La storia dei Manga Pt. 2 – La nascita del manga moderno

Dopo la prima parte in cui abbiamo approfondito le origini dei manga, arriviamo alla svolta imperialista che avrebbe condotto il Giappone alla seconda guerra mondiale, segnandone per sempre la memoria collettiva e, di conseguenza, anche cultura pop.

L’imperialismo e la Seconda Guerra Mondiale (1927-1945)

Il nuovo governo militarista, con la promulgazione di una legge assai repressiva nel 1925, mise fine al periodo liberale e diede inizio all’imperialismo giapponese in Cina, che culminerà con la disfatta della seconda guerra mondiale.
Tutti gli artisti e gli intellettuali che si opponevano al regime venivano immediatamente soppressi o torturati, costringendo gli editori ad adattare le loro pubblicazioni alle velleità guerresche dei loro governanti.
I manga e i primi prototipi di anime assunsero così una tendenza sfacciatamente patriottica e propagandistica che diede inizio a una guerra mediatica con i comics e i corti animati americani, contro i quali persero rovinosamente a causa delle produzioni al risparmio fatte solo per assecondare il regime, ma in cui nessuno credeva davvero.
In questo marasma di produzioni ridicole, fece il suo esordio il Kagaku senshi di Suiho Tagawa, il primo esempio di robot gigante fumettistico, che si esibisce in una pacata distruzione di New York.
Alla fine, la grave crisi economica causata dalla guerra costrinse al fallimento molti editori, ritrovatisi a corto di carta per stampare.

Il dopoguerra e la nascita del manga moderno (1945-1959)

Il Giappone uscì dalla guerra devastato e occupato dagli Stati Uniti, ossia dalla stessa potenza straniera che quasi cento anni prima lo costrinse ad aprirsi al mondo.
I giovani giapponesi svilupparono una repulsione totale per ciò che l’ideologia militarista aveva causato, complice anche la tendenza degli occupanti statunitensi a cancellare dai loro libri di testo qualsivoglia riferimento culturale che non corrispondesse ai propri valori.
Il clima di ripudio favorì la nascita di due grandi generi: la narrazione apocalittica sul fallimento delle vecchie generazioni; e i racconti dell’invasione da parte di potenze straniere (alieni inclusi).
Entrambi spingono i nuovi autori tra le braccia della modernità e della fantascienza, emancipandoli dai fallimentari valori tradizionali.

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Non a caso è in questo periodo che fa la sua comparsa il più grande innovatore della storia del manga, il già citato Osamu Tezuka, che in futuro sarebbe stato riconosciuto come Dio dei manga.


Con La nuova isola del tesoro (1947), da lui disegnato su testi di Sakai Shichima, Tezuka sancisce l’avvento del kidai manga (lett. manga moderno).
Forte dell’imposizione ideologica americana, che sostituì il narcisistico nazionalismo giapponese con una visione democratica basata sulla tolleranza e il rispetto delle differenze, il futuro Dio dei manga diede vita, nel 1951, a Tetsuwan Atom, da noi conosciuto come Astroboy.
Atom era un bambino robot ripudiato da un padre snaturato e combatteva il male incarnato dal totalitarismo, dal razzismo e dalle discriminazioni in ogni tipo, rappresentando in tutto e per tutto lo spirito di un Giappone che aveva deciso di distaccarsi dal proprio vergognoso passato per proiettarsi verso il futuro, divenendo così un vero e proprio simbolo del paese del Sol Levante ancora oggi imitato e venerato.
L’amore per il progresso scientifico, generato dal desiderio di utilizzare le tecnologie che crearono la bomba atomica a fin di bene, diede vita anche a un altro celebre robot: nel 1956 nasce il robot gigante Tetsujin 28-go, considerato il capostipite del genere mecha (contrazione della parola inglese mechanical).
In pratica, fu il papà dei vari Mazinga, Gundam, Evangelion e chi più ne ha più ne metta nel robot.

Dal punto di vista editoriale, i manga dell’immediato dopoguerra erano un prodotto dedicato esclusivamente ai bambini. In quanto tali, venivano pubblicati come supplementi su riviste educative per convincere i genitori, quelli che materialmente spendevano i soldi, ad acquistarli, utilizzando come pretesto l’utilità pedagogica.
Era chiaro che il fumetto giapponese aveva ormai perso l’indipendenza culturale acquisita nell’epoca pre-bellica.

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Tuttavia, il boom delle nascite favorì l’espansione del mercato, e nuovi editori spuntarono come funghi per fare concorrenza al colosso Kōdansha.
La nuova ondata di lettori e l’influenza statunitense portò all’esplorazione di nuove forme di narrazione: arrivarono i cowboy, i tarzanidi, i topi antropomorfi stile Disney, i cani alla Lessie, e assunsero sempre più rilevanza le lettrici.
Per queste ultime Tezuka crea, nel 1953, La principessa Zaffiro, che riscuote un grande successo e diviene archetipo degli Shojo Manga, i fumetti per ragazze.

Inoltre, nonostante gli americani avessero proibito le arti marziali, accusate di fomentare lo spirito nazionalista giapponese, queste tornarono immediatamente dopo la partenza degli occupanti, nel 1952, grazie soprattutto a Eiichi Fukui, autore di Igaguri-kun (1952), con protagonista un giustiziere judoka, e Akadō Suzunosuke (1954), che segna il ritorno dei samurai. 

La condizione assai favorevole del mercato portò i manga a ottenere sempre più spazio sulle riviste, permettendo agli autori di sviluppare trame più complesse e abbandonare le storie autoconclusive, evolvendo la tecnica dello story manga inaugurata trent’anni prima da Ippei Okamoto.
La competizione divenne sempre più serrata, tanto da portare alla morte di Eiichi Fukui per il troppo lavoro nel 1954, a soli 33 anni.
Eppure il ritrovato vigore dei fumetti non accennò a fermarsi, anche e soprattutto grazie a quei bambini che, educati a leggere manga già dal ’45, nel 1956 divennero adolescenti e poterono permettersi l’acquisto di fumetti senza la supervisione dei genitori, aggiungendo un’ulteriore fascia di pubblico da ingraziarsi.

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Shōgakukan, principale editore di riviste educative, commissionò così a Osamu Tezuka alcune serie rivolte a un target di studenti delle medie, pubblicandole per la prima volta su una rivista settimanale.

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Debuttò così nel 1959 Shonen Sunday, seguito a ruota da Weekly Shonen Magazine di Kodansha, entrambi settimanali che vengono pubblicati ancora oggi.

Il lato oscuro del dopoguerra: La nascita del Gekiga

La voglia spasmodica di dimenticare gli orrori della guerra non favorì solo i manga, ma l’intero sistema dell’intrattenimento, riportando in auge i libri economici tanto popolari nel periodo Edo, ribattezzati akahon (libri rossi).

Tali libri venivano stampati da piccoli editori e librai che pagavano gli autori una miseria, come miserabile era anche la qualità della stampa.
Le pubblicazioni comprendevano i generi più disparati, ma anche i fumetti, ed essendo quelli mainstream pubblicati esclusivamente su rivista, gli akahon e i kashihon (libri a noleggio) furono per molto tempo l’unico modo per leggere i fumetti direttamente in volume (oggi li chiameremmo graphic novel).

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Altra differenza importante tra i fumetti in volume dell’epoca e quelli pubblicati su riviste era l’assenza di censure.
Non essendo rivolti a un pubblico di bambini, ma anzi ai lettori adulti, le storie degli akahon non erano tenute a impartire lezioni morali o avere un lieto fine, e il gran numero di pagine a disposizione degli autori permetteva loro di intessere trame complesse e a porre l’accento sui temi sociali dell’epoca, utilizzando stili duri e tetri.
Come prevedibile, i genitori finirono comunque per lamentarsi, recriminando, stavolta a ragione, che non c’era alcun modo per distinguere gli akahon dai fumetti per bambini.
Uno dei più illustri esponenti di quel tipo di fumetti, Yoshihiro Tatsumi (Una vita tra i margini), decise quindi di coniare nel 1957 il termine Gekiga (lett. immagini drammatiche), creando uno spartiacque tra la narrazione adulta – perseguita da artisti proletari come lui, Sanpei Shirato (Kagemaru Den), Tetsuya Chiba (Rocky Joe), Goseki Kojima (Lone Wolf and Cub), Takao Saito (Golgo 13) e Shigeru Mizuki (Verso una nobile morte) – e la frivolezza del borghese Tezuka.

Gli autori gekiga narravano storie di un Giappone in rovina e oppresso dai potenti, di persone al limite in una società profondamente in crisi, e per questo non erano ben visti dagli editori mainstream, che li isolarono e li costrinsero ad unirsi in un collettivo di mutuo soccorso, dando vita a una vera e propria guerra che portò alla fondazione del Gekiga Kōbō (Studio del Gekiga).
L’apparizione del gruppo sconvolse profondamente Osamu Tezuka, sentitosi personalmente toccato dalle critiche (che lui sapeva essere inoppugnabili) mosse da Tatsumi e co. al fumetto popolare, del quale lui era già il più illustre esponente.
Ciò lo rese nervoso, violento e infine depresso, almeno finché non decise di cambiare radicalmente approccio creativo abbracciando narrazioni più adulte.

Non solo Tezuka

La nuova ondata di autori degli anni ’50 non si limitò a Tezuka e al Gekiga, ma coinvolse molti altri autori che in futuro avrebbero rivoluzionato l’intero intrattenimento giapponese per come lo conosciamo oggi.
Alcuni di questi vissero per un certo periodo a stretto contatto con il Dio dei manga, quando questi andò ad abitare, tra il 1952 e il 1953, in un edificio malandato del quartiere di Toshima, a Tokyo.
Pur non essendo contestatori come i loro colleghi del Gekiga, anche questi autori cercarono di sfondare nell’industria delle librerie a noleggio, salvo poi approdare nel fumetto che conta proprio grazie al loro illustre amico.
Questa cerchia di autori incluse Shotaro Ishinomori, autore di Cyborg 009 e futuro re del manga, il duo Fujiko Fujio (Hiroshi Fujimoto e Moto Abiko), creatori di Doraemon, e Leiji Matsumoto, papà di Capitan Harlock.
Tutti nomi che, in futuro, avrebbero lasciato il segno e favorito la fusione tra i temi adulti del Gekiga e l’intrattenimento dei manga per ragazzi, con risultati strabilianti per freschezza del linguaggio e innovazione tecnica.

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Vittorio Pezzella

Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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Vittorio Pezzella
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