi” l’immagine di un Dex DeShawn implorante per la sua vita, al cospetto della vecchia guardia del corpo di Saburo Arasaka. Il suo nome è Takemura e, attraverso delle sue personali indagini, riesce a scoprire cosa era realmente accaduto in quella buia serata al Konpeki Plaza: V è innocente ed è, anzi, l’unica risorsa e testimonianza (semi)vivente che Takemura può sfruttare per condannare l’atrocità commessa da Yorinobu Arasaka.

Ingiustamente incolpato della morte del vecchio boss dell’impresa corporativa, Takemura prende in custodia V e, dopo uno spettacolare inseguimento, lo porta dal nostro bisturi di fiducia, Viktor, uno tra i personaggi secondari più interessanti dell’intera opera. Oltre a essere un incredibile dispensatore di saggi consigli, Vik è un’ottimo dottore e riesce a rattopparci, anche se non del tutto.

Durante l’intera operazione V perde i sensi e si ritrova nei panni di una vecchia iconica figura risalente all’anno 2023, Johnny Silverhand. Al suo posto, V rivive il giorno della morte della “leggendaria” rockstar.

Tuttavia, a discapito di come tutti potessero erroneamente credere, Johnny non era morto: poco prima dell’esplosione da lui stesso provocata all’Arasaka Tower, viene steso e catturato da Adam Smasher che lo porta al cospetto di un giovane Saburo.

Con la sua testa collegata a uno strano dispositivo, la coscienza di Johnny viene estratta e caricata sul Relic. Lo stesso dispositivo che adesso abbiamo dentro la nostra testa e che, secondo la diagnosi di Viktor, è il motivo per cui siamo rimasti in vita. Ancora più semplicemente, dunque, questo è il Relic: un congegno che funge da assicurazione definitiva sull’anima. Un “paradiso” che l’Arasaka vuole vendere ai più ricchi e che ha sfruttato Johnny come sua prima cavia.

Perché Johnny?

In realtà, dalle visioni del passato nei panni della rockstar, ci si rende subito conto di come Johnny sia stata solo la conseguenza esasperata, portata a estremi livelli, di una condizione sociale disastrata e sempre di più controllata dai ricchi e potenti corporativi di Night City.

Potrebbe configurarsi filosoficamente come la vittima perfetta per il programma-prototipo dell’Arasaka del lontano 2023: l’acerrimo nemico del sistema non viene semplicemente sconfitto ma viene reso il capillare essenziale per la riuscita del primo vero Relic nella storia dell’umanità.

Questa consapevolezza, anche se non in modo evidente, tormenta Johnny sin dal suo primo risveglio come engramma nella mente di V. Per Johnny, il destino che gli è stato riservato, quale cavia di laboratorio, è di sicuro peggiore di una semplice morte e/o sconfitta poiché viene a configurarsi come “simbolo” della riuscita invenzione di quell’elite corporativa che, 54 anni prima, aveva provato, con tutte le sue forze, a scongiurare.

Ma perché proprio Johnny? Perché tra tutti i Cyberpunk più influenti di quell’era fu proprio lui la goccia a far traboccare il vaso? La risposta risiede in un altrettanto concetto semplice quanto intenso: l’amore.

L’amore di Johnny verso ciò che l’umanità fu un tempo era, di sicuro, molto potente: il vedere in prima fila come il dirompente capitalismo corporativo risucchiava la vita attorno a sé come un gigantesco parassita in nome del progresso che l’appena nata Night City prometteva, ha reso Johnny il perfetto rivoluzionario.

Johnny parla di come terre un tempo rigogliose e ospitanti semplici e meravigliosi villaggi siano stati portati lentamente alla completa dissoluzione. Le persone furono costrette ad abbandonare in fretta e furia le proprie case, ormai diventate terreno di giganteschi cantieri super tecnologici; furono strappate da un giorno all’altro dalla loro vecchia vita, dalla loro quotidianità. Il tutto portato avanti sempre grazie a intrighi di potere e profonda corruzione.

Il senso di ingiustizia dilagante e impunita, che corrode Johnny dall’interno, non risale solo agli anni immediatamente precedenti all’attentato terroristico all’Arasaka Tower. È un odio profondo che è nato addirittura negli Anni ’80.

Non molti conoscono questo retroscena, ma Johnny non fu sempre il rockboy rivoluzionario che abbiamo imparato a conoscere in Cyberpunk 2077. Nato col nome di Robert John Linder, fu nel 2003 uno dei tanti giovani mandati al fronte nella Seconda Guerra dell’America Centrale. Questa guerra, nota anche col nome di “Nuovo Vietnam“, durò dal 2003 al 2010 e causò agli Stati Uniti ingenti perdite nel tentativo di invadere la Colombia, l’Ecuador, il Perù e il Venezuela.

In battaglia, Johnny perse amici e anche il suo braccio che, successivamente, venne sostituito dalla sua iconica protesi in argento, da cui prende il nome. Non ci sarebbe neanche bisogno di specificarlo ormai ma, come al solito, la guerra fu per Johnny l’inizio del suo cambiamento, soprattutto quando venne a sapere che tutti i conflitti del periodo furono guidati dall’avidità e dalla corruzione di politici e ricche elite corporative (al tempo semplici “astri nascenti“).

L’amore per una donna in particolare, Alt Cunninghan, e il suo triste destino fu l’ennesima tragedia alla quale Johnny, nonostante diversi anni dalla conclusione dei conflitti, rispose con estrema rabbia e frustrazione.

L’inaugurazione del cambiamento

Altiera Cunningham, meglio nota come Alt, è stata la miglior Netrunner negli anni della nascente Night City. Fu lei a creare la matrice informatica alla base della tecnologia del Relic: il SoulKiller. Non è importante sapere quale sia precisamente il suo funzionamento, basta comprendere che senza questa componente “base” non si sarebbe giunti al Relic che V ha impiantato in testa.

Venendo a sapere della scoperta di Cunningham, l’Arasaka Corporation decide di rapirla e di affidarle forzatamente lo sviluppo della propria tecnologia sotto brevetto “Arasaka”. Il rapimento viene affidato a dei semplici mercenari per non destare alcun sospetto e il sequestro avverrà proprio la sera dell’ultimo litigio tra Johnny e Alt nel retro di un locale notturno: Johnny viene gravemente ferito mentre Alt sequestrata e portata via.

Johnny sopravvive e riesce a trovare Alt connessa alla rete, probabilmente intenta a ricreare il SoulKiller: in realtà, col timore che potessero testare la tecnologia direttamente su di lei ha tentato di crearsi una specie di via di fuga per la sua coscienza attraverso la rete. Dopo la disconnessione, Johnny, credendo che Alt fosse ormai morta, prende il corpo della sua amata e lo porta via, inconsapevole del fatto che si stava lasciando la vera Alt alle spalle, intrappolata nel mainframe dell’Arasaka.

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Alt, dietro il muro di monitor che la connettevano alla rete, ha provato a farsi sentire da Johnny urlando a squarciagola, ma Johnny non la sentì. Preoccupata per la propria incolumità, la coscienza dell’amore infelice di Johnny decide di scappare attraverso l’ammasso di dati della rete sino oltre lo scibile informatico, disperdendosi per sempre.

Nello specifico non si sa molto sul travagliato soggiorno della Coscienza di Alt nell’immenso mare di dati della Rete informatica. Quello che è certo è che fu lei a inaugurare filosoficamente l’inizio del cambiamento per le Intelligenze Artificiali più “controverse” verso una realtà in cui potessero finalmente essere libere dal giogo umano.

Alt è ora da interpretarsi come una “Regina della Rete” che ha ormai perso per sempre il suo lato umano. Probabilmente il rimanere isolata e in perenne contatto con una realtà così diversa causò cronologicamente la prima tragedia d’identità e cambiamento che l’opera “Cyberpunk 2077” ha da offrire.

Night City attraverso gli occhi di Johnny Silverhand

Torniamo al presente. V riprende conoscenza e il buon vecchio Viktor ci fornisce tutti i dettagli della diagnosi; senza mezzi termini: V ha pochi mesi di vita prima che il Relic che gli ha salvato la vita conceda quest’ultima a un’altra entità che, presto o tardi, prenderà l’assoluto controllo del suo corpo. Sarebbe meglio dire che la coscienza di V è prossima al “day zero” mentre il suo corpo rimarrà comunque integro ma guidato da un “nuovo ospite“, il caro Johnny.

Sia il bisturi che Misty offrono a V delle pillole: classico gioco pillola rossa o pillola blu. La prima permette di cedere il controllo all’ospite mentre la seconda è un inibitore in grado di alleviarne l’assillante presenza.

Johnny entra a far parte inevitabilmente delle nostre vite. Con lui impareremo a condividere sia momenti di gioia che di tristezza, sempre verso l’inesorabile fine causata dall’imminente “Sostituzione“. I racconti di Johnny su un mondo dilaniato dall’ascesa corporativa continueranno, da qui fino alla fine, a fare da contorno a uno sfondo sempre meno surreale e lontano dalla realtà. Molti dei dialoghi potrebbero sembrare addirittura profetici e molto più vicini e circostanziati di quanto possiamo immaginare.

È proprio da questi istanti di libero dialogo con Johnny che, per la prima volta, emerge esplicitamente dalla narrazione la prima fondamentale critica che l’opera di CDProjekt vuole trasmettere e rappresentare. Le logiche corporative, basate sull’incondizionato sfruttamento (apertamente discriminatorio) della manodopera e del “Sistema Terra”, non sembrano poi così lontane da alcuni accadimenti reali.

La Night City che Johnny ha provato a scuotere non è mai cambiata; le corporazioni, la corruzione e la depravazione continuano a regnarvi inevitabilmente. Tuttavia, il Relic potrebbe essere la sua seconda possibilità per tentare di cambiare definitivamente le cose.

“Johnny, un uomo che ha cercato di cambiare il passato, ovvero il suo presente, diviene il filtro perfetto per l’analisi della realtà che circonda l’apparenza di Night City, delle sue fantomatiche opportunità”.

Il paradosso dell’identità

V e Johnny Silverhand esistono come personalità distinte all’interno dello stesso “vassallo“, la mente e il corpo di V. La coscienza digitale di Johnny, caricata nella rete neurale del protagonista, contribuisce a creare un concetto tanto profondo quanto surreale: l’identità e il conseguente conflitto interno dovuto al suo cambiamento.

Per essere una tematica estremamente complessa, è sbalorditivo che CDProjekt abbia deciso comunque di affrontarla. Nel corso della narrazione, le identità di V e Johnny si fondono e si intrecciano, portando a una relazione simbiotica in cui il confine tra i due diventa sempre più sfumato. Questa fusione di identità sfida la nozione di individualità e solleva interrogativi sulla vera natura del sé. Le scelte che si prendono nel corso dell’avventura, così come l’influenza dei ricordi e delle emozioni di Johnny, modellano il carattere e l’identità stessa di V.

Filosoficamente, il Paradosso della Nave di Teseo è lo sfondo perfetto di un personaggio alla ricerca della propria autenticità. Quello de “La Nave di Teseo” è un paradosso filosofico che si chiede se un oggetto a cui sono state sostituite tutte le sue parti rimanga fondamentalmente lo stesso oggetto. In Cyberpunk 2077, questo concetto trova espressione nelle identità in evoluzione di V e Johnny Silverhand. Man mano che si progredisce narrativamente, la composizione fisica e mentale di V subisce cambiamenti significativi, offuscando il confine tra il loro sé originale e la versione “trasformata“.

Ricordo ancora quando a un certo punto, mentre guardavo V lottare in modo estenuante per mantenere il proprio vero sé in mezzo alla fusione delle identità con Johnny, divenne inevitabile pormi il dilemma filosofico di definire ciò che costituisce l’essenza di un’identità autentica, ponendomi la seguente domanda:

“L’autenticità risiede nel preservare l’essenza fondamentale del proprio essere o si trova nella natura in continua evoluzione dell’esperienza e dell’adattamento?”

Dopo centinaia di ore passate su quest’opera, sono giunto alla conclusione che la risposta varia in base al tipo di visione che un individuo possiede:

  • secondo una visione “materialista“, la nave (V) non è la stessa di sempre perché è materialmente diversa, data la progressiva sostituzione delle sue “parti” con quelle della “nave Johnny”;
  • secondo una visione “funzionalista“, la nave (V) è la stessa di sempre perché “funziona” allo stesso modo;
  • secondo una visione “fenomenologica” (Edmund Husserl), parlando di mente umana, V è sempre la stessa “nave” se e solo se il progressivo cambiamento è graduale e non subisce mai grosse rotture.

Tuttavia, le medesime “visioni” potrebbero non essere adatte a definire l’andamento evolutivo dell’essenza della vicenda in questione: V non è l’unico a “cambiare“. E’ come se ci fossero due “Navi di Teseo”.

Così come il principale protagonista, anche la coscienza (seppur digitale) di Johnny viene plasmata da sensi e consapevolezze diverse da quelle di cui la stessa si faceva attivamente promotrice oltre 50 anni prima della narrazione; e la causa fondamentale è proprio la coscienza di V e la sua alterazione.

È un argomento estremamente complesso. Tuttavia, l’esplorazione intrinseca di Cyberpunk 2077 della relazione tra V e Johnny Silverhand, attraverso il paradosso della nave di Teseo, aggiunge uno strato avvincente di indagine filosofica alla narrativa del gioco. La fusione delle identità, la natura trasformativa del viaggio di V e la ricerca dell’autenticità sfidano i giocatori a contemplare la natura dell’individualità e la vera essenza di sé. Intrecciando il paradosso de “La Nave di Teseo” con i destini intrecciati dei personaggi, Cyberpunk 2077 induce a riflettere sui confini dell’identità e sulla natura paradossale dell’evoluzione personale.

Contemplazione silenziosa

Cyberpunk 2077 presenta una forte componente RPG dal momento che permette al videogiocatore, sin dall’inizio, di plasmare V a proprio piacimento, sia fisicamente che caratterialmente. La semplice metodologia che consente di scegliere il background del proprio personaggio pone i primi “paletti” verso un’identità predeterminata.

Il “fallimentonarrativo di V come nomade, corporativo o semplice criminale di strada, per i narrative designer, è ancora troppo poco: il cambiamento iniziale del protagonista è solo l’incipit di un profondo senso di rottura identitaria che scuoterà aspramente il videogiocatore solo successivamente e in particolar modo durante particolari missioni secondarie, che di tematicamente secondario hanno ben poco.

La vera natura, tematica e filosofica, dell’opera non è da rintracciarsi tra le solite spettacolari sparatorie e fughe principali al limite dell’estremo: il messaggio e i momenti migliori dell’intero scenario narrativo s’identificano attraverso dialoghi secondari, piccole parentesi “silenziose” ma altamente coinvolgenti tali da permettere una sincera contemplazione del cambiamento. Un cambiamento che, come già accennato non intacca solo i protagonisti ma tutti gli elementi a loro circostanti: dai “semplici” personaggi secondari alla stessa “visione” Night City.

In particolare, uno degli sviluppi tematici e narrativi per me più preziosi e significativi è quello fornito dal caro bisturi di fiducia. In contrapposizione con la “tradizionale” consapevolezza che in Night City o sei qualcuno o muori, vi è la genuina logica di Viktor Vektor. Il dottore mi ha fornito una delle lezioni più importanti dell’opera: invece di bruciare la propria vita in una città in cui sono tutti fissati con l’ottenimento della fama e del potere, basta accontentarsi delle piccole cose, di ciò che già si ha per star apposto con se stessi ed esser felice.

“In una città in cui pervade il continuo assillo di false promesse e opportunità in favore dell’eterno prestigio, bisogna accontentarsi di vivere con umiltà, in cerca di pace e silenzio”

Sono stati proprio i “momenti di silenzio”, lontani dall’assordante Night City, a regalarmi le esperienze migliori. Le intense nuotate subacquee in compagnia della cara Judy tra gli edifici di una quotidianità ormai dimenticata presso Laguna Bend, una città sommersa a causa dei loschi affari corporativi, sono narrativamente brillanti.

L’immersione figurativa nelle profondità di una realtà cittadina dimenticata, dilaniata dalla tradizionale piaga corporativa, riesce chiaramente a far emergere un profondo senso nostalgico che è ancor più avvalorato dai racconti d’infanzia della stessa Judy. La nostalgia di una quotidianità ormai inesistente: Laguna Bend è uno degli emblemi di quelle che sono passate alla storia come “vittime del cambiamento“.

Dunque è evidente che, nonostante la necessità di un continuo progresso e l’estrema esaltazione dello stesso (matrice super-capitalista), l’universo di Cyberpunk 2077 nel suo design narrativo non omette delle profonde critiche a un sistema che, potenzialmente, potrebbe rappresentare il nostro (prossimo) futuro.

Lo stesso silenzio di contorno di fronte a una cenetta amichevole in compagnia del Detective River Ward, in periferia di Night City, risulta essere una potente espressione di una quotidianità timida, solo apparentemente inesistente. La possibilità di condividere pensieri e parole sincere tra amici è una piccola parentesi che consente di distrarsi dall’assordante confusione della città:

“Più l’epicentro cittadino è lontano più la narrazione si vivacizza”

Oltre gli imponenti grattacieli che, in un certo senso, bloccano l’egoismo, la corruzione e l’avidità a mo’ di gigantesca serra, si estende un panorama desertico ed esteticamente scialbo. Il giallume dello sterrato delle Bad Lands, nonché lo stesso nome che è letteralmente traducibile con “Terre Cattive”, esternalizza una prima impressione di una zona governata da fuorilegge senza cuore.

È proprio in queste zone “selvagge” che, sia nei panni di V che di Johnny, ho percepito il vero calore dell’amicizia e dell’animo umano. Perché di questo si tratta. Il massiccio cambiamento di Night City in nome del progresso ne ha sacrificato l’umanità. Quest’ultima, tuttavia, non è sparita del tutto: è timidamente nascosta o semplicemente distante. La denigrata periferia è il luogo in cui sono stanziati gli Aldecaldos di Saul Bright e Panam Palmer. Saranno loro l’espediente narrativo a evidenziare le vere componenti di un’umanità perduta: amicizia, amore, solidarietà, senso di appartenenza, famiglia, reciproco sostegno, e potrei andare ancora più avanti.

Tra gli Aldecaldos, V (sia un nomade, un criminale o un corporativo) (ri)scoprirà quella sensazione di calore familiare che pensava di aver perso per sempre dopo la morte del suo miglior amico, Jackie. L’incredibile amicizia tra Mitch e Scorpion, l’ultimo addio a quest’ultimo, il rapporto tra Panam e Soul e la possibile storia d’amore tra Panam e V sono tutti esempi ed espedienti che mettono in luce la contrapposizione tra l’impressione di un territorio solo all’apparenza ostile con quell’apparente opulenza cittadina.

Persino l’apparenza del più (inizialmente) insopportabile co-protagonista, Johnny Silverhand, viene messa a dura prova. Durante una missione di recupero di vecchi “cimeli“, Johhny si pervade di un profondo senso di inquietudine che riesce a trasmetterci molto bene: l’ansia di una morte lontana dalle poche persone care attiva nella rockstar un profonda tristezza che ci “obbligherà” a indagare sul luogo della sua presunta “sepoltura”.

Ormai 50 anni nel futuro, il corpo di Johhny si trova in luogo desolato, una vera e propria discarica lontana da tutto e tutti. Nessuno sa che si trova lì, tranne V, ossia l’unico “mezzo” e amico che riesce a percepire la sua sofferenza. Questo “angolo narrativo” è la vera svolta cruciale in grado di liberare Johhny dall’estenuante, e a volte esagerata, maschera da rockstar complottista; l’unico “spazio” intimo in cui V, incidendo le iniziale di Johnny sul punto in cui giace il suo corpo, riesce a sentire il bisogno di star accanto a quella persona che finalmente può considerare un nuovo vero amico.

Il racconto di tutti questi momenti è la sola componente di design narrativo in grado di liberare tutti i personaggi da quella loro “maschera pirandelliana” dietro la quale si nasconde la vera umanità. Queste sequenze, data la loro scarsità, sono estremamente importanti: questa unicità colloca questi atti narrativi tematicamente al di sopra di molti momenti narrativamente e ludicamente primari che trasmettono poco o nulla di quello che dovrebbe essere il reale messaggio di cui l’opera “Cyberpunk 2077” si fa promotrice.

La città dell’inganno

Che si tratti di narrazione o di pura estetica, il design dell’opera Cyberpunk 2077 è ricca di importanti significati e messaggi. Gli stessi sono sorretti anche da altrettanti piccoli dettagli che, a lungo andare, iniziano a costituire le fondamenta dell’intera opera e che, se indagati nel particolare, richiederebbero un’analisi a sé stante. A un occhio poco attento, Cyberpunk 2077 potrebbe risultare solo uno sfrenato e stravagante soggiorno in una città tanto magnifica quanto caotica; potrebbe risultare un sogno persino “vivere” Night City credendo nelle sue promesse e opportunità. Abbiamo visto che è realmente solo un sogno, che mai si realizzerà.

“A darci la consapevolezza di trovarci in una terra di falsi miti e di una vita che sta passando al cospetto dei sogni altrui sono una serie di elementi che, anche se piccoli, sono estremamente significativi e impattanti per arricchire l’esperienza di ogni singolo videogiocatore”

Questi filtri, da Johnny alle indimenticabili esperienze “secondarie”, liberano V (e di conseguenza ognuno di noi) dalle apparenze della “Città dei Sogni”. L’apparenza inganna. E se questo è vero, Night City passerebbe dall’essere un regno onirico intriso di opportunità a una città dell’inganno, dove solo a chi è disposto a sacrificare la propria umanità è concesso di vivere il proprio sogno.

Una concessione che arriva sempre da una corporazione, che sta sempre un piano sopra a qualsiasi sognatore. Johnny e V ne sono la prova. A meno che non intendiate rinunciare a vivere i “sogni altrui”… liberi di conservare la vostra umanità.

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Daniele Mantegna

Iniziò tutto all'età di tre anni, quando per la prima volta trovai il coraggio di premere il pulsante di accensione di quella "catapecchia" che, un tempo, era il "non plus ultra" della tecnologia. Era il mio tutto: la mia attrezzatura nell'esplorazione di antiche tombe dimenticate nei panni di un'atletica archeologa, la mia auto tra le strade di San Francisco e Miami nei panni di un ex pilota di auto da corsa diventato poliziotto, fino ad essere la mia cara Normandy a spasso tra le stelle della Via Lattea. Questi viaggi, che non dimenticherò mai, mi hanno reso, grazie ai loro valori e messaggi intrinseci, la persona passionale, curiosa e caparbia che sono oggi. La scrittura è il mio unico strumento per trasmettere i principi positivi che questo percorso infinito mi ha lasciato, e questo "Spazio" è l'Infinito che mi permette di condividerli. Ti andrebbe di proseguire questo cammino insieme? E ricorda: "la meta è partire" (Giuseppe Ungaretti).

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