INDICE
L’articolo che segue altro non è che un sommario simil-biografico riguardante l’inizio e lo sviluppo della carriera di Yoko Taro, noto creatore della saga di Nier e Drakengard.
Per motivi intrinsechi alla struttura della stesura dell’articolo dovremo anche parlare di alcune delle sue opere e le tematiche connesse, incappando in lievissimi spoiler di essi.
Ora che siete stati avvertiti, vi auguriamo una buona lettura!
Non è un segreto che la follia è spesso connessa al genio.
Vuoi che sia una messa in scena o una genuina visione involontariamente distorta della realtà, quella stessa distorsione è risultato di un processo evolutivo dello stato comportamentale dell’individuo plasmatosi da eventi vissuti durante la crescita e diverse influenze, e spesso si viene bistrattati o ignorati a causa di ciò.
Una persona che vuole nascondere il suo volto per evitare di deludere le aspettative della gente, complice una personalità estremamente introversa, capace di rivoltare come un calzino la concezione di umanità di chi vive le sue storie e considerato “folle”.
Questo è Yoko Taro, la mente dietro il fenomeno di massa Nier:Automata.
Nato a Nagoya il 6 giugno 1970, Yoko Taro è cresciuto in una famiglia “dipendente” dal lavoro, con le figure materna e paterna estremamente assenti durante la sua infanzia.
La supervisione della sua crescita fu affidata alla nonna, la quale era estremamente protettiva nei suoi confronti soprattutto in ambito scolastico, dove spesso si presentava per applicare pressioni al nucleo insegnanti per spronarli ad avere un occhio di riguardo nei confronti del nipote. Inoltre, quando era a casa, Yoko Taro riceveva forti pressioni dalla nonna anche per studiare, con la promessa di ricompensarlo con del buon cibo.
All’età di 11 anni Yoko Taro riceve la sua prima console, il Super Cassette Vision, che servì come biglietto d’ingresso a quella che sarebbe diventata poi la sua passione.
A 15 anni passa al Famicom, e con quest’ultima proverà quello che sarebbe stato invece il titolo che avrebbe segnato per sempre il suo orientamento come game designer, ovvero Gradius.
Sempre durante questi primi anni sul ciglio dell’adolescenza viene esposto al mondo dei manga e degli anime, i quali segneranno invece fortemente la sua maturità e i suoi anni di liceo.
Raggiunta infatti l’adolescenza e entrato nelle superiori, Taro si trova più libero di percorrere la sua strada grazie all’allentamento delle pressioni della nonna, la quale lo reputa abbastanza cresciuto per poter fare quel che vuole della sua vita, e grazie a ciò si unisce al club di manga della sua scuola e si iscrive a una scuola privata di disegno.
Concluso il suo percorso alle superiori, Yoko Taro inizia a frequentare l’Università di Design a Kobe nel corso di Graphic Design, dove impara tutto quel che serve sapere per modellazioni 3D (utili poi al suo ingresso nell’industria) e editing video/grafico.
Finita l’università e trascorso un anno a studiare in Inghilterra, infatti, Yoko Taro inizia a lavorare per la Namco in veste di Designer 3D e editing CGI, collaborando come background designer in titoli arcade quali Alpine Racer 2 e Time Crisis II (rispettivamente 1996-1998). Un paio d’anni dopo la sua crescita professionale prosegue lavorando al suo primo titolo per home console (la prima PlayStation) in veste di progettista, ovvero Chase The Express (o Covert Ops: Nuclear Dawn) di Sugar and Rockets e successivamente all’esclusiva giapponese Phase Paradox di SCEI come visual e game designer.
Dopo i primi anni di “gavetta” e il suo esordio nel mercato home console, Yoko Taro viene assunto in una compagnia che gli avrebbe permesso di dare ufficialmente il via alla sua carriera così come ha sempre sognato e di creare in prima persona qualcosa che lo avrebbe reso chi è oggi. La compagnia in questione altra non è che la Computer Amusement Visualizer, o meglio conosciuta come CAVIA.
Prima di parlare di quel che è stata l’incredibile evoluzione di eventi che ha permesso a Yoko Taro di avere il suo momento di gloria, vale la pena spendere un paio di righe per parlare di cosa è CAVIA e come è stata conosciuta prima del rilascio di Drakengard e Nier e, perché no, pure qualcosina dopo!
Non un portfolio da strapparsi i capelli, quello di CAVIA, ma comunque ricolmo di quel che possiamo definire “lavoro sporco” all’interno dell’industria, ovvero quello di supervisionare e sviluppare spin-off di saghe anche famose e tie-in di anime popolari in quel del Sol Levante.
Dalla sua fondazione nel 2000 si ritrova tra le mani il progetto di un titolo di One Piece totalmente RPG per Game Boy Advance e un titolo dedicato alla strategia del calcio chiamato Nihon Daihyo-senshu Ni Naro (Dramatic Soccer Game per noi).
Oltre a questi hanno poi lavorato, negli anni a seguire, a diversi adattamenti tie-in di brand anime famosi in Giappone quali Dragon Ball e Naruto toccando diversi generi e piattaforme, e prendendo anche le redini di progetti quali spin off per saghe storiche quali Dragon Quest (Dragon Quest: Young Yangus and the Mysterious Dungeon, prequel dungeon crawler di Dragon Quest VIII) e Resident Evil (The Darkside Chronicles, infelice spin-off sparatutto su binari uscito su Wii).
Nonostante il ricco portfolio, come già detto, CAVIA non è mai riuscita a brillare nella qualità dei suoi prodotti e nei dati di vendita, raggiungendo comunque la sufficenza.
Subito dopo i primi due progetti, Tamakasa Shiba (che lavorava per Enix) e Takuya Iwasaki (figura portante di CAVIA) decidono di sfruttare le forze di alcuni membri dello studio che collaborarono allo sviluppo di Ace Combat e sviluppare un gioco di combattimento aereo con i draghi sotto commissione di Enix stessa, con tanto di carta bianca per quel che riguardava la direzione creativa del progetto. O almeno questa, diciamo, era l’idea iniziale.
Già allo stato embrionale del progetto, Iwasaki si ritrovò a gestire quel che sarebbe stata la trama del titolo, senza però mai averne scritta una prima, e con il carico di lavoro causato dagli altri progetti a cui stava lavorando ai tempi, si ritrovò sopraffatto dalla mole di lavoro a causa della sua inesperienza in quel particolare ramo dello sviluppo.
Nel frattempo Yoko Taro venne chiamato a lavorare come Art Director, ottenendo però scarsi risultati in quanto la stragrande maggioranza delle sue idee veniva respinta.
Iwasaki allora prende la decisione di affidare la direzione narrativa a Yoko Taro stesso, e successivamente Shiba concede anche lui carta bianca su qualsiasi scelta stilistica per il titolo.
È qui che tutte le esperienze passate della vita di Taro si riversano, dando il via libera al fiume di idee atipiche per la struttura della trama e le sue tematiche.
Durante lo sviluppo del titolo, però, avviene la storica unione di Square Soft ed Enix, e nel bel mezzo del conflitto di scuole di pensiero, gran parte dello scenario scritto da Yoko Taro viene respinto dai piani alti in quanto valutato “estremamente estroverso” e “al limite del taboo”.
Abbattuto dalla doppia sconfitta, Yoko Taro ritrova la speranza in quella che sarebbe stata l’amicizia che avrebbe plasmato per sempre la sua carriera, ovvero quella con Yosuke Saito.
Grazie all’interesse di Saito nel folle mondo ideato da Taro e al suo ruolo importante all’interno di quella che sarebbe da lì a poco diventata ufficialmente Square Enix, spinse l’idea di mantenere quanto più possibile intatta l’idea originale per Drakengard, supportandone l’atipica natura caotica che rendeva interessante il tutto.
Dopo le incessanti pressioni di Saito, gran parte dello scenario passò e Drakengard venne rilasciato.
Yoko Taro, però, rimase quasi ferito dalle vicende e dalla poca libertà che la neo-Square Enix gli lasciò originariamente per Drakengard prima dell’intervento di Saito, e per questo motivo si rifiutò di prendere parte allo sviluppo del seguito, o almeno non in veste di Director.
La direzione di Drakengard 2 era a carico infatti di Akira Yasui il quale, ironia della sorte, era anche compagno di corso di Yoko Taro all’Università di Design di Kobe.
Taro si dedicò al progetto solamente come video editor, senza ricoprire quindi alcun ruolo di punta.
Le vicende del titolo riprendevano quel che era considerato il finale più “generico” dell’opera originale (ending A, ndr.) e per questo motivo Drakengard 2 non viene considerato dai fan dell’universo narrativo di Yoko Taro come canonico.
Una volta finito il “ciclo vitale” post-rilascio di Drakengard 2, la preproduzione per il terzo capitolo iniziò e Iwasaki riprovò a contattare Yoko Taro per proporgli di prenderne le redini come Director in maniera analoga a quanto fatto con il primo capitolo, il tutto con il supporto di Saito.
Yoko Taro accettò di occupare il ruolo, con la condizione di non ritrovarsi più limitato durante il processo creativo come successe durante la produzione di Drakengard 1.
Grazie, per l’ennesima volta, al supporto di Saito e il suo “debole” per Taro, Square Enix lascia carta bianca nella scrittura dello scenario di quello che sarebbe dovuto essere Drakengard 3.
Durante la fase di preproduzione, però, vista la piega che stava prendendo il progetto (soprattutto di conseguenza al fatto che la trama avrebbe dovuto proseguire l’ending E di Drakengard 1, ironicamente il più “odiato” dai piani alti di Square Enix, ndr.) e l’allontanamento dallo stile della saga principale, il progetto cambia nome e finisce con il venire considerato una sorta di spin-off nonostante sia un sequel a tutti gli effetti: il nome del progetto è ora NieR.
Con un’ambientazione e un cast molto più vicini “a noi” e “i nostri tempi”, Yoko Taro può ora riversare tutte le sue idee di game design senza freni.
Square Enix riuscì comunque a mettere in parte “lo zampino” sulla gestione del progetto, richiedendo lo sviluppo di una duplica versione del titolo rispettivamente per il mercato orientale ed occidentale (Replicant e Gestalt, che differenziano solamente nelle fattezze del protagonista dove nel primo impersoneremo un giovane fratello e nel secondo un padre, ndr.), comunque NieR riesce a vedere la luce raggiungendo gli scaffali di tutto il mondo e riuscendo finalmente a fare leggermente più breccia nel cuore dei consumatori, o almeno a livello di vendite.
Nonostante il discreto successo, accompagnato anche da merchandise e prodotti su altri media collegati al titolo principale, NieR non è bastato a risollevare quella che era una situazione grigia per CAVIA, che viene assorbita da AQ Interactive durante lo stesso anno di rilascio del titolo.
Come di norma accade in questo tipo di situazioni, i diversi dipendenti possono decidere se seguire lo studio verso la sua “nuova casa” o abbandonare la barca ed esplorare nuove occasioni, ed è proprio questo che decise di fare Yoko Taro, passando da CAVIA a semplice freelancing.
Con l’assorbimento di CAVIA dentro AQ Interactive e l’abbandono di Yoko Taro, il designer si ritrovò in parte “disoccupato” e costretto a ripiegare a lavori da freelancer per conoscenze all’interno di Square Enix.
Grazie a queste connessioni, si ritrovò a collaborare alla stesura dello scenario del browser game Monster x Dragon, e come co-produttore in Demon’s Score per mobile.
Questo periodo si distende dal 2010 al 2012, periodo in cui anche il suo collega Saito viene assegnato al progetto Dragon Quest X come supervisore e ciò lo terrà impegnato in questo periodo data la natura online dell’MMORPG Square Enix che stava godendo di un buon successo in Giappone.
Nel 2012 Shiba, originale elemento di punta dell’ormai “defunta” CAVIA e collaboratore nel progetto Drakengard, si riavvicina a Yoko Taro per suggerire lo sviluppo del vero terzo capitolo della saga che precedentemente si trasformò in Nier. Shiba provò a presentare il progetto a AQ Interactive, la quale respinse immediatamente l’idea in quanto consideravano Drakengard “troppo cupo” e i giocatori volevano qualcosa di più leggero. Inoltre, Yoko Taro non era convinto dall’idea in quanto ha sempre visto Nier come, per l’appunto, il suo vero Drakengard 3.
Dopo il tentativo fallimentare di avvicinarsi ad AQ Interactive, con l’aiuto di un Saito entusiasta dell’idea il progetto viene questa volta presentato a Square Enix stessa, la quale lanciò un sondaggio per i consumatori nel tentativo di comprendere se ci sarebbe potuto essere dell’interesse e come avrebbero voluto veder prodotto il titolo.
Il progetto base “Drakengard (3)” viene approvato, con un Yoko Taro in conflitto con il desiderio di Shiba e Saito che desideravano un titolo in stile Nier e il desiderio dei fan di una storia “estremamente cupa”.
Il designer decide di non seguire nessuna delle due strade in maniera unilaterale e invece tenta di sviluppare un titolo “che spinga il giocatore alla ricerca di qualcosa” che mescola le tematiche del Drakengard originale e un umorismo che avrebbe caratterizzato il cast del titolo, e inizia così la produzione del gioco, in collaborazione con lo studio Access Games (studio che ha lavorato anche allo storico Deadly Premonition, ndr).
Durante lo sviluppo, come suo solito, Yoko Taro ha avuto diversi attriti con i piani alti di Square Enix. Il più famoso e citato in un’intervista a Dengeki Online riguarda la sua battaglia nel mantenere il design della protagonista con il “fiore” nell’occhio Zero, idea nata Kimihiko Fujisaka (oggi famoso per aver collaborato anche a Terra Battle e alcuni design di Fire Emblem: Awakening).
Un altro esempio storico di idea di design di Yoko Taro per il titolo che è stata invece scartata era quella di ambientare il titolo in una scuola superiore, e rendere le protagoniste studentesse che avrebbero potuto richiamare i loro draghi tramite l’uso di uno smartphone speciale.
Altra chicca scartata ma estremamente interessante legata invece alla scrittura dello scenario sarebbe stata quella di intitolare il gioco “Drakengard 4“, e concentrare la trama sulla “ricerca” degli eventi del terzo capitolo mancante, che fa un po’ sorridere consci della natura intricata della timeline dell’universo narrativo della saga.
Nonostante le divergenze e i piccoli tagli, Drakengard 3 vede finalmente la luce sul mercato senza però purtroppo vendere nemmeno quanto NieR.
Come se non bastasse seguì la stessa sorte a livello di critica, venendo bocciato aspramente dalla stragrande maggioranza delle testate giornalistiche videoludiche mondiali (anche se ha trovato dell’apprezzamento in Giappone), teniamo bene a mente questo quando andremo a esplorare l’evoluzione della personalità di Yoko Taro nel corso degli anni.
Dopo l’ennesimo mezzo buco nell’acqua a livello di incassi, Yoko Taro abbandona lo sviluppo di videogiochi per qualche anno buono (dal 2013 al 2016 per essere precisi) per dedicarsi alla scrittura di manga, novel e opere teatrali, tutte comunque collegate a quell’universo che non riesce proprio ad abbandonare.
Proprio per questa sua passione e continua ricerca del miglioramento che Yoko Taro, insieme a Saito, riuscirà a ricevere finalmente il budget e i mezzi per poter creare il videogioco che trasformerà la sua serie in una di quelle di punta a Square Enix al pari di colossi quali Final Fantasy e Square Enix.
Parliamo ovviamente di NieR:Automata.
Parleremo degli eventi da qui in avanti in un secondo articolo, per favore siate pazienti!
Tra il 2013 e il 2014 Yoko Taro viene assegnato come supervisore per una collezione di libri che avrebbero espanso l’universo narrativo di Drakengard, nello specifico quello del 3.
Il primo in ordine di uscita è Drag-On Dragoon Utahime Five, altresì tradotto Drag-On Dragoon: The Five Intoners. Il libro vedeva come protagonista “la” One e le sue sorelle da bambine e il tono dell’opera poteva apparire leggero e infantile, mostrando la classica crudeltà della saga solo dopo averne letto una parte.
Il testo pubblicato successivamente, sempre supervisionato da Yoko Taro, è intitolato Drag-On Dragoon Shi ni Itaru Aka, tradotto in Drakengard: Fatal Crimson o The Red Unto Death, e racconta eventi alternativi che vanno a collegarsi a finali differenti di Drakengard che vedono protagonisti “il” One e il compagno Nero, oltre che a un’introspettiva sulla morte dei genitori di Cain del primo titolo, con altri sviluppi interessanti che raccontano della Red Eye Disease e il Cult Of Watchers (avremo modo di raccontarvi tutti i dettagli della lore un’altra volta, per ora concentriamoci sulle varie opere a cui Yoko Taro ha lavorato ndr).
A otto mesi dalla release giapponese (e tre da quella internazionale) di Drakengard 3 esce il terzo libro dedicato ad esso, ovvero Drag-On Dragoon 3: Side Story, ovviamente anche questo supervisionato da Yoko Taro.
Questo libro diventerà poi molto importante nella ricostruzione dell’universo narrativo, in quanto fa da ponte e conferma totalmente la natura da prequel che ha il terzo capitolo della saga nei confronti del primo, con anche spiegazioni sulla nascita della Cult Of Watchers, i Pacts/Contracts e i Seals (questi ultimi estremamente importanti per comprendere gli avvenimenti attorno al Fiore e quel che succede nel primo Drakengard, ndr.).
Nel 2014 Yoko Taro lancia il primo manga completamente ideato e scritto da lui, Thou Shalt Die, con il supporto delle illustrazioni a cura di Moriyama Daisuke (famoso per aver lavorato a Chrono Crusade e World Embryo) che ha visto la serializzazione sulla rivista Monthly Big Gangan di Square Enix, e ha raggiunto la sua conclusione solo alla fine dell’estate 2020 con il capitolo 59.
Questo manga ha ricevuto inoltre un adattamento teatrale in Giappone nel 2016, anch’esso ideato da Yoko Taro, ma che non è stato scritto da lui in prima persona.
L’opera teatrale per cui Yoko Taro curerà lo script sarà qualcosa ideato da lui, e farà da preparazione a quel che sarebbe stato poi il videogioco che avrebbe finalmente fatto splendere il suo atipico genio creativo in tutto il mondo.
Lo stage play è chiamato “YoRHa“, e parlerà di una squadra di androidi che avrà l’arduo compito di scacciare delle macchine aliene che hanno invaso la Terra per permettere agli umani rifugiati sulla Luna di ritornare (ve ne parleremo nel dettaglio nel secondo articolo biografico in un paragrafo a se, per favore siate pazienti! ndr).
Durante il periodo di uscita dei due stage play, Yoko Taro inizierà inoltre a curare una sua personale rubrica su Famitsu intitolata “Yoko Taro’s Bad Thought Process” dove il designer spiega il processo creativo che porta alla realizzazione delle storie dei suoi videogiochi, e da qui potrete leggerne un estratto (scritto in suo pieno stile, decisamente).
Nel 2015, inoltre, Yoko Taro fonda una compagnia insieme alla moglie Yukiko Yoko (famosa illustratrice giapponese che ha lavorato a Taiko No Tatsujin e drakengard 3) e Hana Kikuchi (scrittrice che ha anche collaborato alla stesura dello scenario di Drakengard 3) chiamata “Bukkoro”, che come primo lavoro ha lanciato un pack di stickers per l’app di messaggistica LINE estremamente popolare in Giappone.
Se c’è qualcosa che sicuramente spicca nei titoli curati da Yoko Taro, questi sono l’aggloromerato di stili diversi di gameplay all’interno di un unico videogioco e le storie estremamente cupe, con una dosata e attenta gestione del senso dell’umorismo che servono da “ammortizzatore” per i momenti estremamente emotivi che il giocatore vive attraverso il/la protagonista.
Partendo dal primo, la primissima vera influenza di Yoko Taro arriva durante la sua infanzia con Gradius sul Famicom, titolo shoot ’em up che ha fatto da capostipite per l’evoluzione del genere, oltre che da ispirazione per il più moderno e sempre lodato designer Ikaruga.
Il gameplay shoot ’em up (e sparatutto in generale, ndr.) è sempre stato presente nei vari titoli a cui ha collaborato sia in prima che terza persona Yoko Taro, come ad esempio le fasi di volo in groppa al drago presenti in Drakengard e poi meglio refinite nelle sezioni bullet hell di NieR.
Per quanto riguarda invece le parti action musou del primo Drakengard, la scelta di utilizzare quel tipo di gameplay arrivò direttamente da Shiba nell’intenzione di cavalcare l’onda del successo di quell’anno dei Dynasty Warriors in Giappone, scelta poi rafforzata da una motivazione molto più profonda a livello di significato da parte di Yoko Taro stesso.
Riguardo questo ultimo punto, infatti, l’idea di “uccidere” una grande quantità di persone ha sempre dato fastidio all’autore, e ha pensato che solamente qualcuno di malato e folle potrebbe fare qualcosa del genere e da ciò viene spiegata la natura sadica e contorta del protagonista Caim.
Successivamente questa idea, sempre secondo Yoko Taro, poteva essere causata dalla convinzione di compiere l’atto facendo del giusto (prendendo diretta ispirazione dal terrorismo e in particolare dai tragici eventi dell’11 settembre), e questo servirà da base per la caratterizzazione dei protagonisti di NieR e Drakengard 3.
In quest’ultimo particolare titolo, la protagonista è la materializzazione della repulsione di Yoko Taro verso i personaggi chiave femminili dei videogiochi “dal carattere debole e facilmente dimenticabile”, dandole infatti un carattere forte a dir poco accattivante, oltre che un background che sfocia anche nella prostituzione per via di eventi ben poco felici.
Tornando a parlare di gameplay, l’evoluzione dei combattimenti ad un più classico action RPG di NieR dopo il musou del primo Drakengard venne invece ispirato da, sorprendentemente, God of War, che sia Yoko Taro che Saito hanno estremamente apprezzato, e il classico Ico.
L’obiettivo del designer nella gestione del gameplay è basato totalmente sul suo gusto personale in quanto, a detta sua, dopo aver passato così tanti anni a videogiocare difficilmente trova qualcosa che lo esalta o lo sorprenda lungo tutta la durata dell’esperienza.
Secondo lui nonostante gli enormi budget che vengono utilizzati, i videogiochi con il passare degli anni hanno sì subito un’enorme evoluzione tecnica ma tendono a diventare ripetitivi nelle loro esperienze singole in davvero poco tempo, e il suo obiettivo è quello di mantenere l’interesse alto anche da quel punto di vista. Per questo nei videogiochi diretti da Yoko Taro vediamo un continuo alternarsi di generi anche totalmente diversi da loro, partendo dal “semplice” connubio tra un shoot ’em up e un musou (e rhythm game, ndr.) con il primo Drakengard fino al miscuglio di action RPG, platform, action Diablo-like, bullet hell, visual novel e puzzle di NieR.
Passando invece a quella che è la gestione della sceneggiatura e dello script della trama dei suoi titoli in maniera tecnica, Yoko Taro addotta quel che è una sorta di “scriptwriting inverso“, dove parte dalle battute finali e sviluppa il resto della storia da li andando a ritroso.
Uno dei dettagli che preme molto Yoko Taro rispettare è quello che amalgamare i punti focali e centrali del plot con dei picchi emotivi, e ogni dettaglio deve avere un qualche segnale emotivo connesso ad esso disseminato per l’intero sviluppo della storia, andando a costruire principalmente una connessione strettamente emotiva nel videogiocatore quanto più d’impatto possibile.
Questo metodo di scrittura si collega in maniera diretta a quel che si definisce “photo thinking” utilizzato da Yoko Taro, ovvero quello di visualizzare la struttura ordinata di distribuzione di eventi e picchi emotivi (che siano comici, malinconici, disturbanti ecc.) lungo tutta la durata della storia.
Secondo quanto dichiarato da Yoko Taro stesso, l’ispirazione per l’utilizzo di questo metodo arriva direttamente da “The Memory Palace of Matteo Ricci” di Jonathan Spence, opera che tratta il tema dell’operato della memoria e di come si possa “creare quel che si vuole ricordare“, scuola di pensiero che può anche applicarsi alla struttura a finali multipli dei lavori di Yoko Taro, la cui funzione principale serve per lasciare libertà al giocatore a quando smettere e sentirsi soddisfatti della storia.
Vi invitiamo caldamente a informarvi sull’opera di Jonathan Spence in quanto per quanto si possa cercare di sintetizzare, solamente con una dovuta ricerca si può cogliere l’effettivo impatto di essa sui lavori di Yoko Taro.
Altre influenze, questa volta dal mondo dell’animazione giapponese, che hanno avuto un forte impatto dal punto di vista di visione musicale dei lavori di Yoko Taro le possiamo trovare in Ghost In The Shell, mentre per la natura criptica e apocalittica (soprattutto dei finali ndr) in Evangelion.
Le esigenze musicali di Yoko Taro sono sempre state soddisfatte dallo stesso uomo che ha senza dubbio contribuito ad elevare ancora di più il valore delle sue opere, parliamo ovviamente di Keiichi Okabe del quale parleremo meglio nel secondo articolo dedicato.
Non manchiamo di ricordarvi che potete “scaldarvi” ascoltando su Spotify e Apple Music le colonne sonore dei NieR, ora disponibili!
Probabilmente il paragrafo che verrà più cliccato di tutti, probabilmente dovuto al fatto che chiunque ora vorrebbe sapere il volto oltre la maschera, magari rimanendo delusi dall’assenza di una bella foto in primo piano in testa a queste righe.
Ci spiace, non vedrete la sua faccia qui. E no, nemmeno vi diremo dove trovarla.
Bensì vi racconteremo passo per passo come la maschera s’è sovrapposta al volto, e di cos’è fatta.
Iniziamo partendo dalla sua infanzia, riprendendo come Yoko Taro veniva tenuto sotto stretta sorveglianza dalla nonna e di come lei applicava pressioni al giovanissimo futuro game director sugli studi e anche al nucleo insegnanti della sua scuola. Queste pressioni, nella società giapponese, spesso e volentieri durante i primi anni di scuola vanno creare una specie di “bolla” attorno al fanciullo, isolandolo dal resto dei suoi coeatenei visto il trattamento con i guanti che lo serviva.
Questo comportamento della nonna, per quanto coltivato con le migliori dell’intenzioni, hanno portato il bambino ad essere isolato durante il primo ciclo scolastico, e i premi “in cibo” nel caso avesse portato buoni risultati non hanno aiutato dato che altro non hanno fatto che fargli prendere perso causando derisioni; l’assenza dei genitori non ha poi di certo contribuito.
Uno degli avvenimenti che ha segnato lo stile cupo caratteristico delle storie di Yoko Taro e il costante interessamento verso il valore della vita, della morte e dell’umanità avviene durante gli anni dell’adolescenza, dove finalmente riesce a creare qualche amicizia anche grazie all’allentamento delle pressioni dalla famiglia.
Un pomeriggio durante una passeggiata con gli amici lungo degli alti tetti di un blocco residenziale all’interno del distretto commerciale della sua città, uno di loro cade accidentalmente, non sopravvivendo. Per quanto non fosse già abbastanza traumatizzante l’avvenimento in sé, quello che ha davvero segnato Yoko Taro fu la reazione degli altri suoi amici che a differenza sua, ridevano e scattavano fotografie al corpo inerme.
Quest’esperienza segnerà per sempre Yoko Taro, in quanto ha visto con i suoi occhi una reazione disumana ad un evento tragico quale la fine accidentale della vita di un caro conoscente, e ciò si tradurrà in trattamenti espliciti della morte nelle sue storie.
Oltre la timidezza maturata durante l’infanzia, e l’aver vissuto un evento traumatico come tale, persino le questioni d’amore furono un enorme problema per Yoko Taro. All’età di 21 anni entra in una relazione per la prima volta per poi essere lasciato in breve tempo, e stessa cosa succede poco dopo, e tutto questo lo porta a danneggiare ulteriormente un’autostima che sarebbe destinata a sbriciolarsi totalmente nel corso degli anni a seguire.
Nonostante fosse riuscito a produrre più titoli di una saga propria ed originale, ognuno di essi venne estremamente sminuito dalla critica internazionale, dando valutazioni addirittura insufficenti.
Dopo l’uscita di Drakengard 3 e l’ennesima ondata di recensioni negative del titolo, infatti, Yoko Taro “getta la spugna” temporaneamente con lo sviluppo dei videogiochi dedicandosi ad altro. Citando il Director stesso, “Mi sono stancato di creare videogiochi che non piacciono, tanto vale che non faccia nulla“.
Fortunatamente come ben sappiamo, anche grazie all’intervento di Yosuke Saito, Yoko Taro si sarebbe poi ripreso con il rilascio di NieR:Automata ma prima di allora quello che aveva raccolto, secondo il suo punto di vista, era una sfilza di fallimenti.
La scarsa autostima lo ha sempre reso contrario alle interviste, e quando ne fa richiede ai presenti di non filmarlo o semplicemente indossa una maschera dalle fattezze di Emil, un importantissimo personaggio dell’universo narrativo da lui creato e conosciuto per la prima volta sul primo NieR.
Il motivo per cui ha deciso di creare la maschera con le fattezze di quello specifico personaggio verrà trattato nel secondo articolo dedicato, in questo ci concentreremo prevalentemente all’evoluzione della sua personalità e alle ripercussione di ciò nei suoi titoli.
Il motivo per cui la indossa, comunque, non è nulla di estremamente complicato.
Citando in parte Yoko Taro: vi farebbe piacere scoprire che l’autore del vostro eroe preferito altro non è che un ultra cinquantenne con problemi nella gestione dell’alcool ed estremamente brutto?
Tradirebbe le vostre aspettative.
Per questo motivo Yoko Taro indossa la maschera, un motivo che s’è creato dopo una lunga serie di eventi che altro non ha fatto che consumare la sua autostima.
Vista la sua personalità estremamente introversa e il suo continuo interessamento alla morte, la logica dell’umanità e della vita in generale, non sorprende come Yoko Taro si approcci alle tematiche delle sue opere.
Basti pensare anche solamente ai temi che fanno da sfondo al primo Drakengard quali incesto, pedofilia, razzismo e gore, il tutto contestualizzato in un mondo malato di sensazioni totalmente umane che possono essere ritrovate nella realtà e nella vita di tutti i giorni.
Come già accennato in precedenza, secondo Yoko Taro “solo una persona pazza e sadica può provare piacere nell’uccidere qualcuno”, motivo per cui giustifica gli stermini di grossi gruppi di nemici seguendo la base musou che rappresenta.
Ciò che colpì veramente fu invece come il titolo evitasse in tutti i modi di dare risposte ma, invece di lasciare domande riguardanti la trama a sé, pone domande al giocatore in maniera analoga al metodo di Socrate.
Seguendo questo metodo vuole innanzitutto trasferire l’attenzione del giocatore sul problema esistenziale alla radice e costringerlo a trovare una risposta in maniera autonoma, sfruttando la sua storia come contesto e cornice. Perché, vi chiederete voi?
Perché questo è Yoko Taro, un videogiocatore estremamente curioso che crea esperienze che tendono a creare un dialogo interiore grazie al quale lui stesso spera di trovare una risposta, e vuole che ognuno trovi la propria risposta.
Yoko Taro non vuole creare storie bizzarre e malate, lui è non malato, lui semplicemente scrive storie sulla vita, sul mondo e sull’umanità.
E la vita, il mondo e l’umanità sono bizzarri e malati.
Ora lettore, la prima parte del nostro approfondimento su Yoko Taro è conclusa… e hai due scelte, che portano a finali diversi (ma come nelle opere di Taro non ti preoccupare, potrai vederli tutti).
Se vuoi continuare la nostra avventura con noi, cliccando qui trovi la seconda parte, quella del “Automata e dopo Automata”;
In alternativa, puoi ripassare quello che è stato già detto e/o sentire la storia di Yoko Taro in modo più “colorato” dai ragazzi di Gameromancer dal player qui sotto.
Come ho giocato un videogioco giapponese da 80 ore in lingua originale senza saper leggere…
Shonen e shojo; seinen e josei; kodomo e young. Chi è appassionato di anime e…
Dopo una remastered di cui non sentiva il bisogno e un secondo capitolo che meritava…
Qualsiasi sia il vostro genere preferito, c'è sempre un momento in cui tutti, dal primo…
Dragon Quest è tornato! La serie che negli anni 80 ha letteralmente dato inizio al…
Che Clint Eastwood sia uno dei cineasti più importanti della sua generazione è assodato. Che…
Questo sito utilizza i cookies.
Scopri di più