Nonostante quello dei walking simulator sia sicuramente un genere vivo e pieno di ottimi titoli, esso si trova ancora nel processo di espansione, in quanto per sua natura viola una buona parte delle regole videoludiche che vengono poste al giorno d’oggi, nella maggior parte dei casi andando a sacrificare del tutto la componente puramente giocosa del titolo, limitando fortemente ogni potenziale meccanica di gameplay.
D’altro canto però, tutto ciò serve a dare una marcia in più a tutto ciò che riguarda l’aspetto narrativo e artistico del gioco, per offrire al giocatore un’esperienza d’immersione il più profonda possibile, in molti casi riuscendoci: negli ultimi anni abbiamo visto titoli del calibro di The vanishing of Ethan Carter e Firewatch, che sono riusciti a modo loro ad essere unici e speciali per gli stessi motivi sopracitati; scopriamo allora come se l’è cavata l’ultimo grande esponente di questo genere, What remains of Edith Finch, uscito nel 2017, sviluppato da Giant Sparrow e pubblicato da Annapurna Interactive, già autori del pittoresco The Unfinished Swan.
Il gioco ci mette sin da subito nei panni di Edith Finch, una normale ragazza al quale viene affidata una misteriosa chiave dalla madre: tornando quindi alla loro vecchia casa, ormai abbandonata, Edith dovrà esplorarla in lungo e in largo per rivelare e far luce su alcuni segreti riguardanti la sua famiglia e la casa stessa, che nei decenni le sono sempre stati nascosti.
Una volta aver fatto l’ingresso nella suddetta casa, dovremmo letteralmente “visitare” la secolare abitazione dei Finch esattamente come fosse un museo, e per proseguire la nostra avventura dovremo utilizzare la chiave di nostra madre per svelare quello che sarà il passaggio per una serie di corridoi, cunicoli, passaggi e stanze normalmente inaccessibili collegate sequenzialmente; ogni “camera” rappresenterà l’angolo di vita dei vari componenti della famiglia, all’interno dei quali vi saranno lettere, testamenti e documenti vari che dovremo “leggere” per vivere in prima persona alcune sequenze della loro vita tramite flashback e visioni di ogni tipo: le varie storie dei familiari di Edith saranno tutte auto-conclusive ma con un filo conduttore che le unisce, e sarà nostro dovere cercare di collegare i puntini per capire dove il tutto vorrà andare a parare: pian piano verranno fuori i caratteri dei vari personaggi, i loro rapporti ed i gradi di parentela (questi ultimi sono un elemento sul quale potremo ragionare grazie ad un pratico albero genealogico che si trova nel menù di pausa).
Mettiamo un attimo da parte queste storie e la forma narrativa del gioco e soffermiamoci sul comparto tecnico: la grafica riesce ad essere al contempo sia realistica che cartoonesca, riuscendo a dare un impatto visivo magistrale, anche grazie al comparto puramente artistico che rende ogni singolo metro quadrato della casa una meraviglia da vedere, con soluzioni di luce, colorazioni e effetti di occlusione ambientale degne di un’opera d’arte.
Ma, se dicessimo che l’unica cosa tecnicamente e artisticamente ben realizzata è l’impatto generale visivo, mentiremmo, visto che la casa è quanto di più curato ci sia mai capitato di vedere: tali ambientazioni hanno inoltre una quantità talmente folle di dettagli che ci si potrebbe mettere ore a guardare ogni singolo oggetto, quadro, libro, o un qualsiasi altro elemento dello scenario che potrebbe rivelare dettagli sulla famiglia o sullo specifico personaggio (credeteci se vi diciamo che nessuno di questi oggetti è messo a caso o “tanto per”).
Inoltre, le stanze dei vari personaggi sono talmente variegate che sono quasi definibili come piccoli micro-cosmi che rappresentano per filo e per segno l’essenza dei personaggi, andando a sottolineare quanto fossero persone differenti per stile di vita, periodo storico e tante altre cose, nonostante siano vissuti tutti sotto lo stesso tetto.
Persino gli ambienti “di mezzo”, come scale, corridoi e passerelle (quindi anche ad esempio il salotto o il terrazzo) riescono ad essere particolareggiati e diversificati, anche perché visiteremo veramente ogni angolo della casa; oltre i vari interni dell’abitazione, esploreremo anche i seminterrati, il soffitto, il giardino e i suoi dintorni fino ad arrivare addirittura sopra il tetto della casa.
Anche il comparto audio fa un lavoro pressoché perfetto: le musiche sono sontuose ma leggere, il doppiaggio è formidabile, e gli effetti sonori della casa riescono comunque a renderla “viva”, nonostante risulti abbandonata.
Se già il “mondo di gioco” offre un’esperienza estetica d’impatto, tenetevi forte e fate un lungo respiro, perché vi stiamo per parlare delle storie stesse della famiglia, in quanto sono proprio loro le protagoniste del videogioco, non tanto i personaggi, quanto ciò che hanno vissuto e quel che la casa ha visto.
Come detto, ogni personaggio avrà un suo piccolo spazio all’interno della casa e le storie che ci verranno raccontate dai relativi documenti che vi troveremo dentro ci faranno letteralmente impersonare tali identità in determinati momenti della loro vita che, per evitare spoiler, eviteremo di specificare di quali si trattano.
Le storie tra di loro rappresentano qualcosa di estremamente unico e diversificato, dove ognuna dipende in modo totale da una serie di elementi personalissimi, dal carattere del personaggio al periodo storico, dalla maturità al suo modo di intendere la vita, e tante, tantissime altre cose.
Giungiamo dunque a quello che è punto più alto dell’intera produzione: l’ispirazione, ma andiamo con calma. Le storie non sono differenti solo per contesti e tematiche, ma anche sotto punti di vista ben più videoludici: nonostante non esista una reale difficoltà, le storie sono poste al giocatore sotto forma di “minigiochi” narrativi, dove cambiano elementi quali la prospettiva di gioco e i punti di vista (non si limita mai al banale “farti impersonare il suddetto personaggio in prima persona”; vorremmo parlarvi meglio a riguardo, ma sarebbe un terribile errore rovinarsi tali sorprese), meccaniche di movimento e di controllo, l’interfaccia, le colonne sonore, l’impostazione dei sottotitoli della voce narrante che si adatta e si modifica in base alla storia e alla sua dinamicità; in alcuni casi gli sviluppatori hanno fatto un lavoro talmente preciso ed ispirato da aver addirittura modificato lo stile estetico della grafica per far si che le storie abbiano tutte il giusto livello d’intensità e una certa unicità nella narrazione (alcune storie ci faranno paura, altre ci incuteranno inquietudine, altre ancora pace e tranquillità, ecc…).
Per farla breve, è come se ogni singola storia avesse un suo game design, sempre funzionale, perfettamente equilibrato e in diversi casi che ha un che di davvero geniale.
Tutte queste scelte di sviluppo sono state prese con l’intento di rendere gli eventi delle varie storie quanto più metaforici possibile: non avremo (quasi) mai ben specificato cosa sia successo ai vari personaggi, e toccherà a noi trovare la giusta chiave di lettura per comprendere l’evento, che, per quanto può essere interpretato, ha comunque un unico significato.
Nelle righe precedenti abbiamo parlato di quanto tali storie fossero uniche tra di loro ma anche ben disposte, organizzate e curate a livello di concept, ma la cosa sbalorditiva è il modo in cui tutto ciò riesca a risultare perfettamente coerente.
Considerando il concetto di metafora, tramite tutte queste folli e geniali idee gli sviluppatori hanno trovato il modo di raccontarci tali racconti grazie ad un livello di ispirazione artistica e narrativa che non ha eguali: quello che fa What remains of Edith Finch con i suoi concetti e tematiche tramite l’interazione con il giocatore raggiunge vette di espressionismo a cui un film od un libro non sarebbero mai in grado nemmeno di avvicinarsi.
Idee, situazioni, insegnamenti, interpretazioni, condizioni ma anche eventi pratici e contatti fisici interagiscono con il giocatore tramite le geniali formule di gioco in modo talmente elegante e raffinato che ciò che lascia questo gioco una volta giunti ai titoli di coda è più un’esperienza di vita che un’esperienza videoludica, che ci farà riflettere a lungo su concetti quali l’esistenza, l’accettazione, la relatività e la superstizione; anche grazie al toccante e sentimentale finale che unisce tutti i puntini e dove converge questo vorticoso insieme di concetti, ponendo al giocatore la domanda più difficile e filosofica in assoluto (“Cosa rimane di Edith Finch?”), andando a risultare come la ciliegia più gustosa sulla più buona delle torte.
In questo tripudio di elogi, l’unica piccola nota negativa riguarda proprio la mancanza di ogni forma di difficoltà, che avrebbe potuto intrigare il giocatore e rendergli l’avventura un po’ più longeva.
In definitiva, What remains of Edith Finch è un capolavoro assolutamente imperdibile anche per chi non solo odia il genere, ma anche per chi odia proprio i videogiochi.
Oltre alla bellezza estetica puramente visiva e sonora, il gioco unisce una serie di elementi perfettamente riusciti andando a trascendere e superare pressoché qualsiasi altra forma di narrazione ed espressione grazie ad un livello d’ispirazione che solo delle brillanti menti possono avere, anche senza budget milionari, enormi case produttrici o imponenti campagne di marketing, ed andando a confermare una volta per tutte il fatto che questo medium può possedere la potenza comunicativa e umana di una bomba nucleare.
What Remains of Edith Finch è disponibile su Steam, Epic Games Store, PlayStation Store ed Xbox Store
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