Gachiakuta, manga shonen di Kei Urana pubblicato in Giappone da Kōdansha e in Italia da Edizioni Star Comics, è approdato nel bel paese accompagnato da una massiccia campagna pubblicitaria, similmente a quanto accaduto con Kaiju No. 8 di Naoya Matsumoto.
A dimostrazione dell’impegno profuso nel marketing, il primo numero ha goduto di un’edizione variant molto particolare: la Limited Edition Exclusive Trash Box, un box da collezione a forma di bidone dell’immondizia che contiene, oltre a una versione alternativa del volume dotata di sovraccoperta con effetto speciale, anche un portachiavi e delle lamincard.
Sorge quindi spontanea una domanda: la qualità effettiva del prodotto sarà valsa gli sforzi?
Rudo, protagonista della storia, è un ragazzino povero che vive in una baraccopoli posta ai margini di una città estremamente sviluppata i cui abitanti guardano quelli come lui con disgusto e ribrezzo.
Come se non bastasse, anche gli altri poveri della città lo discriminano per il suo brutto carattere e in quanto orfano di due assassini condannati a essere gettati nel Baratro, un vero e proprio strapiombo su cui affaccia la baraccopoli.
Le sue uniche gioie nella vita sono l’affetto di Legto, persona di buon cuore che lo ha preso con sé dopo la morte dei genitori, e i rifiuti altrui, che Rudo ruba dalle discariche dei ricchi per aggiustarli e rivenderli in cambio di qualche spicciolo. Il ragazzo condivide infatti un profondo legame con gli oggetti che vengono gettati via, specie quando ciò accade per motivi futili.
Un giorno, il nostro viene incastrato da una figura misteriosa per un crimine che non ha commesso e condannato alla stessa pena dei genitori senza neanche un giusto processo.
Riesce però a sopravvivere alla caduta nel Baratro, scoprendo che sul fondo c’è una vera e propria civiltà parallela in cui coesistono straccioni e bestie soprannaturali nate dal rancore degli oggetti buttati via come spazzatura, chiamate belve immonde.
Si unirà quindi ai Ripulitori, un gruppo nato allo scopo di distruggere le belve immonde e portare la pace in quel mondo dimenticato dagli abitanti del cosiddetto Paradiso, al quale avrà tutta l’intenzione di tornare per vendicarsi dei torti subiti. Scoprirà inoltre di essere un Giver, ossia un essere umano capace di utilizzare gli oggetti come armi dotate di superpoteri.
Sin dalla premesse Gachiakuta mostra di avere le idee chiare sul messaggio che vuole trasmettere, ossia una generosa dose di disprezzo nei confronti del consumismo.
Le primissime pagine mostrano persone benestanti che, in virtù delle loro possibilità di spesa, danno per scontati non solo gli oggetti in loro possesso, ma persino le vite di chi non gode degli stessi privilegi.
L’equiparazione tra oggetti e persone è sicuramente una delle componenti narrative più interessanti del manga di Kei Urana, secondo il quale chi tratta male un oggetto inerme e indifeso non dotato di anima tratterà allo stesso modo le persone inermi e indifese che lo circondano.
Un sistema che non si cura nemmeno degli oggetti inanimati tenderà quindi, per forza di cose, a trascurare gli ultimi.
Un sottotesto così chiaramente anti-sistema, che per altro tocca un tema drammaticamente reale della società giapponese, è piuttosto raro all’interno del panorama degli shonen manga, in cui spesso gli editori si autocensurano per non inimicarsi l’opinione pubblica o lo stesso governo.
Di solito il perno attorno cui ruotano le motivazioni del protagonista di questa tipologia di prodotti è l’incapacità dell’individuo di conformarsi allo standard. Persino opere di rottura, come il popolare Chainsaw Man di Tatsuki Fujimoto, ritraggono protagonisti del tutto inadeguati che, per quanto disillusi, non imputano mai al contesto sociale in cui vivono la colpa delle loro vite miserabili.
A differenza di personaggi come Denji, Rudo vorrebbe essere utile, vorrebbe trovare il suo posto nel mondo e avrebbe anche le capacità per farlo, ma ciò gli viene negato a causa delle sue origini e della sua estrazione sociale.
Eppure, da una decina di anni a questa parte, si stanno facendo largo sempre più manga per ragazzi che, come Gachiakuta, puntano coraggiosamente il dito non contro uno specchio, ma contro una finestra aperta. Segno di un’evoluzione che è possibile far risalire addirittura all’Attacco dei giganti di Hajime Isayama, forse il capostipite di un nuovo modo – se vogliamo, più autoriale – di intendere gli shonen manga.
Anche dal punto di vista visivo ci troviamo di fronte a un fumetto che, sebbene risenta degli influssi dei suoi contemporanei, su tutti My Hero Academia di Kōhei Horikoshi, attinge a piene mani ad alcuni manga fantascientifici degli anni ’90 che già all’epoca erano a dir porco anticonformisti.
L’inchiostrazione sporca, i prompt ricchi di dettagli che contrastano con le forme e le espressioni caricaturali dei personaggi e i design stravaganti, vagamente atom punk, risentono delle influenze di artisti come Shinichi Hiromoto (Hells Angels), Yoshihisa Tagami (Grey) e Yukito Kishiro, autore di Alita, da cui Urana ha preso ben più di qualche spunto per il suo worldbuilding, tra cui l’idea di una città nel cielo che divide fisicamente e metaforicamente i poveri dai ricchi.
Il tratto di Urana non è certamente originale se si tiene conto della totalità del panorama fumettistico giapponese, ma riesce comunque a distinguersi per audacia e una certa ricerca della spettacolarizzazione, per quanto quest’ultima componente risulti essere, paradossalmente, uno dei principali punti deboli del suo lavoro.
Gachiakuta è un manga che soffre di un problema piuttosto grave per un prodotto dalle pretese così alte: l’eccessiva volontà di rientrare a tutti i costi nel genere del battle shonen.
Kei Urana crea un sistema di combattimento piuttosto tipico ma allo stesso tempo curioso basato sull’anima degli oggetti, che oltre a richiamare la filosofia dei samurai, secondo i quali la katana possedeva un’anima e una volontà proprie, riesce a conformarsi al messaggio della storia senza risultare fuori luogo.
Tuttavia a tale sistema si affiancano una serie di cliché che forzano la storia verso combattimenti e colpi di scena tanto prevedibili da risultare sfiancanti. Questo perché il mangaka, nella sua ricerca ossessiva dell’inquadratura e della frase a effetto, finisce per forzare testi e disegni verso soluzioni narrativamente poco funzionali.
Basti pensare che la prima volta che il protagonista viene inquadrato “di faccia”, è quasi di spalle, con il volto girato per metà fuori campo e l’inquadratura dall’alto inclinata. Invece di una presentazione di impatto, il lettore si ritrova sottomano, un momento di transizione, più idoneo a un personaggio secondario, segno della poca dimestichezza dell’autore con il concetto di regia, drammaticamente visibile nella poca chiarezza degli scontri.
È dunque la prevedibilità il difetto che relega Gachiakuta nella mediocrità dei manga mainstream, impedendogli di spiccare qualitativamente in un mercato tanto saturo quanto convenzionale.
Ciò non toglie che un lettore alla ricerca di un pretesto quantomeno originale per seguire una storia di questo tipo possa trovarlo assolutamente gradevole, se non persino preferibile ad altri ben più incensati.
Dopotutto, un protagonista che se la prende con le “persone normali”, invece che mostri o reietti brutti, sporchi e cattivi, non lo si vede tutti i giorni. Si spera solo che autore e editore non sacrifichino anche il valore di questa premessa in nome delle solite mazzate.
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