Categorie: Cinema&TvRecensioni

The Guilty (2021), la recensione

The Guilty

8.2

SCRITTURA

9.0/10

REGIA

8.0/10

COMPARTO TECNICO

8.0/10

DIREZIONE ARTISTICA

7.0/10

CAST

9.0/10

Pros

  • L'interpretazione magistrale di Gyllenhaal
  • La regia dinamica che aggira i limiti dell'ambientazione
  • La scrittura certosina capace di immergere lo spettatore in un'azione che non può neanche vedere
  • La straziante catarsi finale

Cons

  • Non è un soggetto originale

The Guilty, film del 2021 diretto da Antoine Fuqua con protagonista Jake Gyllenhaal, vede il regista di The Equalizer – Il vendicatore collaborare nuovamente a un remake con lo sceneggiatore Nick Pizzolato, creatore di True Detective, dopo I magnifici 7.
Stavolta si tratta di un rifacimento dell’omonimo lungometraggio danese del 2018 di Gustav Möller, per altro candidato danese all’Oscar al miglior film in lingua straniera nel 2019.

The Guilty: Salvare gli altri per salvare sé stessi

Joe è un poliziotto di turno a un call center 911 al quale arriva una chiamata da parte di una donna che sembra essere stata rapita dal suo ex-amante.
A lui toccherà quindi cercare di rintracciare l’auto del rapitore e guidare le squadre di soccorso attualmente impegnate a sedare un violento incendio nella vicina Los Angeles.

Tutto il film è ambientato esclusivamente all’interno degli uffici del call center e lo spettatore non avrà mai modo di vedere cosa succede all’esterno, esattamente come Joe, con il quale dovrà combattere il senso di impotenza verso quella che è una situazione apparentemente senza uscita.
L’idea di un’ambientazione e di un protagonista solitario nella sua missione non è rara, basti pensare a Locke di Steven Knight, creatore di Peaky Blinders, con protagonista Tom Hardy.
Ma a differenza di quest’ultimo, giocato per lo più su una regia statica e lunghi silenzi alternati a dialoghi densi, il film di Fuqua e Pizzolato vive di una frenesia inaspettata grazie al dinamismo della regia, all’eccellente montaggio sonoro e dialoghi secchi che escono dalla bocca di un Jake Gyllenhaal a dir poco rabbioso nella sua intensità.

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Man mano che l’indagine procede, si avrà modo di assistere ad alcune reazioni peculiari del protagonista che, spesso, sfociano in veri e propri attacchi isterici, in particolare nei momenti in cui si troverà a dialogare in prima persona con il fuggitivo.
Questi attacchi, uniti agli indizi sulla condizione personale del poliziotto, rivelano uno dei topos principali dei thriller-polizieschi: la proiezione della vita personale dell’agente sul caso.
In questo film tale proiezione diviene non solo un modo per approfondire le contraddizioni del protagonista, ma anche dell’intero sistema giudiziario americano.

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Anche Joe è un colpevole suo malgrado, ma ha la concreta possibilità di farla franca aggirando le regole. Questo però non risolverebbe il suo vero problema, che esattamente come il suo contraltare risulta essere una condizione psicologica instabile, più facile da nascondere sotto il tappeto che affrontarla prendendo atto delle proprie colpe.

Ed ecco che il film, come da manuale delle grandi sceneggiature, cambia totalmente direzione nel suo punto centrale, trasformandosi da una forsennata caccia alle streghe a un percorso di redenzione che trova nell’aiutare gli altri un modo per guarire sé stessi, mescolando il ruolo di vittima e carnefice fino a renderli praticamente indistinguibili.

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Mentre Joe affronta i suoi demoni, si assiste a momenti di mala organizzazione delle forze di emergenza, di cavilli formali che impediscono il corretto e puntuale esercizio delle pratiche di soccorso, e di rapporti personali tra colleghi che travalicano la prassi e la giustizia.
Lo spettatore scopre che dietro gli operatori del 911 si nascondono delle persone sottoposte a una pressione enorme che può farli crollare da un momento all’altro, a meno che non comincino a praticare il mestiere con totale e apatico distacco, come i personaggi dei sergenti Wade e Miller, le cui sole intonazioni bastano e avanzano per darci un’idea delle loro espressioni dall’altro capo del telefono.

The Guilty è un film intenso che trascina lo spettatore verso toni sempre più cupi, terrificanti e morbosi senza necessità di mostrarli, alimentando la tensione fino al punto di rottura, ossia il momento in cui il percorso del suo protagonista raggiunge quella consapevolezza inaspettata di cui non sapeva di essere alla ricerca.
Attualmente il film è disponibile su Netflix, dura 90 minuti ed è probabilmente uno dei film meglio scritti di questo 2021.
Lascia l’amaro in bocca che sia un remake, e quindi il suo soggetto non sia del tutto originale, ma visto la pregevolezza del risultato finale risulta una puntualizzazione quasi inutile.

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Vittorio Pezzella

Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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Vittorio Pezzella
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