AGLI SGOCCIOLI!
Era il lontano 2010 quando Rockstar Games, a due anni dall’uscita di Grand Theft Auto IV, pubblicò Red Dead Redemption: acclamato dalla critica e dal pubblico, vinse il Game of the Year di quell’anno, e si guadagnò il suo posto nell’olimpo dei migliori titoli della scorsa generazione, e per molti giocatori, di sempre.
Oggi, a otto anni di distanza, ci ritroviamo ad attendere con trepidazione l’uscita del suo secondo capitolo (questione di poche ore!), che, tra anteprime e statistiche produttive, sembrerebbe avere ogni carta in regola per bissare il successo del suo predecessore, ma nella corrente generazione. Facciamo quindi un viaggio nel passato, riscoprendo e andando a fare una retrospettiva di ciò che è stato Red Dead Redemption.
Fuorilegge non si nasce!
Il protagonista è John Martson, un uomo di mezz’età il quale burrascoso passato è fatto di criminalità e violenza, in quanto facente parte di una gang di fuorilegge. Durante una rapina però, John rimane ferito gravemente, e abbandonato dai suoi compagni. Dopo essere riuscito a salvarsi, capisce che quella non è più la vita che fa per lui, e decide di trasferirsi con la propria famiglia lontano, per vivere in pace e dimenticare tutti i misfatti compiuti in passato. Proprio in questi frangenti succede qualcosa che stravolge nuovamente la sua vita: in circostanze misteriose, la sua famiglia viene rapita e si ritrova in mano un messaggio che gli dice che se vuole rivedere i suoi cari, dovrà saldare alcuni vecchi debiti. Da qui inizia la storia del nostro protagonista, che dovrà trovare i responsabili del rapimento e saldare i conti, mentre in campagna regna l’anarchia e l’FBI è alle costole di tutti i criminali: tutto ciò riporterà la sua vita ad essere nuovamente fatta di violenza, in cerca di vendetta e redenzione.
Attenzione, spoiler più avanti!
Dopo mille peripezie, incontri particolari, colpi di scena e totali cambi di direzione, John riesce finalmente a raggiungere il suo obiettivo.
Convinto di aver messo fine ad ogni questione, soprattutto quelle più personali, nella parte finale del gioco, John riesce a tornare a casa insieme alla sua famiglia, e per qualche tempo tutto sembra andare nel migliore dei modi, fin quando non viene fuori la prova che le azioni che ha fatto nell’arco della storia hanno avuto delle conseguenze: non solo si era inimicato alcune vecchie conoscenze, se ne era proprio create di nuove, il che, in un mondo spietato e che non concede errori, risulta un enorme problema. Casa Martson si ritrova improvvisamente invasa da nemici, al quale noi, come ultima fatica da videogiocatori, dovremo sparare tutto ciò che avremo, fin quando…ahimè, ci toccherà trovare una via di fuga: John e la sua famiglia si rintanano nel fienile, dove sembrano essere effettivamente con le spalle al muro. I nemici si avvicinano minacciosi alla porta, mentre John cerca di sbirciare quanti sono e come sono posizionati. Come ultimo atto eroico, fa caricare il figlio e la madre su di un cavallo, e dandogli una pacca sulla schiena, lo fa partire, cosicchè almeno loro possano salvarsi andando il più lontano possibile. Conscio del suo destino, per dare tempo al cavallo appena uscito dal retro, John spalanca la porta del fienile, e dinanzi ad una folta schiera di nemici, tramite il red eye, il giocatore deve provare a difendersi…ma i nemici sono troppi: John riesce a colpirne qualcuno, ma viene istantaneamente crivellato da decine di proiettili. Poi crolla al suolo, zeppo di buchi in tutto il corpo e completamente ricoperto di sangue. In quel momento il giocatore si trasferisce nei panni del figlio, Jack Martson, ormai a cavallo e ben lontano da ogni pericolo. In questo modo avremo la possibilità di continuare a esplorare il mondo di gioco e completare altre attività nei panni di Jack.
Il tutto è diretto ed interpretato in modo semplicemente incredibile, incorniciando questa come una delle sequenze più belle e riuscite di sempre: questo finale rappresenta, narrativamente parlando, il punto forte della produzione, e mentiremmo se dicessimo che tutta quanta la campagna non meriterebbe di essere finita solo per questa scena.
Come se già questo non bastasse, la storia di per sè, e ciò che ci farà poi giungere a questa epica conclusione, scorre lentamente ma senza mai annoiare: è come se Rockstar avesse impiantato la struttura narrativa e meccanica dei GTA in un contesto completamente differente, andando ad adattare ogni singolo spunto narrativo all’ambiente, al periodo, allo stile e alle tematiche del Far West di inizio ‘900, riuscendoci alla perfezione. Non risulterà mai invasiva ma sempre interessante, e ci verrà sempre voglia di andare avanti per scoprire quale prossimo folle personaggio incontreremo. Nonostante ciò, è innegabile che il ritmo sia ben differente da quello visto dei GTA: la campagna è più lunga, lenta, e non sempre orientata all’azione.
Sensazioni ed emozioni
Quindi, se già dal punto di vista della campagna, Red Dead Redemption riesce ad affermarsi come un’opera magna, non possiamo non spendere due parole per il mondo di gioco.
L’ampia regione Westerniana proposta da Rockstar Games è quanto di più bello e vivido ci si possa immaginare: la mappa non offre cose da fare in ogni suo angolo, in quanto nella maggior parte delle occasioni dovremo semplicemente andare da un punto A ad un punto B senza troppe difficoltà, o comunque con pochi imprevisti; nonostante ciò il farlo rappresenta qualcosa di impagabilmente soddisfacente. Grazie alla geniale funzionalità di “pilota automatico” attivabile a piacimento mentre si è sul cavallo, il viaggiare in una strada sterrata a tutta velocità tra le sconfinate lande desertiche piene di alberi secchi e cactus è sempre un’emozione: ogni elemento grafico e artistico dello scenario è al posto giusto, il cavallo (e il protagonista stesso) è animato magistralmente, le musiche d’atmosfera azzeccate, mentre il ciclo giorno notte e i casuali agenti atmosferici si uniscono per rendere il tutto una goduria puramente sensazionale.
Con le premesse appena definite, va anche detto che le ambientazioni non sono semplicemente una serie di aree geologicamente ben costruite disseminate di attività da completare, ma ha un’amalgama che raramente abbiamo avuto occasione di vedere negli open world: la mappa infatti presenta un enorme varietà di ambientazioni, tra aree desertiche e boscose, distese lacustri e fluviali, città, villaggi, colline e montagne, il tutto chiaramente riempito e animato da NPC e animali. Però, a conti fatti, Red Dead non è un gioco così sconfinato, longevo o incredibilmente zeppo di contenuti; le attività da portare a termine non sono troppe, ma ognuna da un ottimo pretesto al giocatore per frenare la sua corsa verso il finale del gioco, e offrendogli qualche ora di svago: per puro roleplay era particolarmente piacevole fermarsi in una cittadina, entrare nel saloon, sedersi al tavolo con altri brutti ceffi e giocare a Blackjack, mentre magari fuori vi era la pioggia…tanto per fare un esempio.
Anche il gameplay faceva la sua porca figura: intendiamoci, non vi erano meccaniche eccessivamente divertenti o rivoluzionarie, ma sparare, muoversi tra le coperture, correre e guidare il cavallo offrivano comunque un feeling positivo con il pad alla mano.
Per concludere la retrospettiva, parliamo un po’ del comparto grafico: in quel periodo, più titoli uscivano, più la grafica migliorava. Tra vari i Crysis e Gears of War, che mostravano una cura nei dettagli grafici che hanno un che di storico, anche Red Dead spiccava per il suo comparto tecnico: se consideriamo la grandezza del titolo Rockstar rispetto ai singoli capitoli delle altre due saghe sopracitate, è facile notare come nel complesso il lavoro di Rockstar fosse incredibile: le animazioni facciali e non erano spaventose, le texture e i modelli dei personaggi e degli animali lavorate e curate, e, come già detto in precedenza, anche i paesaggi e gli ambienti erano realizzati con imponenza, offrendo ancora oggi un colpo d’occhio non indifferente.
Va anche accennata la presenza dell’ottimo DLC Undead Nightmare, rilasciato qualche tempo dopo: si trattava di uno spinoff nel quale il mondo di gioco veniva invaso da un infezione di zombie, andando a creare da zero una storia totalmente nuova, con atmosfere e toni estremamente più cupi. Senza perderci in troppe chiacchiere, possiamo confermare che anche questa si trattò di un’ottima aggiunta, che portò veramente una ventata di varietà in quell’universo.
Insomma, sul fatto che Red Dead Redemption sia un capolavoro videoludico c’è poco da obiettare: attenzione però, il gioco non rivoluziona niente, ma nonostante ciò risulta comunque essere uno di quei giochi al quale si fa fatica a trovare dei difetti; Rockstar è sempre stata maestra nel curare ogni singolo aspetto dei loro videogiochi, e otto anni fa lo ha dimostrato in modo fin troppo inequivocabile.
Con il nostro cuore in mano a Rockstar Games, non possiamo che essere fiduciosi al 100% sul fatto che la sua ultima fatica possa essere all’altezza di questo solenne nome: il 26 Ottobre è più vicino che mai, e la nostra voglia di impersonare il nuovo protagonista in questo nuovo capitolo della saga è ormai alle stelle.
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