La seconda stagione di Star Wars: Visions, antologia di corti d’animazione targata Disney e Lucasarts, continua la sperimentazione della celeberrima saga fantascientifica nel distaccarsi dal suo canone decennale per raccontare invece storie a sé stanti. Il tutto dando sempre spazio a studi d’animazione famosi e non.
Questa seconda stagione pare migliorare ciò che aveva iniziato la prima, presentando episodi sempre più belli, in cui anche quelli più deboli nascondono delle idee e degli spunti che ormai mancano alla contemporanea Star Wars. Ma ora, quali sono questi episodi “deboli” e quali invece si annoverano il titolo di portatori di “una nuova speranza” per questo franchise, assieme forse ad Andor? Scopriamolo insieme.
Il perfetto esempio di avere tanta forma ma poca sostanza. Partendo prima dai pregi, sul lato tecnico l’animazione della D’Art Shtajio in collaborazione con la Lucasfilm è senza dubbio più che discreta, con colori accesi e una resa ancor più marcata dalla povertà (in senso buono) dei dialoghi. Sul lato narrativo invece presenta una buona morale sull’oppressione, sullo strapotere delle industrie e addirittura sullo schiavismo.
Tuttavia neanche l’animazione e le buone intenzioni possono distrarre da una sceneggiatura a tratti superficiale (davvero non hanno lasciato nessuna guardia a sorvegliare gli schiavi o anche all’entrata della città?) e con un messaggio finale tanto banale quanto tirato.
Non un episodio totalmente da buttare, certo, ma sicuramente uno dei meno riusciti.
Dalla 88 Pictures, casa di animazione di Trollhunters, ci viene regalato un episodio con una grafica che ci riporta alla mente i bei ricordi di Clone Wars e una recente reminiscenza di Bad Batch (piacevole o meno sta al pubblico dirlo). Altrettanto interessante e originale è l’ambientazione “indiana“ e l’entrata in scena del villain principale, forse la migliore di questa stagione.
Peccato per il pacing altalenante e i personaggi poco approfonditi. Dai dialoghi si capisce inoltre che dietro di loro c’è una lunga storia che gli autori avrebbero voluto raccontare, ma che non hanno potuto approfondire per il poco minutaggio.
Non poteva mancare un episodio dalla forte tematica ambientalista, che può ricordare sotto certi aspetti La Dama Dipinta de La Leggenda di Aang. La sua principale, anzi unica, pecca è ciò che ne La Cava è stato considerato un pregio: sarebbe potuto salire di almeno tre posizioni se fosse stato muto. Pensiamo alla scena in cui le sorelle ricordano la madre tramite le pitture rupestri: c’era davvero bisogno dei dialoghi per spiegare ciò che era successo? Non sarebbe stato più d’impatto vedere ciò che era successo alternato con le reazioni delle sorelle?
Nonostante il sacrificio dello “show, don’t tell” rimane un episodio discreto, con una stop-motion fluida, tensione crescente e un messaggio che ancora oggi vale la pena di essere trasmesso.
Lo studio La Cachette, che ci ha portato due episodi (seppur non tra i migliori) di Love, Death & Robots e l’interezza di Primal, ci offre una storia thriller-spionistica che potrebbe nascondere più di quanto voglia lasciar intendere. L’animazione è fluida e dinamica, cosa resa eccellentemente già nella scena di ballo e allo stesso modo nel duello finale.
A parte la vera identità dell’ufficiale, che si poteva intuire dal primo flashback, è un episodio del quale non ci dispiacerebbe vedere un sequel, magari nella prossima stagione
Studio Mir (Avatar; Big Fish & Begonia) offre, oltre all’unico episodio in lingua non inglese della stagione (il titolo stesso in originale è in coreano), con molta probabilità l’episodio in 2D meglio animato della serie. L’animazione è a dir poco cinematografica, la filosofia della dicotomia tra il Lato Chiaro e Oscuro è radicalmente ridimensionata e la colonna sonora è tanto epica quanto la vicenda che vuole accompagnare.
Unico difetto, e spiace dirlo è la trama, decisamente più adatta ad un lungometraggio piuttosto che ad un corto di neanche mezz’ora. Si sarebbe voluto sapere di più su come funzionano le pietre, sul Sith antagonista o sul Padawan sopravvissuto.
Su questo non c’è molto da dire: è un episodio semplice, ma fatto con il cuore. Una mera corsa utilizzata come pretesto per mostrare le dinamiche genitore-figlia, il tutto ritoccato da minuscole citazioni alla vecchia cinematografia di Star Wars. La gara infatti è stata istituita da un’accademia fondata da Wedge Antilles, il che rende questo l’unico episodio quasi-canonico della serie.
Per quanto il doppiaggio italiano della serie sia ben gestito, questo episodio è da vedere obbligatoriamente in lingua originale, per gustarsi l’accento britannico dei personaggi portati in vita dall’altrettanto britannica Aardman (Wallace & Gromit)
Oltre alla migliore animazione in stop-motion di questa stagione, oltre alla protagonista più adorabile della serie finora, oltre al comparto audio ben curato e al pacing lento nel senso buono della parola, questo episodio è da elogiare perché osa dove ormai Star Wars ha paura di addentrarsi: rielaborare la sua lore fuori dalla comfort zone a cui è abituata.
Perché la Forza non può essere espressa anche tramite la canzone? Davvero è troppo inverosimile, dopo tutto ciò che ci è stato mostrato nei film e nelle serie?
A volte abbiamo bisogno di distaccarci da ciò che credevamo essere solo possibile in precedenza e aprirci al futuro, come dice anche Yoda in una delle poche scene ben rese de Gli Ultimi Jedi.
La Cartoon Saloon (La Canzone del Mare, Wolfwalkers) sta lentamente diventando una specie di Studio Gibli irlandese. Una casa d’animazione dallo stile inconfondibile e, almeno riguardo ai suoi film, un amore sconfinato per la sua terra natia.
In questo episodio possiamo notare sin dalla prima inquadratura un’attenzione degli sfondi quasi maniacale. Successivamente invece, andando avanti con la storia, l’episodio si tinge di toni che vanno dal giovanile all’horror senza per forza apparire incoerenti, con un’animazione e dei design adorabili. Ma soprattutto un colpo di scena che fa molto riflettere sul ruolo del Lato Chiaro e Lato Oscuro in una persona e in maniera assai più impellente rispetto all’episodio in quinta posizione.
Proprio come nella prima stagione, il primo episodio resta il migliore. Che sia anche il più riuscito della serie finora è da discutere: un omaggio a Kurosawa è assai difficile da battere.
Tuttavia una rivisitazione della filosofia del Jedi Grigio, più incentrato in Star Wars in sé e per sé, è in grado almeno di raggiungerne l’importanza.
L’animazione mista non è messa assolutamente a caso: riesce ad essere perfettamente adatta al mood in questione e al messaggio di fondo di riconoscere due parti in un unico insieme, per quanto differenti tra loro. Stesso discorso vale per l’importante e scaltro utilizzo dei colori sullo sfondo. Il character design è infine è molto accattivante, soprattutto parlando del Sith protagonista di questa storia.
Il dramma procede in un crescendo sempre più palpitante fino a giungere alla drammatica catarsi della protagonista nello riscoprire sé stessa. Se “Sith” non viene almeno candidato agli Emmy, qualcuno in redazione passerà al Lato Oscuro.
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