Se una macchina del tempo mi trasportasse nel Giappone di metà anni ’80 non credo che neanche il produttore musicale più visionario mi crederebbe se gli dicessi che il City Pop è diventato un trend globale negli anni ’10 del nuovo millennio.
Il City Pop è quel particolare genere musicale, esploso negli anni ’80 in Giappone, simbolo culturale di un periodo di crescita e rinascita della nazione giapponese. Sono gli anni del boom economico, dell’ascesa a terza economia del mondo, della positività cavalcata proprio dall’industria musicale, decisa a rappresentare questa nuova società nipponica.
Ma come mai un genere che racconta un periodo così lontano nel tempo è riapparso dal nulla ai giorni nostri, riemergendo nei vinili degli appassionati e nei Tik Tok dei ragazzi? Che cos’è quindi questo fantomatico City Pop e perché è così legato ad un certo tipo di mood ed estetica tanto cara agli appassionati di anime? Prendete le cuffie, alzate il volume e seguitemi in questo viaggio alla scoperta di un genere redivivo che ha riportato alla luce un’epoca della cultura giapponese.
Dopo la fine della guerra e passati i durissimi anni della ricostruzione, il Giappone si riaffaccia al mondo con una veste tutta nuova a partire dagli anni ’70. Sono gli anni dell’Olimpiade di Tokyo, dell’Expo di Osaka, della tigre d’oriente che spaventa le potenze occidentali con un’economia in rapida crescita.
Questo cambiamento economico e politico si riflette anche nella società, proiettata ora alla modernità e con uno sguardo verso l’Occidente e soprattutto l’America. Proprio dall’America, nello specifico dalla musica Pop americana, arriva l’influenza che, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, da vita al City Pop.
Secondo il Tokyo Weekender il City Pop è stato “..a style of circumstance, a product of the optimism, prosperity and security of Japan’s economic bubble of the 1970s and 1980s and mirroring of the futurism and luxury of sprawling cities and increased wealth.” Questa positività che si riflette poi nello stile e nei testi, per la prima volta personali e che raccontano le gioie e i dolori dei giovani, la vita nottura, il ricordo di un giorno d’estate.
Lo sguardo verso l’Occidente non è solo culturale ma anche musicale. Le grandi influenze degli anni ’50 e ’60, come l’exotica di Les Baxter, sono il terreno fertile di cui si nutre il City Pop, pronto ad esplodere nel decennio successivo quando le condizioni socio-economiche del Sol Levante hanno dato vita ad una società idealizzabile straordinariamente dipinta da questo sottogenere.
I neon e le luci della metropoli fanno da sfondo alle sonorità tipiche del pop anni ’80 occidentale, narrato in quella lingua così lontana e al tempo stesso piacevole che probabilmente ha contribuito alla sua rinascita recente.
Appena nato però il City Pop era un genere di nicchia al di fuori del Giappone e l’enorme successo in patria non ha mai portato ad una sua espansione internazionale, anche al netto dei titoli e ritornelli anglofoni.
In Giappone però il City Pop cresce a dismisura come il benessere della popolazione che rappresenta e non è un caso che a cavalcarne l’onda è proprio una delle aziende nipponiche di musica che dominano il mercato ancora oggi. Sony capisce che quella musica è un simbolo di serenità che può essere vissuta passeggiando ascoltando il proprio Walkman o sulle cassette della propria macchina, sfrecciando sotto i grattacieli di Tokyo o di fianco all’oceano.
Testi e musica parlano di un mondo lontano e incontrano sonorità venute da fuori come il Funk, il Soul e il Pop mischiandosi con il Jazz. A questo però si somma un’interpretazione melodica dolce e sensibile tipica della musica e della cultura giapponese, in grado di conferirgli quell’alone inconfondibile che ci affascina ancora oggi.
Proprio seguendo la parabola della bolla economica giapponese del dopoguerra, il City Pop si esaurisce piano piano nel corso degli anni novanta, segnando (e al tempo stesso facendosi segnare) questa stagione culturale fatta di un benessere al neon che ha dato vita ad un’immaginario di un Paese inconfondibile che sarebbe rimasto fino a noi tra un’illustrazione di un brano Lo-Fi e Sailor Moon.
Il City Pop rimane così un genere che ha fatto parte della storia pop del Giappone, con influnze importanti che hanno dato in parte una buona spinta a fenomeni come quello delle Idol e del J-Pop, importantissimi negli ultimi decenni. O almeno questo era quello che era lecito aspettarsi fino al 2017.
Nel luglio del 2017 un normalissimo utente YouTube, tale Plastic Lover, forse amareggiato dal fatto che una canzone che apprezza è stata tolta dal sito, decide di ricaricare un brano di Mariya Takeuchi, Plastic Love. Una canzone neanche troppo famosa dell’artista giapponese ma che, grazie all’algoritmo del sito e un particolare allineamento di pianeti, raggiunge i consigliati di chiunque, toccando le 24 milioni di visualizzazioni prima che la casa discografica intervenga.
La giovane immagine di Mariya diventa il simbolo di una rinascita inaspettata che solo nell’epoca digitale poteva concretizzarsi. Il City Pop ritorna in auge quasi trent’anni dopo l’inizio del suo decadimento e un pubblico inaspettato fatto di stranieri e giovani giapponesi che non hanno vissuto quell’epoca si ritrova a contatto con un sound perduto e cantanti come la Takeuchi e Anri riscalano le classifiche.
La nostalgia prende la forma del City Pop, che stavolta non è bandiera di benessere e positività ma emblema di tempi lontani, di un passato che non c’è più ma che ruba ancora i cuori degli ascoltatori in giro per il mondo e ci restituisce artisti che altrimenti avremmo tristemente dimenticato come la compianta Miki Matsubara.
Il ritorno del City Pop è un fulmine a ciel sereno ma se scaviamo affondo riusciamo a capire che ciò non era del tutto imprevedibile. Se nell’immaginario collettivo questo genere era sembrato esaurirsi dopo il suo decennio glorioso, la sua influenza ha continuato a intaccare tanti ambiti della cultura nipponica e non solo.
Vaporwave e FutureFunk sono due generi che devono molto alle sonorità e al mood costruito dal City Pop. Le loro produzioni rinterpretano spesso melodie e brani di quel periodo ma anche fenomeni più grandi come The Weekend hanno saputo pescare da questo genere. Vi ricordate Out of Time? Bene, il sample della base non è nient’altro che l’iconica Midnight Pretenders di Anri.
L’influenza nascosta e poi riscoperta del City Pop però non poteva lasciare indifferente anche le arti visive. Un genere devoto al benessere che ha caratterizzato e al tempo stesso ha saputo raccogliere dal mondo delle illustrazioni, di cui il figlio prediletto è Hiroshi Nagai, l’uomo dietro a tante illustrazioni iconiche dei dischi degli anni ’70-’80. Colori a pastello, richiami alla Pop Art e immagini idealizzate di posti immaginari.
Una musica che fa sognare prima, nel suo momento di massimo splendore, e soprattutto dopo, quando viene riscoperta e diventa fenomeno di culto. Legata da sempre ad un consumismo idealizzato e ad una scia artistica intrinsecamente connessa alle sue sonorità e alla società che voleva rappresentare. Una società che in quel momento dava anche vita ad un palcoscenico particolare dove il City Pop poteva esprimere le sue potenzialità e che, riscoprendolo poi nel nuovo millennio, gli dona un’aura ancora più affascinante. Stiamo parlando ovviamente degli Anime.
Il boom economico che ha investito il Giappone negli anni ’80 non poteva lasciare indifferente l’industria dell’animazione che in questi anni si rivela un settore in rapida crescita. Tra il 1980 e il 1990 la qualità dei prodotti d’animazione giapponesi vola alle stelle e tantissimi capolavori apprezzati ancora oggi vedono la luce in questi anni.
Inevitabile che, proprio come il City Pop, l’industria degli anime subisse l’influenza della positività che stava investendo la società giapponese dell’epoca e anche i due fenomeni culturali, inizialmente divisi, sono finiti per incontrarsi.
Questa unione, sporadica e meno frequente di quello che sarà poi il J-Pop e il fenomeno delle Idol, rafforza e stimola entrambi e li caratterizza fortemente, soprattutto dopo il fenomeno della recente riscoperta. Ascoltando un brano City Pop infatti, anche grazie alle art e allo stile che spesso accompagnano i videoclip e le playlist complici della recente riscoperta, viene quasi naturale ripensare allo stile dell’animazione degli anni ’80-’90, alle città e alle notti raccontate in City Hunter e Cat’s Eye, ai capelli cotonati e i blue jeans di Kimagure Orange Road.
Questa influenza è inevitabilmente reciproca: se riguardate ora Maison Ikkoku colori e disegni cantano City Pop e la sigla interpretata da Yuki Saito è un manifesto di questo genere musicale.
A differenza di quello che vedremo successivamente con il J-Pop (figlio naturale di questo genere) e con il mondo Idol, l’incontro tra City Pop e Anime è più raro ma estremamente azzeccato e fondamentale nella fase della sua riscoperta.
Anime iconici ancora oggi come i già citati Cat’s Eye (meglio conosciuto come Occhi di Gatto) e City Hunter si prestavano particolarmente a questo genere. Pensate alle tre ammalianti ladre di Tsukasa Hojo, interpreti perfette di quello che la cultura sviluppata attorno al City Pop voleva rappresentare. Non un caso se pensiamo che la sigla dell’anime è la traccia d’apertura di Timely!!, l’album più iconico di Anri, la principessa della rinascita di questo genere.
City Hunter, per motivi analoghi, diventa l’anime più associato all’idea di City Pop dopo la sua riscoperta. L’ambientazione poliziesca-notturna nella metropoli, i colori e soprattutto la colonna sonora strumentale, spesso più vicina al genere delle stesse opening/ending, sono ricchi di richiami al mondo City Pop nella sua più larga concezione di movimento culturale.
Il mix perfetto tra atmosfere City Pop e anime però ci viene da due serie che vengono accomunate da un’artista, Meiko Nakahara, musicalmente protagonista in entrambe: stiamo parlando di Dirty Pair e Kimagure Orange Road.
In Dirty Pair, spiritualmente vicino a Occhi di Gatto, la Nakahara canta l’iconica sigla, mentre in Kimagure Orange Road (non lo chiameremo mai Capricciosa Orange Road, ndr.) è la ending Dance in the Memories a rappresentare il genere, insieme ad un’intera colonna sonora che svaria tra il Pop classico, un albore di J-Rock e, ovviamente, tanto City Pop. Sempre in Dirty Pair invece, nello specifico il film Project Eden, è Safari Eyes a trasportarci nelle atmosfere del City Pop, un’altra grande traccia dell’indimenticabile Miki Matsubara.
Come questi citati anche altri anime hanno interpretato alla perfezione l’idea di City Pop e la cultura che questo genere ha sprigionato a livello musicale ed estetico, rendendo questa corrente estremamente appetibile al pubblico che, inaspettatamente, se lo è ritrovato davanti trent’anni dopo grazie ad un algoritmo di YouTube.
Sicuramente il City Pop, grazie alle sue voci indimenticabili, le atmosfere che trasmette e la nostalgia intrinseca nella sua musica, avrebbe avuto successo a prescindere, una volta riemerso dal dimenticatoio. Innegabile però che l’averlo legato alla cultura anime, soprattutto quella delle serie vintage, abbia notevolmente potenziato il suo impatto sul bacino d’utenza che era pronto ad accoglierlo, propenso a legarlo alle immagini delle strade e dei grattacieli di una Tokyo anni ’80 e della magical girl più aesthetic di sempre.
La parabola del City Pop è uno di quei fenomeni affascinanti che solo l’internet poteva restituirci. Un genere sepolto riscoperto per un algoritmo, diventato simbolo di un tempo passato, di una cultura idealizzata di uno dei paesi più affascinanti del mondo.
Ma la rinascita del City Pop è soprattutto la riscoperta di artisti che altrimenti sarebbero finiti nel dimenticatoio. Una coincidenza capace di dare nuova vita a voci come Anri e Mariya Takeuchi, simboli di quel decennio, e di far rivivere artisti come Miki Matsubara, all’epoca passata quasi sottotraccia ora simbolo del movimento con la sua Stay With Me.
Credo fortemente che, in tutto questo strano fenomeno, la crescita esponenziale della passione per la cultura giapponese in occidente abbia giocato un ruolo cruciale. La musica City Pop si è legata spesso ad una concezione di un Giappone vintage che ha stregato gli ascoltatori d’oltreoceano, e lo stesso vale anche per il mondo dell’animazione. Anime come Orange Road e City Hunter sono diventati veicolo della riscoperta del City Pop, manifesti dell’animazione di quel periodo e mezzo di propaganda della rinascita di questo genere attraveso le proprie immagini.
Il City Pop è un dono che l’internet ci ha fatto e che altrimenti avremmo dimenticato per sempre. Un genere di cui dobbiamo far tesoro per riscoprire una musica passata ma affascinante e intramontabile, fatta di artisti iconici e melodie capaci di trasportarci indietro nel tempo che vanno ben oltre un remix Lo-Fi e il sample per Tik Tok.
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