Ci sono momenti in cui è difficile definire cosa distanzi l’analisi oggettiva di un film dal proprio giudizio nel ritenere quello stesso film un buon film o meno.
Per Beyond The Aquila Rift (Oltre Aquila) il contrasto tra questi due aspetti mi rende molto difficile spiegare perché nonostante l’eccellente realizzazione tecnica, la buona regia e i colpi di scena che hanno impressionato gran parte del pubblico di Love, Death & Robot, io non lo considero un buon film.
Andiamo per gradi.
Beyond The Aquila Rift è il settimo cortometraggio dell’antologia di Love, Death & Robot. Con una durata di 16 minuti, diretto da Léon Bérelle, Dominique Boidin, Rémi Kozyra e Maxime Luére di Unit Image.
Dopo una citazione a 2001 Odissea Nello Spazio, Beyond The Aquila Rift parte con un’astronave cargo e il suo equipaggio composto da tre membri: Suzy, Ray e Thom, il capitano.
Dopo che i tre sono andati in sonno criogenico per affrontare il viaggio la nave subisce un grave errore di rotta e viene soccorsa da Greta, una vecchia fiamma di Thom, che gli rivela che l’errore di rotta li ha portati molto lontani dalla loro destinazione e dalla Terra.
L’intero corto si incentra sulla graduale presa di coscienza della verità da parte di Thom.
Svegliatosi a migliaia di anni luce dalla sua destinazione, il capitano della nave cargo è confuso e non riesce a smettere di pensare a come sia potuto succedere un errore di rotta di quella portata. L’unica sua consolazione è Greta, che si offre come valida e convincente alternativa alla ricerca della verità di Thom distraendolo dai suoi pensieri, ma senza che ce ne sia un motivo apparente.
La scrittura è il problema più grosso che ho con questa puntata. Ridondante, in primo luogo: tenta di mantenere il focus sul contrasto tra realtà apparente e verità più a lungo di quanto necessario utilizzando per due volte di fila lo stesso schema narrativo: Greta che rivela qualcosa a Thom, Thom che le crede, Thom e Greta scopano, Thom dubita delle parole di Greta, ripetere fino al colpo di scena finale.
Ad ogni ripetizione cambia soltanto l’espediente che permette a Thom di dubitare della verità rivelatagli da Greta, quando è solo una sensazione, quando un graffio che si ricuce in pochi attimi.
Purtroppo però non posso definire questo un difetto del film.
La struttura in effetti funziona, e dopo una prima visione si riesce ad avere un’idea di perché Greta decida di mentire a Thom e cosa la spinga ad aprirsi poco per volta. Così tutto ciò che si è visto in precedenza acquista senso e il corto risulta godibile, ma ciò non toglie che sia una scrittura realizzata non nel migliore dei modi, con il solo intento di allungare il brodo più di quanto fosse necessario.
Nella fattispecie, tutta la parte centrale della puntata risulta, non inutile, ma sicuramente poco necessaria, rallentando bruscamente il ritmo dell’intero film.
In un certo senso si vede l’inesperienza dei ragazzi di Unit Images dal punto di vista narrativo, essendo loro abituati a realizzare trailer e spot pubblicitari.
La regia è discreta, ma anche in questo frangente l’inesperienza dei quattro responsabili si fa sentire.
Pur riuscendo a mostrare in maniera ottima ogni singolo movimento che si avvicenda sullo schermo, la regia di Bérelle, Boidin, Koztra e Luére pecca nel suo intento di essere anche una regia di tipo comunicativo, riuscendo solo in parte a trasmettere quella tensione e il senso di trappola che si ricerca nelle inquadrature dello spazio attraverso l’enorme finestra della stazione spaziale e della camera da letto in cui Thom viene tenuto da Greta.
L’effetto “gabbia dorata” si sente solo in parte in quei guizzi di buone idee che però si perdono nel mare di non eccellenti scelte di montaggio e di sincronizzazione tra le immagini e i dialoghi.
Nonostante non mi sia piaciuto molto come è stata realizzata la regia di Beyond The Aquila Rift, non mi sento di far pesare troppo questo aspetto nella valutazione complessiva. Il risultato è tutto sommato buono e si sente l’impegno nel proporre qualcosa di accattivante e comunicativo utilizzando le tecniche di regia più consolidate.
Tutto sommato apprezzo l’impegno.
Ragioniamo. Unit Images è lo studio di animazione CGI a cui si devono i trailer cinematics di molti dei principali giochi Ubisoft, da Beyond Good And Evil 2 a The Crew 2, passando per For Honor e Assassin’s Creed.
Gli si devono inoltre il trailer di God Of War 4 e quello del film Final Fantasy XV: Kingslave oltre che gli effetti in CGI dello spot con le papere di Disneyland Paris e quelli del film I Kill Gigants.
Con queste premesse, se conoscete almeno uno dei titoli citati, saprete che il livello di competenza di questo studio per quanto riguarda l’animazione in CGI è elevatissimo con una maniacale cura per i dettagli di ogni elemento.
In Beyond The Aquila Rift vedrete forse la migliore grafica CGI dell’intera serie (si può discutere su quanto rivaleggi con Sonnie’s Edge) in cui i basso numero di modelli su schermo permette di concentrarsi maggiormente sulla realisticità dei loro movimenti e dei dettagli dei muscoli in movimento.
Questa cura si riconosce in maniera particolare nella scena di sesso tra Thom e Greta, in cui il lavoro di cura per il dettaglio di Unit da il suo meglio, dall’animazione delle bollicine di champagne al dettaglio dei peli sul corpo di Thom fino alla contrazione dei muscoli.
La qualità grafica non cala nemmeno con il repentino cambio di scenario durante il colpo di scena finale in cui vengono modificati sostanzialmente tutti i modelli di Thom, Rey e Suzy per apparire solo per pochi secondi.
Beyond The Aquila Rift… un’ottima occasione per uno studio di grandi professionisti degli effetti CGI di mostrare gli artigli e confrontarsi con un impianto narrativo complesso ben distante dai loro soliti lavori su commissione.
Riuscito? In parte, ma la buona volontà c’è e si sente.
Beyond The Aquila Rift è una delle più schiaccianti prove di potenza tecnica della serie Love, Death & Robot accompagnato a una storia che prende a piene mani dall’immaginario di Matrix e lo rielabora in un modo piuttosto originale mescolandolo ad altri tipi di fantascienza.
La scrittura e la regia soffrono di alcune falle date dall’inesperienza, ma si sente la voglia di fare e di comunicare, anche se non ci si riesce in maniera ottima.
Un applauso a parte va alla OST Living In The Shadow di Matthew Parryman Jones, un’ottima canzone che si sposa benissimo all’atmosfera di benevola trappola e falsità della puntata.
Non lo considero uno dei migliori corti di Love, Death & Robot, ma è comunque stra consigliata la visione.
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Bellissimo articolo... unica pecca è che l'immaginario non riprende esplicitamente quello di matrix come riportato in quanto, come anche la narrazione, è stato ripreso dall'omonimo racconto di Alastair Reynolds, non quindi una scrittura originalissima dei produttori. Di questo riferimento narrativo nell'articolo neanche l'ombra...