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Pre-owned e videogiochi usati: quali sono le prospettive del mercato dei videogiochi di seconda mano?

Se anche voi siete videogiocatori di vecchia data come me, probabilmente ricorderete con nostalgia le gite al GameStop più vicino per spulciare tra le copie di videogiochi usati sperando di trovare quel gioco uscito da un po’ e che non potevate permettervi al lancio.

Oppure di quando dopo una settimana di tentennamenti, decidevate di cederne uno che avevate finito in cambio di uno sconto su un altro titolo.

A cavallo degli anni 2000 e seguenti è diventato sempre più comune il fenomeno del trade-in, dare valore ai vostri videogiochi usati in cambio di uno sconto sull’acquisto successivo.

E ora che siamo entrati appieno nell’epoca del download digitale, gli store online la fanno da padrone e il supporto fisico si appresta probabilmente a diventare il feticcio di nostalgici collezionisti, come se la sta passando il mercato dei videogiochi usati?

Come funziona il mercato dei videogiochi usati?

Tutto il mercato dell’usato dei videogiochi gira intorno al trade-in. Un giocatore compra un gioco nuovo. Lo porta a casa e in una settimana, in un mese o in sei mesi lo finisce. A quel punto decide di portarlo in un negozio specializzato e renderlo in cambio di uno sconto sull’acquisto di un altro titolo. In base a quanto tempo è passato dall’uscita e a quanto il valore del titolo si è mantenuto nel tempo, viene fissato un prezzo di ritiro e quell’importo sarà quindi scontato dal costo di un altro titolo, che può essere sia nuovo che usato.

Lo stesso funzionamento vale anche per l’hardware. All’uscita della nuova generazione di console, è possibile riconsegnare una console della generazione precedente in cambio di uno sconto per un upgrade.

Ma sebbene questo meccanismo funzioni ancora molto bene per quanto riguarda le console, sia per gli utenti che possono risparmiare qualcosa, sia per i produttori che possono mantenere un prezzo maggiore e al contempo rinnovare una porzione più alta di base installata, per quanto riguarda i videogiochi ci troviamo di fronte ad una profonda battuta d’arresto.

Questa brusca frenata del mercato dei videogiochi usati è cominciata nell’ultimo decennio, con l’avvento del download digitale e la parentesi del lockdown ha impresso un ulteriore forte rallentamento. Basti pensare che il mercato pre-owned in UK valeva 123 milioni di sterline nel 2015, mentre nel 2022 è sceso a 21,3 milioni, un calo di quasi l’83%.

I principali store di usato

Escludendo i vari marketplace di annunci come Subito, Facebook Marketplace, Wallapop, Ebay e simili, i principali attori del mercato dei videogiochi usati sono Game, GameStop e Cex.

Game

Game, nome commerciale di Game Retail Limited, è una catena di negozi di videogiochi britannica nata nel 1992 con il nome di Future Zone. Passata per diverse fusioni e acquisizioni negli anni successivi, la compagnia subisce una perdita di oltre 10 milioni di sterline nel periodo 2016-2017, mentre nell’anno precedente aveva avuto un attivo netto di oltre 7 milioni. Viene perciò acquisita dal gruppo Frasers per 52 milioni di sterline.

Lo scorso gennaio la catena annuncia che nei prossimi mesi sospenderà il servizio trade-in, mentre i videogiochi usati si continueranno a vendere fino ad esaurimento scorte. Questo articolo riporta una dichiarazione del CEO di Game secondo cui “questo è un calo strutturale”.

La strategia di Game per affrontare il declino del trade-in è monetizzare attraverso la vendita di accessori, hardware pc e la propria piattaforma di pay-to-play Belong, che consiste in una rete di arene e-sports totalmente attrezzate dove è possibile giocare ad una moltitudine di titoli competitivi, ma anche organizzare LAN parties oppure ospitare tornei.

Purtroppo, nel caso foste già corsi a scaldare la vostra carta di credito per abbonarvi, mi tocca dirvi che solo i residenti in USA e UK hanno questa possibilità. Se foste comunque interessati, potete farvi un’idea più approfondita sulla loro pagina ufficiale.

GameStop

Se Game e Cex non vi dicono molto perché poco o per nulla presenti in territorio italiano, diverso sarà sicuramente per GameStop. La catena, fondata negli Stati Uniti, conta oltre 4800 negozi in 17 paesi e possiede anche una rivista specializzata edita sia in digitale che cartaceo e che molti di voi conosceranno: Game Informer.

GameStop ha attraversato negli anni diverse crisi ed è stata involontariamente al centro di una manovra finanziaria partita da un gruppo di Reddit. Questa storia ha ispirato il libro “The Antisocial Network: The GameStop Short Squeeze and the Ragtag Group of Amateur Traders That Brought Wall Street to Its Knees” da cui è stato successivamente tratto il film Dumb Money.

Attualmente la catena ha un valore di 4400 milioni di dollari e a differenza di Game, la sua strategia per affrontare il drastico calo del mercato dei videogiochi usati è puntare sulla vendita dei collezionabili.

Cex

Questo è invece un caso un po’ anomalo all’interno di questo modello di business. Perchè a differenza dei due precedenti, Cex commercia elettronica usata di qualsiasi tipo. PC, console, fotocamere, periferiche e di conseguenza anche videogames.

Altra differenza è che questa catena non si limita a scambiare titoli e hardware solo in cambio di buoni spendibili con loro, ma anche direttamente in contanti. Una Xbox Series X, per esempio, si può comprare usata in questo periodo per 375€. Oppure, se ne avete una da vendere, potete ottenere 255€ di credito spendibile nei negozi Cex e nel loro store online, oppure avere 210€ in contanti.

Nella mia zona ce n’è uno in cui vado di tanto, armato della mia fedele tessera fedeltà, sperando di trovare qualche vecchio titolo che mi sono perso nel tempo e comprarlo per pochi euro oppure quei giochi che mi avevano entusiasmato ai tempi della Xbox 360 o della PlayStation 2 e che ho dovuto vendere prima di trasferirmi.

È vero che ultimamente si vedono esposti sempre meno titoli. Però l’intero business model di Cex era abbastanza diversificato già dalla sua fondazione ed è già conosciuto per rivendere un insieme eterogeneo di hardware, perciò non dovrebbe risentire moltissimo del calo di questo specifico mercato.

La posizione di distributori e sviluppatori

Nel mercato dei videogames è pieno di filantropi a capo di aziende il cui unico interesse è il meglio per l’utenza. È grazie a loro se abbiamo potuto assistere a capolavori assoluti come The Day Before, The Lord of the Rings: Gollum o Redfall, tanto per fare degli esempi. Oppure prendiamo Star Citizen, masterpiece ancora in sviluppo la cui sola promessa, formulata nell’ormai lontano 2012, ha fruttato ad oggi più di mezzo miliardo di “meglio per l’utenza”.

Esempio di questo eroico management è l’ex presidente di Nintendo of America Reggie Fils-Aimé, che in un’intervista del 2009 dichiarava che “i videogiochi usati non sono nel migliore interesse dei consumatori”. E continuava dicendo: “Descrivi un’altra forma di intrattenimento che ha un vibrante mercato dell’usato. I libri usati non hanno mai preso il volo. Non vedi negozi che vendono CD musicali usati o DVD usati. Perchè? Gli utenti vogliono l’esperienza di un oggetto nuovo di zecca e riviverla ancora e ancora“.

Ovviamente i negozi di libri, CD e DVD usati non esistono e da tempo il buon Reggie si chiede come ciononostante questi mercati possano generare così tanti introiti. È proprio per rispondere a questa domanda che nel 2020 è entrato nel direttivo di GameStop. Quando c’è il migliore interesse per i consumatori non ci sono limiti ai sacrifici che certi manager sono disposti a fare.

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L’ex vicepresidente senior di Electronic Arts Jens Uwe Intat (in carica almeno fino all’epoca di questa intervista) definiva quella delle vendite di seconda mano come una situazione critica, poiché le persone vendono una proprietà intellettuale molteplici volte.

“Nella nostra visione del modello di business, sviluppatori e publisher stanno cedendo il diritto di giocare”.

Chi non troverebbe la situazione critica? Come novelli Prometeo digitali stanno “regalando” agli uomini il diritto di giocare. E questi se lo rivendono.

Dopotutto, rivendere un videogioco usato “non è comparabile alla vendita di seconda mano di normali beni fisici, i quali soffrono di una naturale usura fisica”, dando dunque per scontato che i supporti fisici dei videogiochi siano eterni. Certamente, tra cinquant’anni potremmo sempre goderci la nostra copia di Super Mario All Stars su SNES.

Intat vuole ovviamente dire che i dati digitali rimangono invariati anche al passare da un proprietario all’altro. Cosa che, a detta sua, non succede con altri beni usati, come per esempio “macchine, vestiti o libri di seconda mano”.

Mi prenderò la libertà di citare testualmente le parole di Brendan Sinclair che riferendosi a questa intervista scrisse: “mi chiedo se Intat abbia mai posseduto un immobile e come si sentirebbe se il precedente proprietario gli volesse impedire di rivenderla o modificarla come meglio crede”. Un’immagine mentale che tocca un estremo, me ne rendo conto, ma che ciononostante descrive bene la terra di confine di cui si stia effettivamente parlando qui.

Ad ogni modo, con devs e publisher che comparano mercato pre-owned a un virus o a una pugnalata nella schiena (David Perry di Acclaim), o ancora che sperano che la distribuzione digitale pugnali il mercato dei videogiochi usati al cuore (il direttore creativo di Obsidian, Chris Avellone), è abbastanza chiaro che la loro posizione a riguardo non sia per niente favorevole, sebbene sia importante ricordare che ci sono anche sviluppatori di piccole e medie dimensioni che si rendono conto di quanto questo tipo di mercato sia un “male necessario” per permettere ad un titolo di diffondersi anche tra coloro che non possono permettersi l’acquisto al day one e dare così visibilità ad opere che altrimenti rimarrebbero all’interno di una nicchia.

Il problema della proprietà del digitale

Parlando di videogiochi usati non si può non cadere dentro alla questione del download digitale. Da alcuni anni infatti abbiamo la possibilità di comprarci ogni gioco disponibile su svariati store online con la sola necessità di una connessione internet ed un metodo di pagamento valido.

Questo ha dato il via ad un declino del mercato pre-owned che il sopraggiungere della pandemia ha enormemente accentuato. Ma se prima potevo giocarmi un titolo in cambio di una certa cifra, poi rivenderlo recuperando parte di quei soldi e passare ad un altro gioco, ora posso spendere gli stessi soldi (o più, in molti casi) e poi, che mi piaccia o meno, averlo disponibile digitalmente a nome del mio account, senza possibilità di cederne la proprietà a terzi per comprare altro.

Il problema è che non possiamo cedere la proprietà perchè al momento dell’acquisto di fatto non ci viene concessa la proprietà del titolo, ma solo il diritto all’uso. Diritto all’uso limitato dai termini e dalle condizioni imposte dal distributore. Ma andiamo con ordine.

Già da diverso tempo ci hanno abituati all’installazione del titolo all’interno del disco fisso della console, per questo dispositivi come le console che non hanno mai avuto bisogno di troppo spazio di stoccaggio se non per i file di salvataggio, hanno cominciato ad essere vendute con dischi da 500GB, poi da 1TB, poi da 1TB ma espandibili. Certo, se scarico un gioco da uno store non ho altre opzioni che salvarlo in locale (a meno che non si pensi alle soluzioni di cloud gaming, ma questo è tutto un altro discorso che meriterebbe di essere approfondito a parte).

Questo però succede anche se io inserisco il disco fisico. Sarà per la velocità, direte voi. Ovviamente la velocità di lettura da un supporto ottico non è neanche lontanamente paragonabile a quella da un SSD. Ora però cosa garantisce a me sviluppatore/distributore che decine di utenti diversi non installino diverse copie su diverse console tutte da un unico disco? Semplicemente richiedo l’inserimento del disco per permettere l’avvio di una copia salvata in locale.

E per i download digitali che non sono stati installati da un supporto fisico? Diventa obbligatoria la connessione ad internet, che tra l’altro include un fastidiosissimo collo di bottiglia, perchè onestamente me ne faccio poco di una console che è pronta e performante in otto decimi di secondo, se poi mi lascia altri due minuti in attesa perchè deve verificare la connessione, accedere al mio profilo, verificare che il mio account abbia accesso al contenuto e finalmente farmi avviare una partita.

Il punto qui è che la proprietà privata, per essere tale, deve godere di certi caratteri, tra cui pienezza e indipendenza. Per pienezza si intende che il proprietario può godere e disporre del bene in maniera piena; avvalendosi del diritto di poter fare quel che si vuole di questo bene, come rivenderlo, per esempio. Per indipendenza si intende che la proprietà non presuppone l’esistenza di un altro diritto di maggiore importanza appartenente ad un soggetto diverso, come l’esistenza di server che devono verificare i tuoi acquisti.

Ormai ci siamo abituati a vivere in abbonamento. Noi delle generazioni post-boomers siamo stati gradualmente abituati a non poter possedere nulla. Non abbiamo diritto ad avere una casa, una famiglia e tutte le rotture sulla questione gender ci fanno capire che non abbiamo diritti nemmeno sui nostri stessi corpi. E questo avviene con una costante propaganda pubblicitaria che ci spiega quanto sia stressante possedere le cose.

Perché doversi preoccupare di pagare un mutuo quando puoi essere flessibile con contratti di locazione di tre mesi in tre mesi e quando ti stufi semplicemente puoi prendere i tre vestiti che hai e andartene? Ormai anche sul lavoro più che contratti abbiamo abbonamenti al reddito. Se non sei d’accordo con le modifiche unilaterali al contratto di abbonamento, hai diritto al recesso senza penali. Cosa senz’altro onesta, ma che in un sistema privo di alternative al soddisfacimento dei bisogni primari non può non suonare come una velata minaccia. O accetti le nostre decisioni o muori di fame.

Seppur in forma decisamente meno importante rispetto quanto sopra, il problema della proprietà delle copie dei nostri videogiochi rientra perfettamente in questa manovra che punta a depauperare l’utenza in favore del business che vi è sotto.

Come potrebbe essere in futuro il mercato dei videogiochi usati?

Se è possibile permettere al singolo di acquistare un videogioco in digitale, non esiste nessuna ragione per cui non lo possa anche rivendere. L’infrastruttura esiste già e non solo sarebbe possibile rivendere la proprietà di un titolo all’interno del singolo store, ma attraverso la tecnologia Blockchain sarebbe possibile avere anche piattaforme indipendenti che gestiscano lo scambio tra store diversi.

Viaggiando parecchio in avanti con la fantasia, Mario, un utente Xbox, potrebbe entrare all’interno della propria libreria e pensare che la sua copia di My Little Pony ha fatto il suo tempo. Decide perciò di usare l’opzione “Metti in vendita” all’interno del menu nella scheda del gioco. Contemporaneamente, Franco, un utente PlayStation che da mesi vorrebbe comprarsi una copia di My Little Pony senza volerci spendere troppo sopra, si mette a cercare su un sito che raccoglie titoli usati pubblicati sui vari store e trova proprio la copia di Mario con un bello sconto.

Questa fantasia fantascientifica sarebbe già tecnicamente possibile. Quello che andrebbe progettato sarebbe il sistema di compensazione tra i diversi publisher, nonchè stabilire come e quanto quotare i titoli messi in vendita e che percentuale riconoscere all’utente e quale andrà invece destinata a sviluppatori e distributori.

Le possibilità sono molteplici, come crediti proprietari spendibili solo all’interno di specifici store e valorazioni maggiori per vendite fatte con quelle valute. In questo modo, anziché finire per demonizzare in toto il mercato dei videogiochi usati e inimicarsi un’utenza derubata della proprietà dei propri titoli, i distributori avrebbero il controllo di un secondo canale di vendita su cui generare ricavi e in cui vendere altri prodotti digitali accessori, come abbonamenti, codici sconto, pacchetti di valuta interna e altro.

Personalmente la trovo una soluzione molto più elegante a quella degli acquisti in game, perchè ci sono poche cose più moleste di una pubblicità che mi interrompe la fruizione di un prodotto di intrattenimento. Fino ad ora l’utenza non ha percepito del tutto il vero rischio di questo trend, ma molti, all’indomani della cancellazione di The Crew dagli store e dalle loro librerie, stanno sicuramente cominciando a farsi qualche domanda.

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Marcus Miles

Appassionato di videogiochi fin dall'infanzia, dategli un puzzle game o uno story driven con dei begli enigmi e si galvanizza, ma se gli parlate di FPS multiplayer online si addormenta. Ha messo le mani su pc e console a partire dall'Atari 2600 e attualmente gioca su XBox Series X. Potete trovarlo anche su Instagram e YouTube, su cui porta avanti un canale a tema videogames che si chiama La Tana di Yoshi. Vive in Andalusia e oltre ad essere un scarso ma appassionato bassista, è istruttore di kitesurf.

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