Approfondimenti

Dragon’s Dogma 2 è una lezione di game design

Siamo onesti: le prime ventiquattro ore di Dragon’s Dogma 2 non sono state esattamente positive. Il gioco di ruolo targato Capcom, anche a causa di una strisciante disinformazione, è stato inizialmente tacciato di essere pay-to-win e di spingere il giocatore a usufruire delle numerose microtransazioni (che, sia chiaro, condanniamo con fermezza), senza però ricordare che limitare volutamente il fast-travel o dover farmare i Cristalli della Faglia per assoldare le pedine migliori fossero meccaniche già presenti nel primo Dragon’s Dogma, in quanto parte integrante di un modo estremamente peculiare di costruire un GDR.

Le decine di ore passate sul titolo (di cui trovate la nostra recensione qui) sono state un continuo susseguirsi di stupore e frustrazione, di serendipità e insuccessi, in quella che è l’esperienza ruolistica più immersiva e unica degli ultimi anni; un prodotto visionario e un po’ astruso sotto certi aspetti, che riprende il bello e il brutto del primo capitolo, uno dei videogiochi cult più controversi del panorama. Oggi sono qui per parlarvi di questo viaggio, e di come sia facile perdersi nel mondo vivo e interattivo di Dragon’s Dogma 2. Imbracciate archi, spade e scettri (a seconda della vostra classe) e tenetevi forte!

A scuola di open world: Capcom sale in cattedra

Più volte, nei nostri articoli, vi abbiamo parlato della crescente stagnazione dei mondi aperti, fin troppe volte belle e appariscenti sabbiere, prive però di qualsivoglia interattività. Salvo alcuni esempi virtuosi, come i blasonati Red Dead Redemption 2 ed Elden Ring, il genere degli open world sta attraversando un periodo di forte crisi creativa, figlio della necessità, da parte dei publisher, di doversi vantare di aver concepito una mappa che sia grande molteplici kilometri quadrati, senza però capire come riempirli in maniera efficace.

Capcom, invece, l’ha compreso alla grande: Dragon’s Dogma 2 utilizza un approccio capace di mettere al centro il piacere della scoperta e la nostra curiosità. Sebbene le primissime ore di gioco siano apparentemente lineari (con una sorta di “area tutorial” che ricorda molto la prima isola di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom), nel momento in cui comincia ad aprirsi diventa veramente difficile staccarsi; ogni stradina secondaria, ogni area boschiva, ogni anfratto nasconde qualche segreto, sia esso una grotta da esplorare o un baule da aprire, e nulla di tutto ciò ci viene espressamente indicato.

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Il giocatore è libero di vedere ciò che vuole e, perché no, anche di morire per mano di un minotauro o di un ciclope uscito dal nulla. Si sa, la curiosità uccise il gatto, ma la magia di Dragon’s Dogma 2 è anche questa: non è una “sabbiera vuota”, nonostante la sbalorditiva resa grafica, ma nasconde tesori e pericoli in ogni suo angolo.

Il nostro Arisen viene calato in un mondo misterioso, con pochissime indicazioni da seguire e con tantissime cose da imparare sui suoi abitanti e sulle sue insidie, ed è un po’ quello che vive il giocatore stesso, lasciato solo a familiarizzare con il complesso combat system action del gioco e a muovere i primi passi.

In un’era videoludica in cui siamo abituati a essere tenuti per mano, sentirsi così disorientati è una vera e propria benedizione. Non capita tutti i giorni di vivere le stesse emozioni che l’esplorazione di Dragon’s Dogma 2 è capace di dare: il terrore di imbattersi in un feroce miniboss con molti punti vita (anche mentre si è dentro le stesse città, ndr) e la meraviglia dell’aver scoperto un’enorme caverna non segnalata sulla minimappa sono soltanto due degli innumerevoli stati d’animo che si provano nel corso del viaggio. Quando un mondo di gioco è così ben pensato, perfino il fast travel diventa superfluo: non ci si annoia mai, questo è certo…

“What a team we make, Arisen!”

La meccanica per eccellenza di Dragon’s Dogma 2, così come nel primo, è il sistema delle pedine. In quanto Arisen, abbiamo il potere di dare loro degli ordini, dandoci la possibilità di assemblare una sorta di piccola armata: niente di troppo diverso dal comunissimo “party da gioco di ruolo”, potreste pensare.

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La verità è che le pedine sono i compagni di viaggio più leali e incredibili che vedrete mai in un videogioco. Esse vengono create dagli altri giocatori, per poi essere rese disponibili per il reclutamento all’interno della faglia per tutti gli altri Arisen. Ognuno di loro ha la propria personalità, la propria classe e, cosa più importante, il proprio bagaglio culturale: imparano, ricordano e condividono le conoscenze fatte durante i loro viaggi negli altri mondi, in maniera automatica e dinamica.

In un gioco così vasto e pieno di sorprese come Dragon’s Dogma 2, la presenza delle pedine trascende il semplice aspetto del party: esse comunicano e scherzano con noi, offrono il loro aiuto per aprire passaggi nascosti, combattono usando le strategie apprese nelle loro avventure, e molto, molto altro.

Insomma, più che un single-player, Dragon’s Dogma 2 è una sorta di enorme sforzo comunitario per facilitare l’esplorazione di ciascun Arisen. Assoldare una pedina che abbia già affrontato la quest che stiamo seguendo significa, all’atto pratico, ricevere istruzioni precise da un’altro giocatore sconosciuto, che ci indica indirettamente dove andare e cosa fare.

Provare un senso di connessione così forte in un gioco strettamente offline è un’esperienza assolutamente unica, che si è vista solo in altri titoli con multiplayer asincrono (Death Stranding, Dark Souls).

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Dover congedare una pedina dopo ore passate assieme, magari perché ce ne serve una più forte, è sorprendentemente difficile, e la sensazione che ne consegue è quella di aver appena spezzato un legame.

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Qualcuno reputa fastidiosi i continui dialoghi che intrattengono fra di loro (che io trovo spassosi), ma è impossibile farne a meno; sono il vero e proprio fulcro del gioco. Sentire le proprie pedine battibeccare sui risvolti della trama, segnalare un baule scoperto in un altro mondo o annotare un modo nuovo per sconfiggere un nemico è un qualcosa di surreale, difficile da spiegare a parole, capace di sorprendere anche dopo sessanta ore di gioco.

È ciò che rende Dragon’s Dogma 2 uno sbalorditivo esperimento meta-narrativo e ludico: nel corso della nostra storia nei panni dell’Arisen assolderemo decine e decine di pedine, ne congederemo altrettante, ma con una consapevolezza diversa, unica. La consapevolezza di essere stati aiutati e, contestualmente, di aver reso un po’ più facile la vita di un altro giocatore.

Quando i dettagli fanno la differenza

Costruire un mondo immersivo e accattivante è forse una delle sfide più ardue del mercato videoludico moderno; è richiesta un’attenzione ai dettagli notevole, perché spesso sono proprio loro che rendono un gioco una pietra miliare. Non è un caso, quindi, che Dragon’s Dogma 2 funzioni così bene: dal combat system alle interazioni con le nostre pedine, Capcom ha creato un’esperienza imperfetta paradossalmente perfetta.

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Da un punto di vista meramente tecnico, infatti, i combattimenti del gioco (specialmente nelle prime ore) sono particolarmente goffi e scomodi, e la “pesantezza” della fisica, pad alla mano, si sente tutta. Sebbene possa sembrare un difetto, è in realtà un grandissimo pregio: anche i nostri nemici ne risentono, e saper capitalizzare su questo aspetto è gratificante come poche cose. Le battaglie del gioco sono fondamentalmente ad armi pari; saremo messi costantemente alla prova, ma anche noi avremo gli strumenti per farci valere.

Un esempio? Scalare lentamente e con pazienza il dorso di un enorme ciclope, consumando tutta la nostra stamina, fino ad arrivare al suo unico occhio, per poi infilzarlo a ripetizione fino a distrarlo completamente, obbligandolo a lanciarci via come se fossimo delle mosche. In quale altro gioco c’è un gameplay emergente del genere?

I miniboss possono inciampare, sbattere le loro teste su alberi e rocce, cadere giù da un dirupo, schiacciarci, sollevarci e stringerci in pugno mentre si arrampicano su una parete, fare irruzione in città mentre facciamo compere, interrompere i nostri viaggi rapidi, uccidere NPC e molto altro, e tutto questo può succedere in qualunque punto dell’enorme mappa di gioco, in maniera assolutamente casuale.

Non c’è nulla di scriptato, e c’è un livello di interazione mai visto prima fra giocatore e gioco, portando a scontri sempre diversi. Certo, alcune volte può essere frustrante dover soccorrere la città dall’invasione di un Orco mentre miglioriamo il nostro equipaggiamento in tutta calma, ma è parte dell’esperienza.

L’intenzione degli sviluppatori era quella di creare un mondo fantasy dannatamente realistico e minuziosamente dettagliato: obiettivo pienamente raggiunto. I nostri accampamenti possono essere assaliti dai nemici durante la notte, e il viaggio rapido non viene mai dato per scontato; gli NPC, anche quelli cruciali ai fini dello svolgimento della trama, possono morire, e le pedine, combattendo i draghi, possono “infettarsi” con la Peste Draconica, una malattia catastrofica che le renderà disobbedienti e assassine.

Dopo ogni successo, i nostri compagni si scambieranno saluti e ringraziamenti, e al primo accenno di pioggia allungheranno le mani per sentirne le gocce, con tanto di dialoghi sempre nuovi. Piccole cose che, nell’insieme, costituiscono un esempio di worldbuilding senza precedenti.

La rivoluzione di Dragon’s Dogma 2

Sia chiaro, consigliare Dragon’s Dogma resta comunque piuttosto difficile: è un gioco che regala tantissime soddisfazioni, ma solo se si ha la pazienza di avere a che fare con i suoi sistemi volutamente strani e sperimentali. Al vostro Arisen può succedere di tutto, e può succedere ovunque: fra malattie delle pedine, grifoni che spuntano dal nulla e fast travel limitato, il titolo di Capcom alza l’asticella in quanto a immersione e dinamicità del gameplay.

Forse rimarrà negli annali come “il tipico gioco cult da provare in sconto”, un po’ come il primo capitolo, o forse aprirà le porte a una silenziosa rivoluzione nell’industria videoludica: a essere sincero, preferirei il secondo caso, visti anche i numeri notevoli che sta facendo registrare.

La sensazione è che il team di Itsuno, mantenendo sia i pregi che i difetti del predecessore, abbia voluto ribadire di aver semplicemente fatto il gioco giusto, al momento sbagliato: guarda caso, le stesse, astruse trovate che attirarono le critiche sul primo Dragon’s Dogma oggi vengono lodate e ammirate con il secondo. La filosofia di base non è cambiata, ma il mercato sì, ed è ormai alla ricerca di esperienze open-world più gratificanti e curate. Non ci resta che sperare che sia davvero così; per adesso godiamoci quel capolavoro che è Dragon’s Dogma 2.

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Matteo Di Cola

Eterno amante di astronomia e di videogiochi, Matteo è cresciuto con un gamepad in una mano e con una carta celeste nell'altra. Cerca sempre di scoprire cose nuove su di lui e sui suoi gusti esplorando decine di generi. Con gli anni ha riscoperto anche una forte passione per la letteratura, la musica, la tecnologia e per la cultura orientale, in particolar modo cinese, oggetto del suo percorso di studi in Lingue e Letterature. Trova sempre un legame tra quello che interessi così diversi riescono a raccontare, nella maniera più personale possibile.

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Matteo Di Cola
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