Pochissimi giorni di distribuzione e il mio unico rimpianto è stato arrivare a vedere Yaya e Lennie: The Walking Liberty troppo tardi per poterlo consigliare a tutti con cognizione di causa. Non che servissi io per spingere gli appassionati di cinema d’animazione al cinema a vedere questo film; chiunque segua il mondo dell’animazione occidentale sa quanto i ragazzi di Mad Entertainment, e in particolare il loro uomo di punta, Alessandro Rak, sappiano lavorare bene. Dopo un L’Arte della Felicità che è stato l’accensione della miccia, e Gatta Cenerentola che è stata la vera e propria esplosione dello studio d’animazione di Napoli, Mad Entertainment torna in sala col suo terzo lungometraggio. Soggetto di Alessandro Rak e Marino Guarnieri, regia di Alessandro Rak, prodotto da Maria Carolina Terzi, Carlo e Luciano Stella per Mad Entertainment. Questo è Yaya e Lennie: The Walking Liberty.
Il mondo è finito. Ci troviamo su un pianeta Terra molto distante nel futuro, in cui la civiltà come la conosciamo oggi ha smesso di esistere da anni e il mondo emerso è coperto da una fitta e selvaggia giungla. In questo mondo vivono Yaya e Lennie. Yaya è una ragazzina molto giovane, ma dal carattere forte e una spiccata intelligenza, cosa che la rende perfetta per badare a Lennie, un ragazzone gigantesco, ma con una disabilità intellettiva che lo rende a tutti gli effetti un bambino nel corpo di un gigante. Yaya e Lennie vivono nella giungla, spostandosi costantemente e vivendo di cosa la natura stessa offre loro, liberi e spensierati, cercando la probabilmente inesistente Terra della Musica, di cui la loro Zia Claire, ormai passata a miglior vita, ha parlato loro. Lo stile di vita dei due amici è però minacciato dagli uomini dell’Istituzione, una organizzazione militare che vuole riportare la civiltà e il progresso a come era prima della fine del mondo, sopprimendo con la forza chiunque scelga una via differente.
La storia che ci vuole raccontare Rak in Yaya e Lennie: The Walking Liberty è di base piuttosto semplice: lo scontro tra la libertà assoluta e incondizionata contro la volontà degli uomini di mettere ordine a loro stessi per poter sopravvivere in un mondo selvaggio che altrimenti li mangerebbe vivi. Seppur la parte del regista sia palese in questa lotta tra pensieri, Rak non è stupido e ci tiene a mostrare in maniera quanto più precisa possibile la questione da molteplici punti di vista.
La vita libera e spensierata di Yaya e Lennie è sicuramente affascinante: essere liberi come il vento e continuare a viaggiare senza meta portando con sé solo l’indispensabile ed essere legati alla natura circostante… al tempo stesso, però, si dimostra una vita in costante pericolo. Il regista mette bene in chiaro che nonostante tutto la vita di Lennie e Yaya non è affatto facile: costantemente nel pericolo di essere attaccati dagli animali della giungla o dalle altre tribù di disperati esseri umani, sempre con quel velo di tristezza di non poter avere una vera e propria casa. Una vita che solo l’ingenua e semplice mente di Lennie può trovare perfetta. Dall’altra parte troviamo l’Istituzione: nome molto didascalico per rappresentare la cosa più vicina ad uno status quo costituito in questo mondo post-apocalittico. Come cifra stilistica ormai consolidata di ogni mondo post-apocalittico, l’Istituzione è un’organizzazione fascistoide di persone armate fino ai denti che vogliono riportare l’ordine con la forza, rapendo, schiavizzando e uccidendo tutto ciò che si può anche solo vagamente opporre a loro.
Il film presenta anche due buffe vie di mezzo.
La prima rappresentata dalla corte dei miracoli dell’eccentrico Rospoleòn, doppiato da un sempre superbo Francesco Pannofino che ricrea in uno spagnolo maccheronico i discorsi di Che Guevara in maniera simile a quanto fatto nel film Basilicata Coast to Coast. I buffi componenti di questa banda di disperati rivoluzionari senza causa sono dipinti come fermi nelle convinzioni del loro leader, ma completamente fuori dal mondo, in aperto contrasto e conflitto con l’Istituzione, ma senza nessuna reale prospettiva futura. La seconda via di mezzo è il villaggio in cui si riparano Yaya e Lennie per un po’, un gruppo di persone che sono scesi a patti con l’Istituzione e vivono nella loro ombra per mantenere una minima indipendenza (tra l’altro, il capo di questo villaggio ha il modello 3D di Sergio Cometa, protagonista de L’Arte della Felicità).
Questi due esempi sono, più che vie di mezzo tra la libertà assoluta e il rigore delle regole, due modi diversi di rapportarsi all’autorità dell’Istituzione: o con l’aperta ostilità violenta o con il compromesso.
I personaggi sono caratterizzati in maniera altalenante.
Yaya e Lennie sono, ovviamente, il centro dell’attenzione: le loro interazioni l’uno con l’altra sono il punto focale di tutto il film. Yaya è una ragazzina molto decisa e dal grilletto facile, che reagisce in maniera feroce e con sospetto a tutto ciò che le capita, solo quando è con Lennie riesce ad abbassare un minimo la guardia, sapendo che il ragazzone la difenderà al bisogno. Lennie, al contrario, è molto poco sveglio, facile preda delle emozioni, costantemente in confusione per la rabbia, la paura, o… non sa neanche lui cosa.
Gli altri personaggi, dai più eccentrici come Rospoleòn o l’agente matto dell’Istituzione, Tom Tom, ai più pacati, come gli abitanti del villaggio, sono tutti più o meno di contorno.
Gli unici che spiccano davvero sono i rivoluzionari di Rospoleòn e il giovane André, ufficiale dell’Istituzione che crede fermamente al sogno di progresso e sviluppo della sua fazione, mentre gli altri sono tutti più o meno dimenticabili, per quanto importanti. Molto strana, in questo senso, la parabola del capitano della pattuglia dell’Istituzione, partito come se fosse uno dei principali antagonisti e relegato poi sullo sfondo.
Nella regia di Alessandro Rak si notano tutte le sue influenze, specialmente quelle derivate dai film di Miyazaki e dai film di Charlie Chaplin, di cui, peraltro, di entrambi sono inseriti richiami all’interno del film, e anche da Orson Wells e Mamoru Oshii. Da un punto di vista più casuale e quasi fuori posto nei primi minuti, Rak sposta man mano lo spettatore sempre più all’interno della psiche dei personaggi, con inquadrature che si avvicinano a loro nel mentre che impariamo a scoprirli.
Mad Entertainment, fin dai suoi primi lavori, si è contraddistinta per un uso molto personale dell’animazione 3D CGI e uno stile misto di tra disegno piatto e modellazione poligonale che dà ai loro film un’estetica unica. Questo lo si può vedere principalmente nell’uso dei colori: una stesura del colore sui modelli tridimensionali che donano un effetto pastello alle figure, accentuando il chiaroscuro, in modo che sia questo a rendere la tridimensionalità dei soggetti che non il modello poligonale stesso. In Yaya e Lennie: The Walking Liberty questo aspetto è particolarmente importante, perché la colorazione e la luce, filtrata dalle foglie degli alberi della giungla o dalle strutture diroccate in cemento e metallo si riflette sulle figure in inquadratura, che si trovano circondati dall’ambientazione, fino a fondersi con essa.
L’ispirazione giapponese del character design di Mad Entertainment è chiara soprattutto nelle espressioni dei visi. I volti dei personaggi del film si distorcono sotto la spinta delle loro emozioni, siano queste le sguaiate risate o il pianto più disperato, andando a formare delle grandi maschere greche di pura emozione. Per il resto, i modelli rimangono di ottima fattura, nessuna sproporzione eccessiva che renda i personaggi e il mood del film meno serio di quello che vuole essere. Il film mette molta enfasi sui personaggi più eccentrici della storia, dando loro una caratterizzazione fisica altrettanto eccentrica (in pieno stile anime). Tra questi Rospoleòn e i suoi “compagneros”, ma anche i due protagonisti: Lennie per il suo fisico mastodontico, che svetta su tutti gli altri come un titano tra i mortali, e Yaya per i suoi enormi occhi e le splendide curve del corpo che la fanno più volte assomigliare a una ninfa dei boschi. Quasi a voler sottolineare come proprio loro siano al di fuori degli schemi del resto dell’umanità.
Yaya e Lennie: The Walking Liberty è un film che è anche una riflessione. Un film che parla di libertà e di vincoli sia nel bene che nel male. Alessandro Rak prende una parte ben precisa in questo confronto. Per quanto pericolosa, una vita vissuta in autonomia, libera da qualunque influenza che instrada a una determinata via vista da qualcun altro come “giusta”, è la migliore scelta. La libertà senza vincoli né compromessi di Yaya e Lennie non è priva di ostacoli, non è perfetta, ma è qualcosa che vale la pena proteggere. Perché dall’altra parte abbiamo una vita vissuta sotto la pressione di qualcosa di imposto, della promessa che la felicità sia alla fine di una strada già tracciata, tortuosa e piena di rinunce, e non in giro per una fitta foresta, dove non si vede più in là del prossimo albero e si può solo camminare senza meta godendoci quello che capita lungo il tragitto.
A questa conclusione il film ci arriva passando attraverso il meglio e il peggio di entrambi i mondi, mettendoli a confronto, facendoli incontrare e scontrare, e passando attraverso anche delle vie di mezzo tra le due strade. Da una parte una fiera, folle e disperata opposizione allo status quo, che riconosce il potere costituito in quanto tale e grida a un cambiamento esplosivo, come se in un attimo tutto potesse cambiare (se vogliamo una promessa molto simile a quella dell’ordine costituito stesso); dall’altra il compromesso, la tolleranza delle atrocità commesse dagli altri e la resa, pur di poter vivere le proprie vite in maniera tranquilla.
Un’illusione, dunque, di poter stare a metà strada tra la giungla e la città.
La libertà che si cerca di mostrare nel film, però, non accetta nè pressioni nè compromessi: essa cammina nella foresta ed è assoluta, non le importa delle regole degli altri e non si piega ai loro obblighi. La libertà cammina e non fa promesse di una felicità costruita sulle rinunce, ma che si muove nei passi che facciamo, che è tutta intorno a noi e che non è qualcosa che ci si deve guadagnare, ma qualcosa che bisogna vivere in ogni attimo. Finché la sorte sarà propizia, quindi, si potrà sempre andare avanti e fare quello che ci piace, mentre “quando la moneta girerà sul teschio” e sarà la fine del viaggio non avremo niente da perdere.
Un gran film da parte di Mad Entertainment, che senza tradire la loro unicità napoletana di cui si fa vanto ha saputo proporre una storia che, più dell’intimo L’Arte della Felicità e dell’allegorico Gatta Cenerentola, riesce ad essere universale.
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Apprezzabilissimo … peccato che sin dai primi dialoghi sia impresentabile ai bambini per il linguaggio usato. Quindi, mi spiace (ma dopo aver speso i soldi per l’acquisto) io gli ho fattto vedere altro, con ampio divertimento per tutte le età. Peccato peccato peccato. Una occasione sprecata per il cinema italiano d’animazione… ( nei capolavori di Miyazaki non si scade nel linguaggio scurrile). E la cosa che mi delude di più, tutti voi Critici e Recensori, NESSUNO accenna al linguaggio e il film viene proposto con la T (visibile per tutti). Io ai miei figli di 6/8/10 anni NON lo faccio vedere.
Vero, non ho fatto caso al fatto che venisse classificato come "per tutti". Ho valutato il film in sé dando per scontato che non fosse per bambini perché conosco lo studio che lo produce e so che fa film con linguaggio piuttosto forte. Grazie per avermi fatto presente il problema, nelle prossime recensioni vedrò di starci attento.