Deathloop, la recensione: il loop mortale di 24 ore

Deathloop

8.6

GAMEPLAY E LONGEVITÀ

8.0/10

COMPARTO GRAFICO E SONORO

8.5/10

COERENZA E CURA DEL DETTAGLIO

9.3/10

Pros

  • Ridefinisce il concetto di libertà d'approccio
  • Pieno di stile e carattere
  • Unico non solo nel suo genere, ma nell'intero panorama videoludico
  • Impegnativo e soddisfacente
  • Equilibrato in ogni sua componente

Cons

  • Un po' troppo confuso
  • Gameplay pad alla mano non all'altezza
  • PVP superfluo e mal implementato
  • Finale troppo banale

Seppur il concetto di moda nel medium videoludico sia attribuibile soprattutto ai generi multigiocatore (hero shooter, battle royale ecc.), di tanto in tanto capita che anche in quelli singleplayer vadano in voga determinate tipologie di gioco rispetto ad altre: in questo caso particolare, si tratta di un concetto tanto semplice quanto specifico, che nonostante non intacchi il genere di gioco di per sé, ne stravolge da cima a fondo la struttura ludica.

Stiamo parlando del concetto di loop (testualmente, “ciclo” in inglese), che prevede una sorta di distorsione temporale grazie al quale, in un lasso di tempo preciso ed in uno specifico ambiente, tutto si ripete all’infinito sempre allo stesso modo, all’interno del quale le uniche cose che cambiano (e si evolvono) sono la coscienza del giocatore, quella di alcuni personaggi chiave e la conseguenza delle loro azioni, in base ovviamente alla storia in questione.

Dopo i vari Returnal, Forgotten City e 12 minutes che adottano tale idea, abbiamo assistito al rilascio di Deathloop su PlayStation 5 e PC, sviluppato da Arkane Studios e pubblicato da Bethesda lo scorso 14 settembre. Come sempre, abbiamo avuto il piacere di scoprirlo da cima a fondo, e ora siamo pronti per parlarvene: ecco la recensione di Deathloop!

Chi sono? Come mi chiamo? Cosa ci faccio qui?

Il tutto inizia quando il protagonista Colt Vahn si sveglia su una spiaggia di un’isola indefinita, dopo aver apparentemente sognato di essere stato assassinato da Julianna, una sua vecchia conoscenza: in preda ad una certa confusione mentale e ad una vaga mancanza di memoria, inizierà a farsi strada all’interno dell’isola senza una meta precisa.

Poco dopo verrà contatto dalla stessa Julianna che, insieme ad una serie di misteriose scritte che appaiono agli occhi di Colt, gli farà balenare in mente qualche memoria, andando quindi a fargli comprendere lo stato delle cose: l’isola prende il nome di Blackreef, nel quale alcuni scienziati testarono ed eseguirono degli esperimenti sui suoi tessuti spazio temporali per modificarne lo scorrere del tempo ed ingannare, in qualche modo, la morte.

In questo modo, Blackreef è entrata in un ciclo temporale della durata di 24 ore, che si ripeteranno sempre allo stesso modo all’infinito, cancellando di concetti di “ieri” e “domani” in favore di un perenne “oggi”: alla fine del suddetto giorno, tutto ritornerà allo stato della sua stessa mattina, facendo addirittura rinascere tutti coloro che erano morti nel ciclo precedente.

Tale operazione prende il nome di Programma AEON, che impone una serie di regole e protocolli che ogni cittadino di Blackreef dovrà accettare e seguire in modo scrupoloso: come era lecito aspettarsi, il protagonista rifiuta tutto ciò, e seguendo quelle poche informazioni ottenute fino a quel momento, stabilirà il suo obiettivo, ovvero quello di spezzare questo ciclo andando ad uccidere, nell’arco delle 24 ore di un singolo ciclo, gli otto visionari di Blackreef, specifiche personalità la quale coesistenza sull’isola permette al ciclo di rimanere attivo.

Ovviamente, tali personaggi saranno sparpagliati tra i quattro distretti dell’isola (Updaam, il Complesso, Fristad Rock e Baia di Karl) in differenti momenti della giornata (mattina, mezzogiorno, pomeriggio e sera), impedendo a Colt di avere materialmente tempo di ucciderli tutti.

Sarà quindi nostro compito accedere ai suddetti luoghi (collegati da una rete di tunnel sotterranei) per esplorarli in lungo ed in largo ed ottenere qualsiasi tipo di informazione sui visionari per comprenderne i comportamenti e le intenzioni, ed ipotizzare metodi e piani da attuare per farli spostare tra i distretti nei vari momenti della giornata e permetterci di ucciderli tutti in un singolo ciclo.

Essendovi quattro distretti esplorabili nei quattro periodi della giornata, avremo a disposizione un totale di 16 scenari differenti, che potremo visitare a nostro completo piacimento, e quindi, non appena entreremo nella giusta ottica, Blackreef diventerà il nostro parco giochi. Gli spunti per scovare informazioni sui visionari richiederanno una notevole dose di attenzione e spirito di osservazione, dato che saranno disposti sottoforma di una quantità pressoché infinita di documenti, registrazioni, dialoghi ecc. disseminati un po’ ovunque.

Nonostante ciò, i procedimenti che porteranno avanti la trama saranno ben precisi e definiti, racchiusi in una sequenza lineare di quest che, seppur sia possibile affrontare una libertà d’approccio quasi totale (in termini di ordine, esplorazione e gameplay), porterà l’andamento degli eventi verso un unica sola risoluzione narrativa.

Seppur tutto ciò possa dare l’impressione di falsa libertà, siamo convinti che Arkane abbia fatto bene ad impostare la struttura della trama in questo modo, in quanto tutte queste informazioni sul mondo di gioco (di rilevanza variabile) ci pioveranno ininterrottamente addosso dall’inizio alla fine in modo quasi eccessivo, e saranno riportate in una rete di menù e sottomenù abbastanza confusa e poco intuitiva.

Nonostante tale inghippo, la struttura narrativa riesce a fare il suo: seppur non si tratti di un chissà quale intreccio particolare, il gioco offre continuamente spunti di trama che incuriosiscono il giocatore e lo invogliano a proseguire per comprendere dove il tutto andrà a parare, non solo per arrivare a spezzare il loop ma anche a comprendere il rapporto tra Colt e Julianna ed approfondire i visionari, tra rivelazioni, segreti e colpi di scena.

Il tutto esplode in una Blackreef degli anni ’60 piena di stile, nel quale i suoi abitanti riescono ad esprimersi senza peli sulla lingua tra dialoghi folli e comportamenti stravaganti, colori sgargianti, costumi e maschere di ogni tipo, facendo percepire al giocatore di trovarsi in un luogo fuori dal mondo, nel quale coesistono regole e stile di vita fuori dal comune all’insegna dell’ironia e della demenzialità, ponendosi come via di mezzo tra Bioshock e We Happy Few.

A completare il quadro ci pensa una caratterizzazione dei personaggi principali davvero particolare: i visionari saranno ben differenziati per personalità, serietà e comportamento, mentre Colt e Julianna non perderanno una singola possibilità per stuzzicarsi e punzecchiarsi a vicenda con battute e provocazioni di confronto umoristiche e divertenti, seppur inseguano entrambi il loro obiettivo con convinzione e determinazione.

Purtroppo però, il finale non riesce a rendere giustizia al resto dell’avventura, risultando stranamente scontato ed ingiustificatamente frettoloso nell’impostazione dell’epilogo e nella sua resa scenica.

Bla… bla… bla… quando si spara?

Dal punto di vista ludico, Deathloop si propone come uno sparatutto in prima persona che offre un interessante mix di caratteristiche appartenenti a vari generi e sottogeneri, sia dal punto di vista strutturale che di mero gameplay: all’inizio della run saremo praticamente sprovvisti di equipaggiamento, e ci toccherà raccoglierlo dai nemici uccisi o in giro per le mappe.

Oltre a munizioni ed armi di varia rarità ed efficacia, troveremo anche le Piastrine, modifiche che offriranno benefici e caratteristiche di vario tipo, e che saranno divise per tipologia tra quelle specifiche da applicare alle armi e quelle più generali del personaggio: inoltre, ogni volta che uccideremo un visionario potremmo sottrargli la tavoletta personale, una sorta di manufatto che donerà a Colt un vero e proprio potere sovrannaturale (oltre che ad altro loot come armi e piastrine speciali), da gestire tramite una barra del mana.

Alla fine del ciclo in questione o alla morte del protagonista, ogni singolo equipaggiamento verrà perduto e ci toccherà raccoglierlo nuovamente daccapo al ciclo successivo: ad ovviare parzialmente a questo problema ci pensa il Residuo, una sorta di valuta che permette al giocatore, una volta “fuggito” da un distretto, di infondere qualsiasi pezzo di equipaggiamento per “sbloccarlo” definitivamente e mantenerlo quindi in tutti i loop successivi.

Attenzione però, i costi di infusione saranno alti, mentre anche il residuo stesso verrà perduto a fine ciclo, e toccherà quindi a noi decidere con attenzione cosa infondere in base alle nostre preferenze.

Ma ad offrirci un po’ di clemenza, ci pensa Ripresa, la tavoletta intrinseca personale di Colt che gli permetterà di riprenderci dalla morte per un totale di due volte (e rendendo quindi definitiva soltanto la terza), offrendo al giocatore più respiro e possibilità nelle azioni da compiere senza l’ansia di perdere tutto al primo errore.

Nei panni di Colt, avremo a disposizione entrambe le mani per l’utilizzo degli equipaggiamenti: la destra sarà adibita al maneggiamento delle armi, mentre la sinistra a quello dei poteri delle tavolette, delle granate e dell’hackmajig, un telecomando grazie al quale potremo hackerare a distanza vari tipi di dispositivi (telecamere, antenne, torrette ecc.).

Nel caso delle armi più leggere, potremo impugnarle su entrambe le mani per utilizzarle in akimbo ed avere una maggiore potenza di fuoco.

Ampliare il concetto di libertà di approcio

Come già accennato in precedenza, non appena assumeremo il controllo dei comandi spetterà a noi e a noi soltanto decidere come agire: i quattro distretti presenteranno un level design abbastanza diverso tra loro, la quale condizione cambierà tra i vari momenti della giornata in termini di accessibilità di certi ambienti e quantità/disposizione di nemici, trappole e sicurezza generale.

In questi scenari non esiste un metodo migliore di agire, ma soltanto il nostro: se da un lato avremo fucili, mitragliatori e telecinesi grazie al quale potremo scatenare il caos a Blackreef, dall’altra vi saranno armi silenziate, abilità di mimetizzazione e di movimento di vario tipo da sfruttare per spostarsi nell’ombra e procedere furtivamente, le quali funzionalità ricordano molto da vicino quelle dei tre capitoli di Dishonored, precedenti opere della stessa Arkane.

A differenza di questi ultimi però, nel quale le missioni sono lineari e presentano comunque un unico obiettivo da raggiungere, in questo caso potremo gestire l’avanzamento nel modo in cui vorremo, ponendoci degli obiettivi in base alle nostre decisioni e all’andamento degli eventi nel ciclo stesso, avendo la consapevolezza che avremo altri cicli successivi per completarne di altri.

Assassinare un visionario per sottrargli la tavoletta od un suo potenziamento, portare a termine compiti secondari per ottenere loot unico o avere spunti di possibilità più ampi nei cicli successivi, seguire obiettivi principali per procedere nell’avventura: la decisione sul cosa, il come ed il quando eseguirlo spetterà unicamente a noi.

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Per logica, converrebbe “raggruppare” i lavori per compierne il più possibile in un’unica andata e prendere più piccioni con una fava, eppure niente e nessuno ci impedirà di esplorare i distretti anche solamente per “farci un giro” e studiarne il design degli ambienti, provare un certo percorso rispetto ad un altro, testare sul campo l’efficacia delle varie combinazioni di armi e tavolette, senza compiere alcun progresso “reale” tra gli obiettivi.

Infatti, se all’inizio saremo portati ad agire con cautela a causa di una totale mancanza di conoscenza delle situazioni di gioco, man mano che i cicli andranno avanti riusciremo ad imparare praticamente tutto, ottenendo sempre più confidenza con ogni cosa che ci circonda e diventando sempre più agili, fluidi e sicuri sulle azioni da compiere nei movimenti e nelle ipotetiche sparatorie o fasi furtive.

Purtroppo, il gioco non riesce ad eccellere particolarmente né nelle fasi di shooting né in quelle stealth.

Per quanto riguarda il primo, abbiamo avuto svariate volte la sensazione di sparare a dei manichini in movimento, percependo un feedback dei colpi a malapena discreto, mentre gli approcci furtivi sono stati quanto di più generico ci sia capitato di provare negli ultimi anni, a causa di una intelligenza artificiale nemica ai limiti del imbarazzante e alla mancanza di reali focus nelle meccaniche stealth.

A tal proposito, va anche notificato che i poteri offerti dalle tavolette non brillano per originalità (si limitano ad essere una riproduzione grossolana dei poteri già visti anni fa in Dishonored, ndr.), mentre la componente looter risulta abbastanza basilare in quanto il loot pool di armi e piastrine non sarà affatto ampio, e porterà i drop a ripetersi molto velocemente.

Quindi, il gameplay rappresenta un disastro su tutta la linea? Assolutamente no.

Nonostante a nostro avviso quello di Dishonored sia ben più completo, il mix di componenti ludiche di Deathloop riesce ad avere un gusto tutto suo, che trascina e coinvolge grazie a tutta quella serie di concessioni offerte dal loop che permettono al giocatore di impostare e scandire i ritmi di gioco secondo le proprie preferenze.

Siamo quindi convinti che il gameplay vada inteso unicamente come il mezzo da sfruttare al servizio dell’aspetto strategico/gestionale richiesto per il compimento dell’avventura, che rappresenta a nostro avviso il principale fine ultimo e reale mordente del gioco.

In poche parole, chiunque voglia approcciarsi al gioco giusto per il gusto di farsi due spari, qualche camminata sui tetti e qualche assassinio rimarrà deluso, mentre tutti coloro che vorranno godersi il viaggio nella sua interezza vivranno un’esperienza davvero speciale.

Visionare i visionari

Ad un certo punto però, che sia prima o che sia dopo, ci toccherà portare a termine l’obiettivo principale riguardante i visionari, in modo da cambiarne la routine giornaliera e riuscire a spezzare il loop: questi procedimenti ci vedranno impegnati ad eseguire determinati passaggi in particolare che saranno bene o male gli stessi per tutti.

Il tutto si basa sull’acquisizione di informazioni su di essi, sia in generale per comprenderne le intenzioni giornaliere ma anche più nello specifico per scovare password, parole d’ordine e codici vari per ottenere l’accesso al proprio covo personale o alla stanza segreta di turno: le suddette sequenze alfanumeriche però, saranno generate proceduralmente e quindi diverse in ogni run, il che impedisce al giocatore di imbrogliare ed andarle a cercare su internet.

Per farlo però, non basterà solamente setacciare l’area e trovare fisicamente l’indizio in questione, bensì dovremmo nella maggior parte dei casi risolvere degli enigmi ambientali che, seppur non richiedano chissà quale impegno dal punto di vista mentale, riescono comunque ad essere abbastanza complessi soprattutto nella loro comprensione, dato che la soluzione sarà da ricercare nei vari scenari in mezzo alla enorme quantità di altri documenti, registrazioni e dettagli ambientali.

Nonostante un po’ di confusione generale, il lavoro complessivo svolto da Arkane è da elogiare: ad ogni step compiuto percepiremo una reale sensazione di progresso e di soddisfazione nell’avvicinarci sempre di più all’ultimo loop (quello nel quale riusciremo a completare il nostro obiettivo) che, una volta raggiunto e completato, ci farà quasi sentire la mancanza della routine quotidiana di Blackreef alla quale ci eravamo abituati.

Il tutto sorretto è da un equilibrio generale davvero incredibile: gli elementi che compongono il mix di gioco nella progressione dell’avventura come le informazioni acquisite, gli equipaggiamenti trovati e gli enigmi risolti ecc. riescono a viaggiare di pari passo con la scoperta del mondo di gioco, del suo design, delle sue situazioni e delle sue caratteristiche nonostante la libertà concessa al giocatore sia assoluta.

Considerando quanta varietà e quanto “massa contenutistica” sia presente nel gioco, facciamo fatica a comprendere come quei geni di Arkane siano riusciti a far funzionare il tutto così bene.

Lo spirito oscuro di Julianna ti ha invaso

Come se tutta questa serie di caratteristiche uniche non bastassero, Arkane ha deciso di inserire in Deathloop persino una componente PVP, che prende direttamente spunto dal concetto di invasione dei Dark Souls: nella schermata iniziale del gioco infatti, avremo la possibilità di selezionare l’opzione “Proteggi il loop“, che ci metterà nei panni di Julianna e ci permetterà di entrare nella partita di un giocatore che sta affrontando l’avventura con Colt, con l’obiettivo di andare a cercarlo in giro per la mappa ed ucciderlo per ostacolargli i piani.

Una volta avviata la caccia, le gallerie di Blackreef verranno chiuse e il Colt invaso non potrà fuggire dal distretto, a meno che non riesca a raggiungere e hackerare una specifica antenna che le farà sbloccare.

Nel momento in cui Julianna riuscirà a trovare Colt, la sparatoria diventerà inevitabile: in caso di vittoria da parte di Julianna, il giocatore nei panni di Colt sarà costretto a ricominciare il ciclo da capo, mentre se fosse quest’ultimo a uscirne vivo verrà ricompensato con armi, piastrine e la una tavoletta, mentre le sue istanze di Ripresa verranno resettate.

Purtroppo, tale formula “competitiva” (se così possiamo definirla) non ci ha convinto quasi per nulla: sia da invasori che da invasi, l’approccio agli scontri risulta particolarmente scomodo, a causa del fatto che le meccaniche di movimento e i poteri delle tavolette sono palesemente studiate ed adattate per la struttura delle dinamiche di combattimento del PVE, e quindi quasi totalmente inadatte alle battaglie tra giocatori.

Inoltre, per forza di cose, l’invaso sarà nella maggior parte dei casi in uno svantaggio pressoché schiacciante.

Innanzitutto le minacce ambientali delle mappe relative al PVE rimarranno ostili nei suoi confronti, impedendogli di poter sfruttare il level design senza intralci, come farebbe l’invasore (vi lasciamo immaginare quanto sarebbe ulteriormente in difficoltà nel caso in cui siano le sue prime esplorazioni dei distretti). In secondo luogo, anche se l’incontro dovesse avvenire in una zona priva di nemici, la battaglia sarebbe tendenzialmente squilibrata a causa di un fattore casualità piuttosto importante: laddove l’invasore si presenterebbe con un arsenale ed una potenza di fuoco distruttiva apposta per il PVP, lo stesso non si potrebbe dire dell’invaso, che avrebbe potuto decidere di affrontare il PVE in modo discreto con armi e tavolette basate per esempio sulla furtività, che sarebbero pressoché inefficaci in un duello contro un altro giocatore.

Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che l’invaso sconfitto sarà costretto a ricominciare il loop da capo, rischiando di perdere pezzi di equipaggiamento, sprecando quindi del tempo prezioso e la possibilità di fare progressi a causa di un fattore così esterno, risulta evidente che questo sistema non porti altro che frustrazione e fastidio.

Disattivando tale modalità multigiocatore, vi sarà comunque la possibilità di essere invasi da una Julianna comandata dall’intelligenza artificiale, decisamente più gestibile e a nostro avviso anche più divertente: il nostro consiglio è infatti quello di farlo quantomeno nelle fasi iniziali di gioco, così da riuscire quantomeno ad adattarsi agli ambienti e a crearsi una build di equipaggiamenti, per poi riattivarlo in un secondo momento quando ci si sentirà pronti, giusto per il gusto di vivere il brivido di venire invasi.

Un po’ di tecnicismi

Dal punto di vista tecnico, abbiamo veramente poco di cui lamentarci: il Void Engine (lo stesso motore di Dishonored 2) ha permesso ad Arkane di inserire una quantità davvero notevole di dettagli in pressoché ogni angolo degli ambienti di gioco, mentre una particolare cura estetica generale li rende più che gradevoli alla vista anche negli spazi più aperti.

Ovviamente, non si tratta di niente di troppo incredibile in termini grafici (rimanendo comunque al passo con i tempi), ma considerando che Deathloop non vuole in alcun modo essere niente di troppo fotorealistico o cinematografico e prediligendo invece fluidità e pulizia visiva, risulta pressoché impossibile criticare tali scelte.

Nonostante ciò, va notificata qualche incertezza nelle animazioni dei modelli (specialmente quelle di uccisione/morte dei nemici) e un’ottimizzazione generale non proprio al top che ci ha fatto incappare diverse volte in freeze vari e cali di framerate, niente che non si possa risolvere con patch e aggiornamenti.

Conclusioni

Sul nostro portale facciamo sempre molta attenzione nella stesura del paragrafo relativo alle conclusioni, cercando di esplicare al meglio i valori e le qualità del gioco in modo riassuntivo. Per quanto riguarda Deathloop invece, ci limitiamo a definirla come un‘esperienza assolutamente unica, un esperimento talmente particolare da essere speciale anche nei suoi difetti che abbiamo ampiamente descritto in fase di recensione. Deathloop è infatti in grado di far risaltare le sue mediocri componenti unendo ambientazioni, personaggi, meccaniche di gioco e musica in modo incredibile, loop dopo loop.

In base a questa valutazione, ci sentiamo di definirlo come uno di quei giochi da consigliare a prescindere, forse addirittura di più di molti grandi kolossal: nonostante potreste tranquillamente non apprezzarlo nemmeno un po’, avreste almeno la certezza di aver provato qualcosa di davvero diverso dal solito, qualcosa per cui vale davvero la pena spendere parte del proprio tempo per salvare quello di Blackreef.

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Mattia Mariano

Salve a tutti, sono Mattia, e da circa 18 anni ho un'intesa passione per il mondo dei videogiochi, e con essa mi porto dietro una forte propensione alla discussione e al dialogo il più discorsivo possibile riguardo questa incredibile arte.

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Mattia Mariano
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