Il progetto remake di Final Fantasy 7 continua il suo viaggio attraverso l’ignoto sia per i protagonisti, che per i videogiocatori che pensavano di conoscerne a menadito le vicende, i quali invece, faranno i conti con alcuni significativi cambiamenti. Square Enix sarà riuscita a rispettare il titolo originale, adattandolo ai tempi moderni? Scopriamolo in questa recensione di Final Fantasy 7 Rebirth!
Un sequel diretto di un progetto concepito come trilogia, non può che ripartire esattamente da dove si era interrotto nel primo titolo, giusto? Quasi! Final Fantasy 7 Rebirth ci riporta per prima cosa nel passato, per vivere quel “ricordo” che risulta ancora una volta l’elemento cardine dell’epopea che ci offre questo titolo, dove le vite della maggior parte dei personaggi principali si intrecciano senza allontanarsi mai più.
Il ricordo di Cloud della visita a Nibelheim, insieme all’eroe Sephiroth, e l’escalation drammatica di quegli eventi, sembrano voler rimarcare la volontà di voler percorrere gli stessi passi del titolo originale, o almeno partire dalle stesse basi.
Al contrario del suo predecessore, che concettualmente sembrava accompagnarti per gran parte dell’avventura attraverso un lungo corridoio con poche biforcazioni sia dal punto di vista del gameplay che di trama, Final Fantasy 7 Rebirth setta subito un tono, e un concept, totalmente diverso da Remake.
Lo fa attraverso un open world studiato per farti perdere spesso la strada principale, o attraverso degli snodi di trama sapientemente inseriti all’interno della quest principale stessa, che aggiungono elementi di lore che nel progetto originale erano stati affrontati solamente nell’universo espanso. E lo fa, anche e soprattutto negli atti finali, andando gradualmente ad approfondire elementi di trama, e ad aggiungerne di nuovi, che in Remake erano invece piombati senza preavviso alcuno, lasciando sgomenti i videogiocatori.
Final Fantasy 7 Rebirth accompagna in un viaggio che va sicuramente alla ricerca dell’essenza del titolo originale che in tantissimi hanno amato negli anni ’90, ma prepara sin da subito all’ignoto, a scoprire elementi importanti del world building, ad approfondire la psiche di alcuni personaggi, a dar finalmente la giusta luce a delle backstory che non hanno nulla da invidiare alla trama principale e che, anzi, fanno ancor più da cassa di risonanza per diffondere anche in epoca moderna il mito di Final Fantasy 7.
Ho voluto iniziare subito con questo cappello iniziale, poiché è lo stesso gioco che sembra subito voler avvisare di ciò. Una raccomandazione a non pensare di conoscere già tutto, o essere convinti di ripercorrere gli stessi passi del passato, ma un invito a perderti in questo open world, di ritrovarti in alcuni luoghi ed eventi familiari, per poi ributtarti nuovamente nell’ignoto. Tutti gli elementi di questo videogame di cui parlerò ruotano intorno a questo importante concetto, talvolta anche esasperato, ma che è imprescindibile tenere a mente affrontando questa avventura e leggendo questa recensione stessa.
Onestamente ero davvero spaventato dal dover affrontare l’ennesimo open world fatto di aree sconfinate ma senza alcun utilità, su cui macinare chilometri per andare da un punto all’altro. Final Fantasy 7 Rebirth mi ha stupito in positivo. Square Enix è riuscita in un’impresa assolutamente non scontata, ovvero dare vita a dei luoghi iconici, che sino ad ora potevano essere solo immaginati dai videogiocatori del titolo originale. Le regioni visitabili sono sì enormi, forse comunque troppo, ma sono studiate, anche tramite le varie attività secondarie dedite al completamento delle varie aree, per generare curiosità e voglia di esplorazione.
La sensazione è che tutte le regioni abbiano una vera e propria personalità. Concetto su cui ci si può riflettere a fondo, considerata la forte volontà di vedere la Terra di Final Fantasy 7 come qualcosa di vivo, senziente, che lotta per la propria sopravvivenza. Questo elemento era stato solo accennato nel primo titolo, mentre punta prepotentemente a pervadere la trama principale in questo sequel.
Tralasciando il lavoro certosino nell’andare a creare biomi differenti con un livello tecnico di prim’ordine, ciò che dona vita a tutte queste regioni sono proprio alcuni elementi peculiari, a cominciare dalle modalità di attraversamento di esse. Quasi ogni area esplorabile, è abitata da razze differenti di Chocobo, i quali non si limitano a cambiare qualche dettaglio estetico, ma sono studiati per avere caratteristiche peculiari utili a superare i sentieri più impervi. Ci ritroveremo a scalare rocce, planare lungo canyon o a ”surfare” sull’acqua, utilizzando le mitiche mascotte dei Final Fantasy in modi mai sperimentati prima.
Grazie ad alcune ricerche sul campo, sarà possibile anche capire la lore di ogni singola area. Dati sulla flora, la fauna o sulla situazione geopolitica della Regione, che quasi sempre ci darà informazioni importanti sui tempi della Repubblica, prima dell’egemonia della compagnia Shinra. Anche gli Esper sono ben inseriti nella lore delle singole regioni. Essi sono quasi sempre presentati come protettori di queste aree, venerati o temuti da secoli dagli abitanti del posto. Portatori di benefici, sciagure o di protezione contro i nemici.
Ogni Regione ha almeno una città che farà quasi sempre da hub centrale, dove, oltre ad ospitare i principali snodi della trama principale, conterrà tutta una serie di missioni secondarie e attività peculiari. Le stesse missioni secondarie sono studiate per andare sia ad approfondire alcune dinamiche del posto, sia per dar luce ad un personaggio in particolare del party, che trascinerà il sempre poco propenso Cloud in mini-avventure che influenzeranno anche il legame tra il Soldier e i suoi compagni di viaggio, elemento importante per alcune attività da svolgere in mid-game.
Le varie Regioni visitabili risultano decisamente l’elemento preponderante che riesce a rendere questa seconda parte della trilogia piena di attività da svolgere. Risultano sicuramente l’elemento che più spinge a deviare dalla trama principale per vivere a pieno il mondo di Final Fantasy 7. La sensazione di perdersi nell’ignoto è altissima, e le moltissime attività che si possono svolgere alimentano questa sensazione. Alla lunga però questa formula soffre dei classici problemi degli open world.
Per quanto le regioni siano state sapientemente diversificate tra loro, le tipologie di attività da svolgere invece risultano sostanzialmente sempre le stesse. Le missioni secondarie più importanti sono studiate per non tediare troppo il giocatore, ma vi è tutta una serie di fetch quest che invece fanno l’opposto. In generale, alla lunga, si avverte tanto il peso della ripetizione di alcune dinamiche che rallentano il ritmo di una trama principale che inizia ad ingranare sempre più, che nessuno si sognerebbe di spezzare per raccogliere qualche fiorellino o risolvere l’ennesima diatriba tra compaesani.
Menzione a parte va fatta per i minigiochi. Il titolo originale è stato amato anche per tutta una serie di minigiochi iconici, anche grazie ad un luogo anch’esso diventato iconico e l’emblema di queste attività, ovvero il Gold Saucer.
Ebbene, anche in Final Fantasy 7 Rebirth, il Gold Saucer risulta essere sia un luogo fondamentale per la trama principale, ma anche il paradiso dei minigiochi, su cui ci si potrà cimentare nelle lotte virtuali, le corse su chocobo e sulle moto, così come a sfide di livello avanzato del minigioco decisamente più riuscito del titolo, ovvero Regina Rossa. Un gioco di carte che si potrebbe considerare un vero e proprio gioco nel gioco, capace di intrattenere lungo tutta l’avventura grazie ad una semplicità di approccio ma ad una difficoltà sempre più alta per specializzarsi al meglio, battendo tutti gli avversari.
La volontà di Final Fantasy 7 Rebirth è quella di restituire al giocatore un viaggio che va a cementare i rapporti tra tutti i personaggi principali. Rapporti che abbiamo già visto progredire nel primo titolo, ma che in questa fase della trilogia iniziano a sbocciare per davvero. Il gameplay stesso, utilizza questa volontà del team di sviluppo per migliorarsi, puntando proprio alle sinergie tra i vari componenti del party.
Alla base vi è l’ottimo sistema di combattimento del primo titolo, fatto di un ibrido tra action e strategia a turni, che ancora oggi costituisce uno dei combat system più innovativi ed apprezzati sia per la saga di Final Fantasy, che nel mondo videoludico generale. Ad esso sono state apportate parecchie migliorie, utili sia a diversificare e rendere più spettacolari gli scontri, sia a risolvere alcune sbavature e limiti della precedente versione di questo sistema.
Grazie ad un sistema di sinergie e combinazioni, sin da subito sarà possibile concatenare i vari stili di combattimento dei vari personaggi, per effettuare delle azioni sinergiche in tempo reale. Nel momento in cui con il leader si terrà premuto il tasto della parata, apparirà a schermo un nuovo menù dove si potranno concatenare delle azioni con gli altri membri attivi del party.
Grazie alle peculiarità di ogni personaggio, questo sarà davvero utile per uscire da situazioni pericolose. Ad esempio Tifa potrà essere sparata in aria per raggiungere nemici volanti, o Aerith potrà essere protetta da Cloud o Barret mentre lancia incantesimi. Allo stesso modo Red verrà in soccorso del compagno allontanando i nemici da esso.
Le combinazioni sono tante e vanno sbloccate tramite il ramo abilità presente nel menù, che si amplierà con l’aumento di livello dei vari personaggi del team. Queste interazioni alimenteranno anche la possibilità di poter eseguire una finisher in combinazione tra due personaggi. Essa avrà sia lo scopo di massimizzare il danno inflitto, ma a seconda della tipologia di azione scelta, fornirà anche bonus temporanei alla squadra, come l’annullamento del costo dei PM, o un aumento in difesa o attacco.
Sfruttare questo gameplay ancor più dinamico, riuscire a costruire un team sufficientemente variegato, sfruttare le sinergie giuste per tirare giù i nemici più ostici, per poi finirli con le classiche tecniche Limite ereditate dal primo titolo, dona un livello di divertimento di assoluto prim’ordine, che riuscirà a tenervi incollati allo schermo anche nello scontro più banale.
Il culmine del gameplay verrà sicuramente mostrato tramite le tante boss battle che andranno superate durante il gioco, così come a tante altre sfide opzionali, anche più ostiche di quelle offerte dalla trama principale, che sarà possibile trovare in giro per il mondo, o che il buon Chadley ci fornirà tramite l’arena virtuale. Final Fantasy VII Rebirth andrebbe comprato anche solo per questo combat system che di certo non delude, e ancora una volta si pone come trend setter almeno per la saga a cui appartiene.
Non mancano comunque delle sbavature che ogni tanto possono generare frustrazione. In generale vi è ancora un problema con i nemici volanti, che spesso spezzano la frenesia dell’azione anche i modi per raggiungerli in volo sono certamente aumentati. Spesso invece vi è il problema opposto, con un grande numero di elementi a schermo, tra nemici, effetti particellari e le tante azioni commesse dai personaggi, si fa fatica a seguire l’azione, compromettendo spesso la possibilità di poter effettuare schivate e parate al tempo giusto per ottenere dei bonus della carica ATB, o semplicemente non si riesce a capire gli attacchi nemici, venendo colpiti alle spalle senza poter avere il tempo di reagire.
Alla grande fluidità del combat system, va però aggiunta la rigidità di tutti gli altri elementi che compongono il gameplay. Dal punto di vista del sistema di movimento e dell’interazione con i vari elementi presenti nell’open world, Final Fantasy 7 Rebirth soffre di una rigidità e di pecche anche gravi a parere di chi vi scrive. Il sistema di movimento non si discosta tanto rispetto al primo titolo, e per quanto sia stata aggiunta la possibilità, a detta loro, di avere un parkour in grado di superare gli ostacoli del mondo che ci circonda, la resa è davvero di poca qualità.
Ci troveremo spesso a scontrarci con muri invisibili prima che parta l’animazione di parkour, o di bloccarci completamente pensando di poter scalare qualcosa che invece non è stato contemplato da questo sistema. Alcuni elementi a schermo ci aiuteranno a capire con cosa è possibile interagire o no per la traversata, ma tutto il resto è lasciato alla scoperta del giocatore, che in questo caso risulterà spesso frustrato dalla poca fluidità di tutto il sistema di movimento che va ad impattare negativamente sul flow del gioco.
E se per velocizzare il tutto volete puntare sui mitici Chocobo, state pronti a vivere delle situazioni esilaranti, per essere buoni, anche insieme a loro, che sembrano essere i più frustrati di tutti quando sbattono senza motivo su un muro invisibile, bloccandosi.
Ad esso va aggiunta la tendenza tipicamente nipponica, a rendere tediose tutte le interazioni con elementi come porte, leve, funi, pareti da scalare ed elementi simili. La sola pressione del tasto di interazione ha un pacing assurdamente lento, e anche tutte quelle fasi in cui c’è qualche elemento da spostare, o da utilizzare per creare una via di attraversamento, risultano essere di una lentezza inspiegabile, che mina il ritmo del gioco in una maniera decisamente importante. Questo è un difetto che non è stato corretto e che, anzi, con l’enorme aumento delle interazioni dato dall’open world, è solo che peggiorato.
Per parlare di ciò che ci offre Final Fantasy 7 Rebirth sul versante del racconto, non possiamo che partire da quell’immagine shockante del primo titolo, con uno Zack Fair incredibilmente vivo, che porta in spalla Cloud Strife gravemente intossicato dalla Mako, raggiungendo la Midgar che invece il gruppo sembrava star lasciando proprio in quel momento. Un gioco registico che aveva sicuramente incuriosito i videogiocatori, ma che aveva fatto storcere il naso a molti, nell’attesa di capirci qualcosa in più su questo aspetto.
Ebbene, senza fare alcuno spoiler di sorta, possiamo affermare che è proprio il personaggio di Zack Fair ad essere utilizzato per spiegare la maggior parte delle novità di trama di questo progetto remake. Il problema però sta tutto nel come. La sensazione è che tutto culminerà, ovviamente, col terzo titolo che darà una conclusione, forse, a tutte le vicende. Ma le modalità con cui sono stati raccontati tali elementi risultano estremamente cervellotiche e che lasciano spazio solo a teorie di sorta.
Per il resto, la maggior parte del viaggio che si intraprende in Final Fantasy 7 Rebirth va a riprendere di pari passo la sezione di trama raccontata nel titolo originale, espandendola in maniera anche piuttosto intelligente, sempre con quella volontà di scoprire qualcosa in più della lore dei personaggi e del mondo che li circonda, così come cementare l’affiatamento del gruppo. Durante le nostre traversate, vivremo tantissimi momenti di interazione tra i vari membri del team, che ci faranno senza dubbio affezionare sempre più a questo variegato gruppo di personaggi, ognuno con una propria personalità, degli scopi, un passato da scoprire ed un futuro da scrivere insieme ai propri compagni.
Continua anche l’ottima tendenza nel dare intere sezioni di gameplay a personaggi specifici, in modo da utilizzarli in prima persona per il completamento di sottotrame che, in questo titolo, diventano invece parte integrante del racconto principale. Tutti, o quasi, riescono a far emergere al massimo potenziale la propria personalità e tutte le peculiarità che li hanno resi iconici sin dal titolo originale.
Ci ritroveremo spesso a ridere quando Yuffie prende in giro Barret, o ad ascoltare incuriositi Red che offre tante informazioni utili ad Aerith, ragazza di città che sino a quel momento non era mai uscita da Midgar. Tifa avrà sempre un occhio di riguardo verso un Cloud dalla mente sempre più a pezzi, mentre cementa la propria amicizia con Aerith, un elemento su cui gli sviluppatori hanno dichiarato di voler fortemente porre l’accento, per andare a correggere delle lacune che il titolo originale si portava dietro ormai da quasi 30 anni.
Vivremo anche tantissimi momenti dalla fortissima carica emozionale, che vedranno coinvolti quasi tutti i personaggi principali del team, che aiuteranno il videogiocatore a sentirsi quasi parte del gruppo e a gioire e soffrire insieme a loro.
Questo titolo è reso davvero forte da un mix di elementi decisamente ben riusciti, e uno di questi è proprio la capacità del team di sviluppo nell’esser riuscito a dare a tutti i membri del gruppo il giusto spot per brillare di luce propria. Il racconto è epico, emozionante, adrenalinico e approfondito al punto giusto tanto dal renderlo iconico proprio come il progetto originale. In questo discorso vale ovviamente la pena specificare che anche il finale fa parte di questa considerazione, al netto della maniera con cui viene messo in scena e dalle implicazioni che porterà in futuro.
A parere di chi vi scrive, ci troviamo davanti ad un finale sicuramente valido, ma davvero carico di elementi che lasciano spiazzato il videogiocatore, ancor più rispetto al primo titolo. Anche se durante tutto il gioco si viene preparati a ciò che potrebbe succedere, la messa in scena è così volutamente caotica, misteriosa, piena di elementi dalla difficile interpretazione, che ci si ritrova letteralmente in balia di eventi che si fa fatica a metabolizzare sul momento.
La sensazione di confusione è sicuramente mitigata dalle battaglie finali, decisamente epiche per messa in scena e una OST che, già di qualità decisamente altissima durante tutto il gioco, raggiunge picchi di perfezione tali da meritare una menzione in questa recensione. Qualche purista del titolo originale sicuramente vedrà tutto ciò con scetticismo, ma nell’analizzare un videogame che deve funzionare in epoca moderna, partendo da una base così solida, non mi sento di criticare alcuni cambiamenti di trama che potrebbero portare ad un racconto di certo differente in alcuni elementi, ma che non sottrae nulla al titolo originale, e che lo sta già omaggiando in maniera egregia, per poi prendere una strada differente con buona pace di tutti.
In conclusione, Final Fantasy 7 Rebirth si colloca ancora una volta come parte del progetto più riuscito a tema Final Fantasy degli ultimi anni. Il team di sviluppo riesce ancora una volta a migliorare un combat system già di grandissima qualità, e di omaggiare il titolo originale approfondendo tantissimi temi nei riguardi del world building e delle backstory dei vari personaggi.
Le pecche più importanti riguardano un gameplay al di fuori del combattimento troppo rigido, e delle abitudini nelle interazioni con gli elementi del mondo di gioco ormai desuete, così come un finale che ancora una volta creerà divisioni. Siamo comunque davanti ad un titolo straordinario, dall’open world di una qualità su cui ormai era difficile sperare vista la crisi del genere, e che offre tantissime ore di divertimento assicurato. Buon viaggio a tutti, ma attenti a non perdervi nell’ignoto.
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