Roguelike: cosa sono e perché hanno tanto successo

Se avete seguito le notizie riguardanti il mondo videoludico, c’è sicuramente un termine che avete sentito spesso negli ultimi anni: “Roguelike“.

Se siete come me, e quindi avete una fissa per capire le differenze tra i generi e come sono diventati quelli che sono, spero troverete questo articolo interessante, perché cercherò di spiegare di cosa si tratta e come mai ultimamente riscattino così tanto successo sia presso il pubblico che la critica.

Cos’è un roguelike?

La risposta non è affatto banale!

Quello dei roguelike è infatti un genere che si è definito da solo, a furia di iterazioni di formule simili. Letteralmente il termine stesso vuol dire “come Rogue“, che altro non è se non uno dei primi giochi di discreto successo con questa formula.

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Rogue, pubblicato nel lontano 1980 su piattaforme Unix, era un gioco in grafica a caratteri molto semplice: il giocatore controllava un personaggio attraverso un dungeon infestato di mostri, ottenendo man mano equipaggiamenti e pozioni che gli permettevano di affrontare le difficoltà che gli si presentavano. Semplicissimo, no?

Ma la caratteristica più importante, quella che è rimasta negli anni, è che le mappe erano generate proceduralmente e la morte era permanente. Una volta persi tutti i punti vita bisognava creare un nuovo personaggio in una nuova mappa. L’appeal del gioco era nella sua infinita rigiocabilità: nessuna partita poteva essere uguale alla precedente.

Il gioco, molto grezzo, attirò una generazione di sviluppatori indipendenti, soprattutto tra gli studenti, ma siccome il codice non fu mai rilasciato, questi pubblicarono le proprie versioni, dando origine a una prima ondata di veri e propri giochi come Rogue: tra questi spiccano Hack e il successore NetHack. Siamo nel 1987.

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Negli anni a venire il genere è rimasto per lo più limitato al PC, sempre nella sua formula di dungeon crawler a turni. Sempre in questa forma è arrivato più tardi sulle console, perdendo l’aspetto di morte permanente e facendo nascere la serie Mystery Dungeon di cui i Pokémon sono solo un (fantastico) esempio.

La vera svolta arriva solo nel 2008. Già da pochi anni prima si iniziava a sperimentare con la creazione dei “rogue-lite“, giochi di qualsiasi altro genere che incorporassero ambienti autogenerati e spesso la morte permanente, anche aggiungendo eventuali potenziamenti che trascendessero la singola run.

Qui iniziano ad apparire una serie di nomi sempre più conosciuti, da Spelunky (2008), rivoluzione in questo senso dei platformer, ma anche Rogue Legacy (2012), platformer action, e Faster Than Light (2012), strategico. Ma uno dei nomi più famosi è sicuramente quello di The Binding of Isaac, che appare per la prima volta nel 2011 come semplice flash game.

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A questo punto, il genere è composto da una miriade di tanti giochi tutti diversi ma tutti simili. Già nel 2008 però, durante l’annuale (e prima) International Roguelike Development Conference, tenuta da una manciata di sviluppatori indipendenti della community, i partecipanti hanno messo in piedi una lista di aspetti che definiscono un gioco come roguelike, ed è detta Interpretazione di Berlino.

Gli otto punti principali stilati sono:

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  • Generazione casuale degli ambienti
    Forse il punto più importante, in quanto rende il gameplay sempre variabile.
  • Permadeath
    Le azioni del giocatore hanno un peso e ogni run ha un’inizio e una fine.
  • Gameplay turn-based
    Spesso “step-based”, ovvero ogni azione, anche un passo, occupa un turno. È il punto meno rispettato dai rogue-lite.
  • Non modale
    Ovvero le azioni possibili sono sempre le stesse. Anche questo punto viene spesso messo da parte, solitamente dividendo il gioco in due fasi: “pre-run” e “run”.
  • Gameplay emergente
    Non esiste un modo unico di giocare, ogni situazione può essere affrontata in modi diversi in base agli strumenti disponibili.
  • Gestione di risorse
    Gli elementi che il giocatore può usare a suo vantaggio sono limitati nel numero o nel tempo.
  • Hack and slash
    Il giocatore deve affrontare quantità considerevoli di nemici e solo così può proseguire.
  • Esplorazione
    È necessario che il giocatore esplori la mappa e gli elementi al suo interno.

Ovviamente, non è una regola rigida, ma solo un riferimento per la community più stretta. Un gioco può essere roguelike senza presentare molti punti, o viceversa non esserlo pur presentandone. Se volete saperne di più, questa è la wiki a cui fanno riferimento gran parte degli sviluppatori amatoriali di questo tipo di giochi.
Per comodità, non insisteremo sulla differenza tra roguelike e roguelite, sempre più labile, e li considereremo un genere unico.

Il successo

Negli ultimi anni i titoli roguelike di successo sono innumerevoli. Tanto per fare nomi basta pensare a Risk of Rain 2, shooter in terza persona con milioni di copie vendute e per un periodo molto in voga su Twitch, ma anche le espansioni di Isaac, tra cui Repentance uscita appena due mesi fa, o, ciliegina sulla torta, Hades del grande studio Supergiant, nomination per il Game of the Year 2020, e vincitore come Best Action e Best Indie.

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Anche le compagnie più grandi stanno abbracciando la formula, ed è il caso di Returnal (qui la nostra recensione, ndr.), di casa Sony: anche questo shooter in terza persona e tra i primi titoli lanciati esclusivamente su PlayStation 5, con buon apprezzamento da parte della critica e dei giocatori.

I motivi di un successo così esplosivo, però, forse possono essere cercati in un certo senso osservando la società occidentale.

La demografica dei gamer non è più quella degli anni ’90; adesso la stragrande maggioranza dei giocatori ha dai 20 anni in su.
Se questo non ha un impatto così forte sulle tematiche, essendoci da sempre una parte del mercato dedicata a temi maturi, la differenza è nell’approccio al gioco.

Mi spiego meglio.
Nella vita di un (giovane) adulto nel 2021, bisogna accettare una triste verità: il tempo vale più del denaro.
Personalmente, la mia passione per il medium videoludico negli anni è solo aumentata, eppure se 10 anni fa dedicavo intere giornate al completamento di JRPG della durata complessiva di centinaia di ore, adesso è un investimento che non sempre sono convinta di voler fare.

Il mio backlog continua tristemente ad avanzare, mentre gli studi e le faccende si impossessano della mia risorsa più preziosa.
Non ho smesso di giocare, e spero che mai lo farò, ma non è facile digerire certi giochi più tradizionali in blocchi di un’oretta o giù di lì.

In questa piccola riflessione, però, c’è forse la risposta: cosa posso incastrare nella mia routine? A cosa posso giocare che mi prenda quella mezz’ora o poco più senza che mi resti quel senso di incompletezza? È a queste domande che il roguelike dà la risposta perfetta.

Del resto, è la struttura stessa del genere a dargli questo tipo di rigiocabilità immediata. Non c’è bisogno di preparazione, anche a distanza di tempo sono giochi che possono essere ripresi in mano senza troppi problemi.

Il roguelike è un rifugio in questo senso, un gioco a cui posso dedicarmi per un tempo limitato e da cui posso ottenere ogni volta un’esperienza nuova, sentendomi in controllo del tempo che sono disposta a concedergli, perché so che comunque vada, dopo una run può solo essercene un’altra, certamente diversa, ma solo una run come tante, a cui posso tornare in qualsiasi momento, senza la pressione di dover proseguire una trama.

Ora, se non vi dispiace, ho degli Inferi da evadere.

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Giolti

Sono una studentessa di design e amante dei giochi di ruolo, sia cartacei che digitali. Ossessionata da Touhou e nintendara da sempre, di recente mi sono aperta ai picchiaduro anime (non che sappia davvero giocarci) e agli indie (non avendo i soldi per altro). Sono ancora alle prime armi nella scrittura, ma faccio del mio meglio per imparare.

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