“I Videogiochi sono opere d’arte”
Indissolubilmente schiavizzati da questa loro riduttiva terminologia, i videogiochi sono sempre stati correlati ad aspetti di vita quotidiana meramente ed esclusivamente ludici, che “servono” il proprio pubblico con passeggeri intrattenimenti perditempo. Se fossero stati definiti come “Opere Multimediali” sin da subito forse non sarei qui a scrivere quest’articolo a cuore aperto. Tuttavia, col passare del tempo, una consapevolezza maggiore potrebbe finalmente aver raggiunto l’animo anche dei più irriducibili detrattori.
Nel vasto panorama dei medium contemporanei, i videogiochi stanno iniziando ad affermarsi come una forma d’arte unica e coinvolgente. Oltre alla loro natura interattiva, che permette ai giocatori di assumere un ruolo attivo all’interno di un mondo virtuale, essi offrono una profonda esperienza narrativa: attraverso la combinazione di elementi visivi, sonori e interattivi, queste novelle opere d’arte hanno la capacità di immergere i giocatori in un contesto prezioso e affascinante.
L’immersione artistica in mondi fantasiosi, ricchi di significato e insegnamenti morali, è evidente grazie a un nuovo comparto di sviluppo che, pian piano, sta andando a diffondersi sempre di più nelle dimensioni aziendali più o meno variegate: quello del Narrative Design. La narrazione è un’ingrediente fondamentale nell’arte espressiva. L’arte ha lo scopo di esprimere o trasmettere contenuti profondi attraverso l’estetica e la narrazione. Metaforicamente parlando, l’estetica è rappresentata dagli elementi costitutivi dell’opera d’arte e la narrazione è il cemento tra i vari “blocchi”, il modo in cui questi sono organizzati.
“La narrazione crea relazioni e coerenza tra gli elementi dell’opera, ne costituisce la logica; è un principio organizzativo che consente la trasmissione dei contenuti più o meno profondi.”
La narrazione quale componente artistica, che dà valore all’arte, non nasce esclusivamente come semplice scrittura di una sceneggiatura articolata: nello specifico, la narrazione ambientale e la scenografia all’interno dei videogiochi stanno assumendo un ruolo sempre più centrale. La narrazione ambientale si riferisce a quella parte della storia che viene raccontata attraverso l’ambiente di gioco stesso, senza ricorrere necessariamente a dialoghi o a sequenze di eventi lineari. È una forma di narrazione che sfrutta l’interazione tra il giocatore e l’ambiente virtuale, fornendo indizi visivi e sonori che contribuiscono a costruire una storia complessa e coinvolgente.
La scenografia, d’altra parte, è un elemento fondamentale nel creare un mondo di gioco credibile e suggestivo. Attraverso l’uso di grafica avanzata, illuminazione accurata e una progettazione attenta dei dettagli, gli sviluppatori possono creare ambienti realistici o fantastici che catturano l’immaginazione del videogiocatore. La scenografia non solo serve a fornire uno sfondo visivo, ma contribuisce anche a trasmettere emozioni, suggerire una storia più ampia e rendere il mondo di gioco più immersivo.
Esploreremo alcuni esempi di videogiochi che hanno sfruttato in modo efficace queste componenti artistiche per offrire esperienze appassionanti. Esamineremo come i dettagli ambientali, come oggetti posizionati strategicamente, graffiti, diari o registrazioni audio, possono trasmettere informazioni sulla trama o sviluppare personaggi in modo sottile ma potente. Analizzeremo inoltre come la scenografia può essere utilizzata per creare una forte atmosfera emotiva, per trasportare il giocatore in mondi fantastici o per immergerlo in ambienti storici accuratamente ricostruiti.
Discuteremo dell’impatto che la narrazione ambientale e la scenografia possono avere sull’esperienza di gioco nel suo complesso. Esploreremo come questi elementi possono influenzare l’immersione del giocatore, la sua connessione emotiva con il mondo di gioco e la comprensione della trama. Inoltre, rifletteremo sulla capacità dei videogiochi di sfidare le convenzioni narrative tradizionali e di aprire nuove possibilità creative attraverso l’uso innovativo della narrazione ambientale e della scenografia.
Il fine ultimo è quello di evidenziare l’importanza e la potenza dell’arte e della narrazione; come questi aspetti possono contribuire a creare esperienze di gioco indimenticabili, trasformando i videogiochi in un medium artistico unico che va al di là dell’intrattenimento, raggiungendo livelli altissimi di profondità ed emotività.
La bellezza artistica di cosa si configuri come “narrazione” è, da tempo immemore, rinvenibile nelle raffigurazioni storiche più antiche in assoluto. È la forma più antica e diffusa di comunicazione. La vita di ognuno di noi, così come la storia, è frutto di una sequenza temporale ordinata di eventi: ordinare accadimenti di varia natura in sequenze (siano esse temporali, lineari o spaziali) è la base dell’ars narrandi.
Gli esseri umani raccontano storie fin dai tempi antichi attraverso sculture rupestri, graffiti, geroglifici, comunicazione orale, dramma, libri; oggi attraverso fumetti, film e videogiochi, l’ultima frontiera della narrazione (interattiva).
Lo storytelling è sempre stato uno degli elementi più importanti nel “connettere” gli esseri umani, gli uni con gli altri. Le storie potenti, che ci facciano “pensare” o “sentire”, “immaginare” o “ricordare”, ci rendono consapevoli del nostro carattere unico e della nostra esperienza umana condivisa; sono un ingrediente indispensabile per “fare arte”.
Qualsiasi opera d’arte che si rispetti, dal lato narrativo, contiene sempre una storia ricca di importanti messaggi che, spesso e volentieri, passano in secondo piano. Indipendentemente dalla natura esteriore di un’opera, sia essa “statica” o meno, intrinsecamente possederà sempre un’allegoria e un simbolismo tali da trasmettere all’osservatore forti flussi sensoriali ed emotivi.
Ad esempio, le opere d’arte statiche, come i dipinti, offrono una forma di narrazione visiva unica che permette agli spettatori di immergersi in una storia senza l’uso di parole o movimento. Una esemplificazione straordinaria di come la narrazione possa essere veicolata attraverso un dipinto è “Guernica” di Pablo Picasso. Quest’opera iconica, realizzata nel 1937, rappresenta una testimonianza potente e commovente degli orrori della guerra e della violenza umana.
Uno degli elementi chiave della narrazione in “Guernica” è l’uso simbolico delle immagini. Picasso utilizza una serie di simboli visivi per rappresentare il terrore e il dolore causati dalla guerra. Ad esempio, il toro e il cavallo, che sono elementi ricorrenti nella sua opera, assumono un significato allegorico in “Guernica“. Il toro rappresenta la brutalità e la violenza, mentre il cavallo ferito simboleggia la sofferenza e la disperazione. Questi simboli trasmettono un messaggio universale che va oltre il contesto specifico del bombardamento di Guernica, invitando gli spettatori a riflettere sulla natura distruttiva della guerra stessa.
Inoltre, l’uso del colore e della composizione nel dipinto contribuisce alla sua narrazione emotiva. Picasso utilizza una palette di colori freddi, come il grigio, il bianco e il nero, per creare un senso di desolazione e tristezza. Le linee e le forme angolari, tipiche dello stile cubista dell’artista, evocano il caos e l’instabilità dell’evento rappresentato. La composizione del dipinto è strutturata in modo da guidare lo sguardo dello spettatore attraverso gli elementi chiave della scena, enfatizzando la drammaticità dell’immagine e la narrazione dietro di essa.
Un’altra caratteristica distintiva è la capacità di evocare emozioni intense negli spettatori. L’opera riesce a trasmettere un senso di angoscia, disperazione e impotenza di fronte alla violenza e alla distruzione. Attraverso le immagini forti e la composizione drammatica, Picasso crea una connessione emotiva tra l’opera e lo spettatore, suscitando compassione e indignazione per le vittime della guerra.
“Guernica” è una testimonianza tangibile del potere narrativo e comunicativo delle opere d’arte statiche, dimostrando che possono evocare emozioni, creare connessioni e trasmettere messaggi universali senza bisogno di parole.
“Guernica” rappresenta un esempio straordinario di narrazione in un’opera d’arte statica. Attraverso l’uso simbolico delle immagini, il colore e la composizione, l’artista è stato in grado di trasmettere una storia complessa senza l’uso di parole o movimento. Il dipinto crea un’impressione duratura sugli spettatori, invitandoli a riflettere sulla violenza e sulle conseguenze devastanti della guerra.
Per quanto fossero essenziali gli sfondi del mondo immaginato, la narrazione del “circostante” all’interno di un dipinto è sempre stato relegato allo sforzo immaginativo e critico dell’osservatore. Non che questo fosse un problema: creare uno stimolo nella mente di chi osserva è sempre una sfida ardua per l’artista che pone la sua arte come mezzo per trasmettere “un qualcosa”. Questo può rappresentare una serie di valori, idee, ambizioni, conoscenza…
Tuttavia, come qualsiasi corrente culturale, la narrazione quale componente artistica non rimase immobile dinanzi al cambiamento dei tempi: come la maggior parte delle cose, essa cominciò a evolversi fino a raggiungere nuovi livelli di rappresentazione e interpretazione. Il “contorno” che alimenta l’immersione dell’immaginario, proposto a qualsivoglia osservatore, viene reso parte integrante della nuova narrazione “moderna” che sempre di più andava sviluppandosi all’interno dei cinematografi. Questa nuova aggiunta narrativa che alimenta l’effetto sinestetico del pubblico è la scenografia. Questa è un’arte che consiste nell’ideazione di elementi visivi e sonori in uno spettacolo tipicamente cinematografico e/o teatrale.
La narrazione scenografica (o ambientale) è un aspetto fondamentale nella cinematografia, che permette ai registi di trasmettere storie articolate attraverso l’uso creativo dell’ambiente e della “messa in scena”. Attraverso l’uso di location, decorazioni, luci, colori e oggetti di scena, i registi possono creare mondi visivi che svolgono un ruolo attivo nella narrazione e nell’esperienza emotiva dello spettatore.
Un esempio straordinario dell’utilizzo della narrazione ambientale e scenografica è il film “Blade Runner” diretto da Ridley Scott nel 1982. Questo film di fantascienza distopica crea un mondo futuristico cupo e affascinante attraverso una combinazione di ambienti urbani decadenti, luci al neon, pioggia costante e un design di produzione altamente dettagliato. L’ambientazione stessa diventa un personaggio centrale, trasmettendo un senso di oppressione e di isolamento, e contribuendo a creare un’atmosfera tetra e inquietante. La scenografia accurata e innovativa di “Blade Runner” contribuisce a definire il mondo in cui si svolge la storia e a comunicare temi complessi come l’alienazione umana e la de-umanizzazione delle grandi città.
Un altro esempio notevole di narrazione ambientale e scenografica è il film “Il grande Gatsby” diretto da Baz Luhrmann nel 2013. Questa trasposizione cinematografica del romanzo di F. Scott Fitzgerald è famosa per il suo design sontuoso e sfarzoso. La scenografia ricrea l’epoca del “Jazz Age” degli anni ’20, con sfarzose feste, abiti lussuosi e ambienti opulenti. Questo ricco contesto scenografico contribuisce a trasmettere il tema del sogno americano, delle illusioni e delle disillusioni dei protagonisti. Le ambientazioni lussuose e i dettagli visivi elaborati rappresentano una narrazione visiva che sottolinea la vanità e la corruzione dietro la facciata scintillante della società dell’epoca.
Un terzo esempio significativo è il film “Inception” diretto da Christopher Nolan nel 2010. La narrazione ambientale e scenografica in questo film di fantascienza onirico è utilizzata per creare mondi dentro mondi, dove la realtà e l’illusione si intrecciano. L’uso di scenografie surreali e ambienti labirintici contribuisce a comunicare la natura fluida e sfuggente del mondo onirico del film. Le ambientazioni mutevoli, i dettagli architettonici intricati e le transizioni fluide tra le diverse realtà creano un senso di incertezza e di tensione narrativa, avvolgendo lo spettatore in un’esperienza cinematografica coinvolgente e avvincente.
Questi esempi dimostrano l’importanza della narrazione ambientale e scenografica nella cinematografia. Attraverso l’uso accurato e creativo dell’ambiente, dei dettagli visivi e della scenografia, i registi possono influenzare l’atmosfera emotiva, comunicare temi complessi e coinvolgere lo spettatore in modo profondo. La narrazione, insieme all’ausilio scenografico, diventa uno strumento potente per trasmettere non solo la storia principale del film, ma anche sotto-trame, emozioni e sfumature che contribuiscono alla complessità e alla profondità dell’opera cinematografica.
Come per il suo parente più stretto, il “videogioco” è altrettanto improntato alla diffusione di mondi immaginari che, virtualmente e interattivamente resi, immergono il videogiocatore in fantastiche storie e narrazioni avvincenti quanto moralmente significative. Gli strumenti della direzione degli sviluppatori sono i medesimi di quelli di un regista. In particolare, è bene soffermarsi sul ruolo sempre più rilevante che sta assumendo lo specifico reparto della direzione artistica. Quella del direttore artistico è la figura responsabile della parte visiva del gioco, a 360°. Deve essere in grado di coordinare il lavoro delle risorse che si occupano, primariamente, di grafica e animazione.
Vari sono i ruoli necessari per lo sviluppo di un videogioco. Tuttavia, dal lato “narrazione” quelli di maggior interesse rimangono, ugualmente al caso delle pellicole cinematografiche, quelle dello sceneggiatore (o anche “videogame writer”) e lo scenografo (o anche “videogame artist/designer”). Per elevare e rispettare la narrazione al fine di preservarne la coerenza, è strettamente necessario che queste due figure collaborino in modo intenso e coordinato.
Occorre fare un po’ di chiarezza. Spesso si tende a confondere la figura del direttore artistico con quella del “game designer”. È più che ragionevole questa confusione, anche perché la maggior parte delle volte i due ruoli sono facce della stessa medaglia: infatti accade che la direzione artistica si occupi anche di game design. Tuttavia se parliamo di narrazione, le due figure sono ben diverse e, dunque, occorre distinguerli per il loro diverso approccio in materia di componenti artistico-espressive: sceneggiatura, scenografia e design narrativo.
Il Game Design è una forma di narrazione?
Sì, ma è una forma di narrazione debole!
Sviluppare un mondo o un contesto virtuale è una sorta di narrazione implicita; i progettisti devono definire strutture, ambienti, scenari, luoghi, oggetti, persone, creature, ecc. e organizzare, mettere in relazione e collegare tali elementi tra loro. È qualcosa di simile all’architettura: è un lavoro duro, prezioso e creativo, senza dubbi. Ma vivere un mondo con i suoi abitanti, le sue regole e la sua struttura non è sufficiente per un’opera che aspira all’arte espressiva. Molti sviluppatori e critici si fermano al game design, pensano che sia sufficiente per l’approvazione artistica di un videogioco.
ll design dei videogiochi può funzionare in assenza di una struttura narrativa evoluta di sicuro, proprio come nella maggior parte dei giochi tradizionali. Ma se vogliamo che i videogiochi siano riconosciuti come una forma d’arte, non possiamo respingere la narrazione, al contrario deve diventare il perno dell’esperienza. Ci fermiamo solo al paesaggio nei film per caso? Il paesaggio è una risorsa essenziale per la narrazione dei film, ma per un grande film si ha bisogno anche di una grande storia.
Molti esperti giustificherebbero e darebbero nobilitazione artistica a giochi principalmente incentrati su sfide e semplici interazioni in un mondo coerente e ben progettato. Non sono d’accordo. Dobbiamo sottolineare la differenza tra design e arte espressiva. Qualche anno fa il MoMA a New York esponeva giochi vintage e moderni come Super Mario, Donkey Kong, Pac-Man, Tetris, Marble Madness, Myst, Another World, Portal e Flow; dovevano essere intese come opere di design e non necessariamente come opere d’arte espressive.
La seguente dichiarazione dei curatori del MoMA non lascia dubbi:
“I videogiochi sono arte? Sicuramente lo sono, ma sono anche opere di design, e un approccio progettuale è quello che abbiamo scelto per questa nuova incursione in questo universo. I giochi sono selezionati come esempi eccezionali di interaction design, un campo che il MoMA ha già esplorato e coltivato ampiamente; è una delle espressioni più importanti e spesso discusse della creatività del design contemporaneo. I nostri criteri, quindi, enfatizzano non solo la qualità visiva e l’esperienza estetica di ogni gioco, ma anche molti altri aspetti: dall’eleganza del codice al design del comportamento del giocatore, che riguardano il design dell’interazione.”
Il design non è la stessa cosa dell’arte espressiva; è una caratteristica fondamentale di un’opera d’arte ma non è sufficiente per l’arte da sola.
Tuttavia, l’interazione con un ambiente ben progettato è un aiuto significativo per la narrazione; si chiama narrazione ambientale ed è strettamente correlata al design narrativo. La narrazione ambientale deve essere intesa come una delle tecniche narrative più adatte ai videogiochi, ma non l’unica. Può dare un aiuto essenziale insieme ad altri metodi; qualche volta si possono raccontare storie anche solo attraverso la narrazione e il design ambientale. Vediamo più nello specifico, con qualche esempio:
Analizzando superficialmente può sembrare che la gestione del “background” quale forte componente per il design narrativo di un’opera multimediale interattiva sia “roba da poco”: il coordinamento tra narrazione e messa in scena non è mai stato qualcosa di semplice. Senza dubbio, gli sviluppatori devono dedicare risorse e molta attenzione agli eventi in background; è un grande arricchimento per la narrazione, essenziale per la visione olistica, incollando la narrazione e la messa in scena. I giochi con sfondo statico risultano meno “vivi“.
La narrazione ambientale da sola non è sufficiente!
I videogiochi che non fanno uso esclusivo di “Environmental Storytelling”, tendono a porre la narrazione in background o in cutscenes, proprio come “attenuanti” per altri compiti principali che il videogiocatore è chiamato a svolgere: di solito sono sfide (combattimenti, sparatorie, platforming). Se si tende a raccontare una storia solo attraverso scene cinematografiche tagliate, si sta dando un ruolo secondario alla narrazione videoludica.
Il design e la narrazione ambientale sono le fondamenta della tela preparata per il vero dipinto, come scheletri architettonici che sostengono un enorme scultura narrativa che, pian piano, prende forma. Un bellissimo processo di narrazione artistica, che raggiunge la sua massima espressione attraverso combinazioni di mente e cuore in capo agli sviluppatori.
Gli sviluppatori devono riempire i mondi e le azioni dei giocatori con pathos, contenuti profondi, pensieri intelligenti, psichologie raffinate, sentimenti potenti, relazioni e dialoghi interessanti. Si ha bisogno di una struttura organizzata della narrazione per creare collegamenti originali, inestricabili e complessi tra personaggi ed eventi lungo la linea temporale. Tali collegamenti devono catturare e trascinare “cuore e mente” dei giocatori lungo l’intera esperienza. Il pubblico deve essere impegnato nelle storie, proprio come fa con i film e i libri; nessun problema se le storie non sono lineari come nei film di David Lynch. Se vi sono aspirazioni artistiche, è necessario sviluppare una narrazione raffinata per creare una visione globale emergente incollando contenuti ed estetica, pensieri e azioni. Si deve creare pathos bilanciando e mescolando colpi di scena emotivi lungo la linea temporale, proprio come farebbe un direttore d’orchestra.
Quindi, dobbiamo concentrarci su qual è lo scopo principale dei giocatori nel mondo di gioco, come potrebbero agire e cosa potrebbero fare. Sono soggetti e oggetto della loro interattività: stanno costruendo ed evolvendo psicologie ed evolvendo relazioni mentre interagiscono con altri personaggi? Stanno seguendo, scoprendo e contribuendo a costruire una trama in tempo reale, vivendo ogni evento come parte di una visione più ampia? Le loro azioni sono volte a far emergere alcuni contenuti più profondi? Stanno costruendo legami inestricabili tra eventi, personaggi, psicologie, luoghi, pensieri, azioni, sentimenti, emozioni e contenuti? Stanno girando e diventando parte di una rete complessa? O, al contrario, le sfide sono il loro scopo principale?
Se si vuole dare uno spazio e una rilevanza maggiore alla narrazione, devono essere i giocatori a portare avanti da soli le loro storie. Le loro azioni devono essere mirate alla storia e ai contenuti profondi che essa vuole trasmettere.
I videogiochi devono conquistarsi un ruolo primario all’interno dell’Arte.
La relazione tra “sfide” e “narrazione” all’interno dei videogiochi è stata un elemento cruciale che ha contribuito a creare sempre un’esperienza coinvolgente e soddisfacente per i giocatori. Le sfide non solo coinvolgono attivamente nel gameplay, ma possono anche essere intrecciate con la narrazione dell’opera stessa, dando vita a una sinergia dinamica che migliora l’immersione e la motivazione del pubblico.
Le sfide possono assumere diverse forme, come risolvere enigmi, sconfiggere nemici ostili, superare ostacoli ambientali o raggiungere obiettivi specifici. Queste sono progettate per essere raggiunte attraverso l’interazione del giocatore con il mondo di gioco e le sue meccaniche. Mentre si affrontano questi intricati percorsi, è come se ci si sentisse “incentivati” a superare gli ostacoli presentati e ad acquisire nuove abilità o potenziamenti per progredire nella storia.
“L’integrazione della narrazione con le sfide è fondamentale per fornire un significato e un contesto alle azioni del giocatore”
Le sfide possono essere incastonate all’interno della trama principale del gioco, consentendo così di sperimentare direttamente il conflitto e gli eventi chiave dell’intreccio narrativo. Ad esempio, spesso ci si trova ad affrontare una sfida impegnativa contro un boss nemico, che rappresenta un momento critico nella sviluppo narrativo di un videogioco: superandola, il giocatore avrà un impatto sulla storia stessa, potendo progredire verso nuovi scenari o rivelazioni.
Viceversa, anche la narrazione può essere utilizzata per motivare e guidare le sfide del gioco. Una trama coinvolgente può fornire al giocatore un obiettivo significativo da raggiungere, rendendo le sfide una parte essenziale del percorso narrativo.
Un esempio di ciò è la famosa serie “Dark Souls” di FromSoftware, famosa per il suo livello di difficoltà elevata. La narrazione tipica di questi titoli si basa su un mondo cupo e misterioso, in cui il giocatore assume il ruolo di un non-morto che deve sconfiggere vari nemici lungo tutto il suo percorso. Ogni boss nemico è direttamente o indirettamente legato alla trama, e nei panni del protagonista si è spinti a superare queste sfide per progredire nella storia e scoprire i segreti del mondo in cui si è immersi.
La serie in questione, targata FromSoftware, è anche e inevitabilmente uno dei migliori esempi per far valere il concetto di questo intero articolo: completamente assopito nel fantasioso e cupo mondo soulsiano, grazie all’accattivante interazione con faticosi ostacoli da superare, il videogiocatore tende sempre ad acuire i propri sensi al fine di poter meglio interpretare e vivere ogni singolo momento della narrazione, sia essa espressa o inespressa. Dark Souls è anche l’esemplificazione emblematica di come la narrazione scenografica possa essere l’unica variabile in grado di condurre l’intero filone narrativo verso i veri, nascosti segreti della trama principale. Le incredibili architetture del mondo di gioco, che sommergono i sensi, trasportano il videogiocatore in un intreccio narrativo che si pone oltre la stessa trama principale, suggerendo importanti legami con una sorta di pre-narrazione (lore) ricolma di dettagli importanti.
L’armoniosa interazione tra sfide e narrazione nei videogiochi migliora l’immersione del giocatore nel mondo di gioco. Quando le sfide si allineano con la trama e i temi di gioco, si viene a creare un complesso senso sinestetico, estremamente coinvolgente, che spinge il giocatore nel superare i vari ostacoli che si pongono dinanzi a lui, poiché emerge l’importanza e l’impatto di ciò che “sta costruendo”. Questo senso di coinvolgimento contribuisce a creare un’esperienza altamente significativa e memorabile: siamo noi, inconsapevolmente a costruire l’intero background narrativo, attraverso le azioni che intraprendiamo e le sfide che superiamo.
La relazione tra “sfide” e “narrazione” all’interno dei videogiochi è un’interazione essenziale per creare un’esperienza coinvolgente e appagante per i giocatori. Le sfide presentate si integrano con la narrazione, fornendo un significato e un contesto alle azioni del pubblico e permettendo una maggiore immersione nel mondo di gioco.
“Un’efficace fusione di sfide e narrazione può rendere il gameplay più coinvolgente ed emotivamente appagante, contribuendo a creare esperienze indimenticabili”
Diamo una rapida occhiata all’importanza delle narrazioni nella storia dei videogiochi. Dagli anni ’70 e ’80, gli sviluppatori erano consapevoli dell’importanza delle progressioni narrative all’interno delle loro creazioni; anche videogiochi come Space Invaders (1978) sono stati sviluppati con dei nuclei narrativi, seppur piccoli e semplicistici come prologo: il fulcro narrativo era incentrato sul salvare la Terra dalle invasioni aliene. Ovviamente il gioco non raccontava alcuna storia in modo esplicito: il giocatore era solo impegnato a sparare ai nemici.
Le cosiddette avventure testuali (The Oregon Trail (1971), Colossal Cave Adventure (1976), ecc.) avevano un nucleo narrativo più significativo, ma erano qualcosa di simile a Dungeon & Dragons. Il loro scopo era quello di intrattenere con normali sfide, espresse attraverso piccoli pezzi di narrazione assemblati con il meccanismo delle scelte multiple. È quella che si definisce “gamification” della narrazione: ci sono anche molti libri o fumetti che propongono tale meccanismo, ossia i cosiddetti libri “choose-your-own story”. Non è correttamente il modo in cui la narrazione interattiva può esprimere l’arte, certo. Ma un primo passo in avanti verso un’armoniosa esistenza di sfide e narrazione era comunque venuta a crearsi.
Le avventure grafiche punta e clicca rappresentavano il genere con le caratteristiche narrative più importanti: qui il compito principale del gameplay era risolvere dei puzzle. Una trama semplice e lineare era di solito confinata in documenti o in interludi scritti. I puzzle non erano sempre collegati alla storia, erano spesso un passatempo astruso e frammentavano e interrompevano il flusso della narrazione; si vedano le avventure di LucasArts, come Manic Mansion (1987) e Grim Fandango (1998), o Syberia (2002, Microids).
A partire dagli anni ’90, la diffusione dei CD-ROM, e successivamente dei DVD-ROM, ha permesso l’inserimento delle prime scene cinematografiche; questo è stato un grande passo avanti. Sviluppatori come Hideo Kojima hanno dato un grande respiro narrativo ai loro titoli. Ma era più un accoppiamento tra cinema digitale e videogiochi. E anche oggi non è così diverso: nella maggior parte dei giochi d’azione o di avventura, la storia è confinata in cutscenes ed è per lo più distaccata dal gameplay, che è interamente dedicato alle “sfide”. Anche un titolo elogiato come Bioshock (2007) non fa eccezione, ma ha introdotto elementi originali di design narrativo nel genere FPS.
I titoli sviluppati da Fumito Ueda nel nuovo millennio, ICO (2001), Shadow Of The Colossus (2005) e The Last Guardian (2016), sono ampiamente considerati giochi artistici perché il gameplay, le meccaniche e gli elementi grafici sono costruiti intorno e per i contenuti; la narrazione è minima ma rappresentano compromessi pionieristici tra sfide e arte visiva. Il prossimo passo per raggiungere un’arte narrativa pura e sublime è introdurre armonia tra sfide e storie, così da poter favorire l’immenso potere artistico e immersivo dei videogiochi.
Oggi avventure interattive come Heavy Rain (2010, Quantic Dream), The Walking Dead (2012, Telltale Games), Beyond: Two Souls (2013, Quantic Dream) e Life Is Strange (2015, DontnoD) hanno raggiunto onorevoli risultati narrativi; ma d’altro canto, hanno quasi completamente rimosso il grado di sfida. Le produzioni Telltale, ad esempio, sono versioni contemporanee di vecchie avventure grafiche punta e clicca, ma senza alcun tipo di puzzle. Lo storytelling è il loro obiettivo principale, ma consistono principalmente in sequenze sceneggiate, dialoghi a scelta multipla e QTE (Quick Time Events), risultando come una sorta di “film con interazione limitata”. I titoli Quantic Dream sono una delle loro fonti ispiratrici; non sono così diversi, un po’ più cinematografici di quelli Telltale, con produzioni più ricche e tecnica innovativa di motion capture: implementano troppi finali multipli o scene alternative, sprecando molte risorse per una sorta di storia “a scelta”.
Negli ultimi anni ci si sta invece avvicinando a un’ottica diversa. Mi piace definirla “l’epoca dei giochi narrativi più pionieristici di sempre”: ad esempio, What Remains of Edith Finch, rappresenta una meravigliosa eccezione. L’industria sembra aver raggiunto un compromesso recentemente: i videogiochi stanno sempre di più unendo la visione artistica, di una narrazione profonda, con sfide “impegnative”, contribuendo a creare una stupenda armonia espressiva e immersiva.
“Il compito della narrazione ambientale è stato quello di aiutare a creare un primo intreccio tra storie e gameplay sfidanti; mentre il ruolo del “design narrativo” è quello di raggiungere un elevato grado di armonizzazione tra queste due preziose componenti”
L’unione tra sceneggiatura e scenografia, tra narrazione e gameplay, tra storia e sfide, è possibile solo grazie a un uso magistrale di design narrativo. Il ruolo del narrative designer rappresenta il collante perfetto per introdurre il vero fine artistico del medium videoludico, ossia quello di esprimere tematiche profonde e trasmettere intensi messaggi al proprio pubblico di riferimento. Qualsiasi espressione artistica, che sia un film, un videogioco o un dipinto su tela, che riesca a tramettere sensazioni e a imprimere forti consapevolezze nell’animo del proprio pubblico è da considerarsi un’opera di inestimabile valore, un patrimonio di intima conoscenza.
Gli incredibili immaginari a cui ormai siamo abituati, tuttavia, non sono da considerarsi pionieristici in senso assoluto: il modo in cui è reso un determinato messaggio può risultare innovativo ma non è detto che la sua natura espressiva sia artisticamente originale, o viceversa. Mi spiego. L’ispirazione per la creazione di mondi dall’alto contenuto valoriale è, spesso e volentieri, derivato da forme artistiche e/o stilistiche anteriori.
Ad esempio, molti degli universi “impossibili” che gli sviluppatori creano e usano come tramite per una narrazione ricca di significati è spesso collegata a concetti di natura filosofica preesistenti. Come per i film e i dipinti, il significato reso attraverso i titoli del nostro amato medium è riconducibile (ovviamente) ad altre opere d’ingegno già presenti nell’universale panorama culturale che ci circonda. Infatti, tornando a parlare di narrazione scenografica, è da considerarsi emblematico l’esempio fornitoci da due videogiochi più o meno contemporanei: Inside (Playdead) e Scorn (Ebb Software).
“Inside” è un videogioco che immerge il giocatore nei panni di un bambino senza volto che, in preda alla fuga da misteriose e losche figure, si fa strada attraverso scenari cupi e dall’alto contenuto simbolico. Infatti, al di fuori della lunga corsa verso una fine indefinita, l’unico spunto e indizio narrativo che l’opera fornisce è interamente reperibile attraverso soggettive analisi e interpretazioni dei videogiocatori stessi. La trama di Inside è tutt’oggi avvolta nel mistero. Dopo anni di stimolanti speculazioni, si è capito quale fosse la giusta direzione interpretativa di ciò che gli autori hanno voluto infondere nella loro creazione. L’immersione in una realtà distopica così attentamente costruita con l’uso di una scenografia cupa è un espediente narrativo implicito e indefinito attraverso cui Playdead mira a evidenziare i lati più oscuri dell’esistenza e dell’umanità, in chiave volutamente pessimistica in cui non traspare alcuna speranza.
Nonostante l’espressione artistica con cui è reso il mondo di gioco possa essere assolutamente innovativa e progressista nel suo voler “esprimere” sensazioni tetre e cupe, il messaggio intrinseco dell’intera opera non è da considerarsi originale: la scena finale, in cui il “bambino” (o quel che ne resta) rimane attonito nel mezzo di un fascio di luce, di fronte alla vastità del mare, ricorda il classico film “I 400 Colpi” (1959) diretto da François Truffaut. La corsa, nonostante il “richiamo” del mondo, delle scene finali di ambo le opere è il simbolo del “sacrilegio” in movimento, la ribellione a un sistema coercitivo, l’utopica speranza di essere liberi.
“Scorn”, per quanto sia stilisticamente e artisticamente spettacolare, è anch’esso pionieristico per certi aspetti simbolico-narrativi mentre poco originale dal punto di vista espressivo: è facile intuirne l’ispirazione “gigeriana”. Hans Ruedi Giger, artista svizzero “padre” delle creature di Alien, è la chiara ispirazione delle atmosfere infernali presenti in questo titolo: i rimandi alle illustrazioni presenti nel Necronomicon di Giger sono a dir poco espliciti. Il volume è stato pubblicato per la prima volta nel 1977 e l’artista svizzero lo donò a Ridley Scott durante la fase di pre-produzione di Alien. Da allora rappresenta uno dei capisaldi visivi della lore della saga del famoso “xenomorfo”.
Mentre si prende parte all’avventura, è impossibile quindi non notare che tutto quell’iperrealismo scenografico inquietante riflette numerosi concetti, tra cui quelli principali relativi a mutazione e concepimento. Questi importanti riferimenti sono rinvenibili anche nella produzione visiva dell’artista Patricia Piccinini.
Senz’altro concettualmente e artisticamente ispirato, Scorn è, dall’inizio alla fine, un vero e proprio enigma esistenziale che si fa promotore di una visione che, seppur poco originale nei concetti e nella messa in scena, vuole rendere il nostro medium una bottega di capolavori artistici, una dedica d’amore a un’espressione artistica di grande impatto emotivo-sensoriale.
I videogiochi, al pari di cinematografia e opere statiche, sono dispense di pregiati valori e insegnamenti morali di incredibile e raffinata espressività artistica.
Le fattezze esteriori del Videogioco quale opera d’arte sono rinvenibili anche esteticamente da un celebre e recente titolo di Obsidian Entertainment. Pentiment è, a parer mio, l’emblema e “portabandiera” (in assoluto) della vena artistica del nostro “emarginato” medium. Questo titolo è ciò che c’è di più vicino al significato di “opera d’arte”: è di fatto un’immersione artistica nella mente di un autore di manoscritti miniati… Ma fosse solo questo!
Pentiment simboleggia il modello, il tributo perfetto dell’intera filiera videoludica, del suo cammino verso l’ideale della purezza dell’arte.
Quando scrivo “opere d’arte”, mi riferisco a Guernica di Picasso, Otello di Shakespeare, The Process di Kafka, Once Upon a Time in America di Sergio Leone. Quando discuto e parlo di videogiochi e arte è come se stessi cercando grandi giochi così espressivi come i capolavori di cui sopra. Oltre a essere un’espressione artistica come i suoi predecessori (spero di averlo ampiamente dimostrato ormai), il nostro medium è anche qualcosa in più, un’evoluzione. Se i dipinti e le pellicole cinematografiche ci consentono di “vivere”, di “sentire” delle emozioni solo attraverso l’esperienza di altri (autori e attori), i videogiochi che per definizione sono interattivi pongono direttamente noi nei panni degli autori: ognuno di noi “modella” la propria esperienza, la propria arte. Gli sviluppatori offrono al proprio pubblico non semplicemente la qualifica di “spettatore esterno” ma quella di vero e proprio autore della propria storia, della propria narrazione, della propria arte.
Ancora una volta, Pentiment rappresenta proprio questa semplice, eppure rivoluzionaria caratteristica, che molti non sanno nemmeno di possedere. È letteralmente un’opera che, nei panni di un’artista in cerca della propria ispirazione (Andreas Maler), pone il videogiocatore come autore della propria storia e consapevolezze, facendo di quest’ultime l’esoscheletro perfetto della propria, interattiva, tela.
L’interattività è l’arma segreta dei videogiochi, l’arricchimento per un’esperienza narrativa artisticamente più evoluta.
I videogiochi non solo sono in grado di farci sentire presenti in mondi immaginari, ma potrebbero essere in grado di immergerci in storie come nessun altro mezzo grazie all’interattività.
È possibile far parte dell’opera d’arte e modellare il tempo, lo spazio, le forme, la trama, le relazioni dei personaggi, i sentimenti, le emozioni. È come essere co-sceneggiatore, co-regista e attore di un film, o essere un pittore di fronte a una tela ancora da completare con molteplici opportunità e scelte. Questo medium consente agli autori di fornire storia e contenuti durante tutto il gameplay, contando sulla collaborazione con i giocatori. Ciò crea un intrecciamento senza precedenti, anche se differito, tra i veri autori del gioco e i giocatori.
Nei videogiochi si agisce, sente, pensa e prende un ruolo in una realtà diversa con regole diverse. Non è come essere uno spettatore passivo proprio come nel cinema o nella letteratura, dove si può solo ricevere ed elaborare feedback e non dare input per influenzare l’opera d’arte. Nei videogiochi si modella parzialmente l’opera in tempo reale, cambiando ciò che la stessa vuole effettivamente trasmettere, come in un dialogo continuo e in un cerchio virtuoso senza fine.
Questa evoluzione dei videogiochi ha trasformato radicalmente il concetto di “opere d’arte”, spingendolo verso nuove frontiere espressive e artistiche. Da semplici passatempi interattivi, sono diventati veri e propri mondi immersivi, arricchiti da narrazioni coinvolgenti, scenografie suggestive e musica emozionante. Con il loro potere di stimolare l’immaginazione e coinvolgere (non solo emotivamente) i giocatori, sono diventati una forma d’arte all’avanguardia, capace di influenzare la cultura, la società e la creatività umana.
Questi universi rappresentano un ponte tra la tradizione artistica e innovazione tecnologica, aprendo la strada a una nuova era di espressione artistica, in cui il pubblico è protagonista e il confine tra spettatore e creatore si fonde. I videogiochi sono divenuti un mezzo per raccontare storie, condividere emozioni e promuovere messaggi profondi, trasformando le esperienze ludiche in un viaggio immersivo attraverso l’arte interattiva.
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