Approfondimenti

Dragon Age: tra le origini e il futuro della saga

Dragon Age a Gamescom 2020: si ritorna nel Thedas

I fan dei giochi di ruolo alla occidentale possono finalmente tirare un respiro di sollievo: Dragon Age sta tornando.
Il nuovo capitolo, battezzato in maniera provvisoria come Dragon Age 4, si presenta come il sequel spirituale di Dragon Age: Inquisition (nonché della sua espansione “L’Intruso”) e ci trasporta nuovamente nel mondo del Thedas per affrontare nuove e imponenti sfide al limite del sovrannaturale.

Il teaser trailer mostrato nel corso della Opening Night Live di Gamescom 2020 ci ha mostrato un prodotto decisamente prematuro e in fase di sviluppo, il che lascia poco spazio all’immaginazione e non ci permette di formulare solide aspettative nei confronti di un RPG vasto e articolato come quelli a cui mamma BioWare ci ha da tempo abituati.

La software house (che ricordiamo aver partorito, tra gli altri, la saga di Mass Effect, Baldur’s Gate e Neverwinter Nights) torna ancora una volta sul palcoscenico per dare man forte al panorama videoludico con una delle sue ultime fatiche, promettendo un nuovo capitolo levigato sotto tutti i punti di vista, dalle meccaniche alla componente narrativa.

Sono tuttavia note le controversie nate attorno alle promesse di BioWare: cocenti delusioni come Anthem o il criticato Mass Effect: Andromeda sono tutt’oggi motivo di diffidenza nei confronti della casa canadese.

Solo il tempo potrà dirci se Dragon Age 4 riuscirà o meno a riabilitare lo status di questo colosso del mondo dei giochi di ruolo.
Nell’attesa, analizziamo insieme i punti di forza che hanno contribuito a rendere questa saga un mostro sacro del genere, tra i suoi alti e bassi.

Le Origini di Dragon Age: il fascino del Dark Fantasy

Corre l’anno 2004: è durante l’edizione di quest’anno dell’E3 che BioWare annuncia lo sviluppo di un nuovo gioco che porta il titolo di Dragon Age per le piattaforme PC, PS3 e Xbox 360. Ambientato nello sconfinato continente del Thedas (a proposito, sapevate che il suo nome sta per The Dragon Age Setting?), il primo capitolo della serie, rilasciato sotto il nome di “Dragon Age: Origins” ci catapulta in un fantasy diverso da quelli che di solito dominano la nostra immaginazione.

Dopo essersi arruolato tra i leggendari Custodi Grigi, il nostro protagonista (del quale avremo opportunamente selezionato non solo sesso e razza, ma anche classe sociale e contesto culturale) si ritroverà ad affrontare un’antica minaccia: l’avvento della razza dei Prole Oscura e il catastrofico evento noto come “Il Flagello”.

Una trama che esalta quanto basta gli elementi tipici di un GDR che si rispetti, ma non solo.

Fanno parte dell’universo narrativo di Dragon Age non solo villaggi, maghi, scheletri e antiche presenze demoniache, ma anche giochi di potere, segregazione razziale e influenza dell’opinione pubblica: a BioWare va il merito di aver trasposto in ottica videoludica molti degli instabili equilibri politici e sociali presenti – ahimè – anche nel mondo in cui viviamo, dando vita a personaggi, cittadine e situazioni tanto eloquenti quanto indimenticabili. Epico, quotidiano e sociale si fondono in un prodotto ragionato ma godibile abbastanza da imprimere diversi momenti nella mente del giocatore.


“I conflitti di interessi tra maghi e templari si riducono spesso a contrasti di natura religiosa o addirittura razziale.”

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Ed è forse così inaspettato che uno dei personaggi del party riesca a ricordare e menzionare, in una delle sue migliaia di linee di dialoghi, una conversazione avvenuta decine di ore di gioco fa? Concedetevi una bevuta con i vostri compagni di avventura, incantatevi al sentirli stuzzicarsi e provocarsi tra di loro in modi diversi a seconda del loro grado di amicizia o rivalità.
BioWare, si sa, è ormai abituata a certe trovate. Nonostante sempre più videogiochi, al giorno d’oggi, propongano una trama aperta o dai molteplici finali (si pensi alle fazioni presenti in molti giochi di casa Bethesda), la capacità di casa BioWare di creare interi universi narrativi e ramificare intorno ad essi molteplici storylines parallele è un elemento da non sottovalutare. Il che vale soprattutto in un mercato che punta sempre di più sul suo potere artistico.

Tra gli alti e bassi delle successive iterazioni della serie, ovvero Dragon Age II e Dragon Age Inquisition, quali sorprese potrà riservare il quarto capitolo della serie? Quali sono le necessità principali del nuovo Dragon Age? Di sicuro una trama coinvolgente, un universo coeso che possa convincere, ma anche e soprattutto delle nuove meccaniche che possano apportare dei cambiamenti ad un sistema di gioco che rischia altrimenti di diventare “di nicchia”.

BioWare, cosa ci riserva il futuro?

Nel teaser trailer confezionato in occasione di Gamescom 2020, gli sviluppatori hanno espresso a più riprese il loro amore nei confronti del nuovo capitolo della saga. Nonostante sia ancora presto per formulare qualsiasi ipotesi sulla direzione intrapresa dal titolo, le parole degli stessi sviluppatori ci portano ad immaginare una rinnovata attenzione nei confronti dell’universo di gioco e dell’elemento narrativo, punti di forza di BioWare. Che ne sarà però delle meccaniche di gioco?

Con alle spalle una lieve svolta action che i fan della serie hanno potuto sperimentare nel più recente capitolo, Dragon Age: Inquisition, BioWare sembra voler conservare una linea di gameplay che possa risultare familiare ai neofiti della serie. In particolare, la confermata presenza di un tasto per la schivata ed una visuale in terza persona ci portano a sperare di meno nella presenza di elementi tattici tipici dei capitoli precedenti e, soprattutto, del capostipite Dragon Age: Origins.

BioWare potrebbe quindi abbandonare gli affezionati?

Non necessariamente. Tipica della serie di Dragon Age è la presenza di svariati livelli di difficoltà, alcuni inaccessibili a giocatori senza la dovuta esperienza e/o voglia di passare più tempo del previsto in una singola mappa o sezione. Preparazione, conoscenza di bonus e stati alterati, ma anche un’ottima visione d’insieme sono elementi che si rendono necessari ad una difficoltà più avanzata che si presenta, nel bene o nel male, come uno dei metodi più plausibili per ampliare le prospettive del futuro titolo.

Resta da determinare attraverso quali elementi e, soprattutto, con quanta ripetitività il prodotto finale ci permetterà di beneficiare di un titolo dal quale, data la sua natura di GDR, ci si aspetta una certa longevità.

Open world: sì o no? La visione di BioWare

Da un punto di vista leggermente meno tecnico e più contenutistico, Dragon Age 4 potrebbe fare dietro-front e rinunciare ad avvicinarsi ulteriormente ad una formula improntata verso l’open world come quella vista in precedenza. Le immense mappe contenute in Dragon Age: Inquisition, suddivise in vari biomi, hanno suscitato le stesse critiche mosse ad altri giochi del genere: troppo vaste, dotate di pochi contenuti e punti di interesse che spesso si riducono soltanto ad ospitare dei collezionabili.

Dopo i mondi tanto aperti quanto vuoti di Inquisition, BioWare potrebbe voler restringere il campo d’azione delle nostre avventure.
Nel 2018, Mark Darrah ha precisato sul suo account Twitter di aver radunato un team di veterani provenienti dallo sviluppo di Origins, ma anche di Baldur’s Gate. Se, da una parte, ciò ci assicura una cura maggiore per la qualità del prodotto, dall’altra potrebbe portare proprio ad un ritorno alle suddette Origini, per la gioia di fan vecchi e nuovi.

Quando uscirà Dragon Age 4?

Non sono ancora state avanzate ipotesi su una data di uscita. Il gioco è ancora in una fase di sviluppo molto prematura e lo stesso director Casey Hudson ne ha evidenziato ad Agosto 2020 lo stato di “early production“. Non resta quindi che aspettare informazioni aggiuntive, ma rallegra il fatto che BioWare riesca finalmente a pronunciare orgogliosamente il nome della serie di Dragon Age in pubblico.

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Giorgio Capasso

Avvicinatosi al mondo videoludico tramite una PlayStation senza Memory Card, impara ben presto - e per forza - a giocare un titolo con il semplice scopo di goderselo. All'età di 21 anni e molte piattaforme dopo, ha ormai sviluppato una netta preferenza per i titoli in giocatore singolo, i mondi di gioco ben congegnati e i gameplay più creativi, senza disdegnare qualche titolo votato al multiplayer. Il tutto, ovviamente, sempre con l'entusiasmo di un bambino. Tra i titoli che più hanno saputo tenerlo incollato allo schermo (ad oggi): Dragon Age - Origins, Fallout 4, Tekken 7 e Terraria.

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Giorgio Capasso
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