Loki: Fratelli di Sangue è una miniserie a fumetti della Marvel Comics scritta da Robert Rodi (Thor: Per Asgard) e disegnata da Esad Ribić (Silver Surfer: Requiem, Secret Wars) con protagonista l’omonimo personaggio creato da Stan Lee e Jack Kirby, recentemente protagonista anche di una serie televisiva che lo ha visto impersonato da Tom Hiddleston, già suo volto cinematografico da dieci anni.
Gli ordinamenti giuridici moderni sono abbastanza concordi nel definire la vendetta come un gesto sbagliato, deprecabile e punibile con pene più o meno severe.
Questo perché, laddove a governare sono le leggi, nei cosiddetti stati di diritto, permettere a chiunque di farsi giustizia da solo in base a torti più o meno presunti porterebbe al caos, rendendo impossibile la civile convivenza.
Tuttavia ad Asgard governano individui volubili che si fregiano del titolo di dei.
Non esiste alcun organo superiore che possa imporre la propria volontà sui singoli individui.
Se qualcuno avesse la forza di detronizzare Odino e imporre la sua, di volontà, a quel punto sarebbe lui a dettare legge.
In un contesto del genere, dove sono i sentimenti e la violenza i principali motori della vita civile, chi può dire cosa sia giusto o sbagliato?
Lo scrittore Robert Rodi parte da questa premessa per costruire un affresco shakespeariano sull’ambiguità morale degli Dei, attingendo solo in parte all’originale mitologia norrena per adattarne gli archetipi a una tragedia familiare.
Loki ha vinto. Grazie a numerosi alleati più o meno fedeli è riuscito a sottomettere Thor, Odino e tutto il resto del pantheon norreno, diventando così il solo e unico sovrano di Asgard. E non potrebbe andargli peggio.
I suoi alleati pretendono che mantenga le promesse fatte; i suoi sudditi lo odiano o, nel migliore dei casi, lo temono; il disprezzo della sua famiglia adottiva non è mai stato così forte e palese.
Sin dalle prime tavole è chiaro che quello non è il suo posto e non lo è mai stato.
Da sempre, almeno nei fumetti Marvel, il suo ruolo è sempre stato quello di una macchietta, un fastidio al quale il suo eroico fratello avrebbe sempre offerto sollievo. Un’ombra, un contraltare, un nemico. Sempre dietro al (e mai sul) trono.
Quello raccontato nella miniserie Loki è il dramma di un personaggio segnato da un destino scelto per lui da altri: suo padre Odino e, per proprietà transitiva, i suoi scrittori.
Il personaggio cerca in tutti modi di mostrarsi titanico, di convincere la platea che lui è più di ciò che il destino gli ha riservato, finendo per farsi divorare da questa bruciante e inattuabile ambizione. Un po’ Saul di Vittorio Alfieri e un po’ Claudio dall’Amleto.
Nell’approcciarsi alla miniserie, il lettore tenderà inizialmente a provare naturale astio nei confronti del suo protagonista, attendendo febbrilmente che suo fratello torni in pompa magna per rimetterlo al suo posto, perché abituato a vederlo interpretare il ruolo secondario dell’antagonista. Questa prospettiva (o pregiudizio) comincia però a ribaltarsi man mano che si approfondiscono le motivazioni di un individuo fino a quel momento mosso esclusivamente da odio e invidia rigorosamente immotivati.
Il maggior pregio di Rodi è stato proprio dare motivazioni sensate a Loki.
Strappato alla sua razza da Odino dopo che quest’ultimo aveva ucciso suo padre, costretto a vivere come fratellastro del rampollo degli Aesir, i quali non hanno mai smesso di disprezzarlo per il solo fatto di essere un gigante dei ghiacci (così come i lettori lo hanno da sempre disprezzato solo perché era il cattivo), è naturale che il suo primo pensiero nei confronti della famiglia adottiva sia la vendetta.
Si può quindi biasimare Loki per aver cercato di strapparsi a un tale ruolo?
Anche qui è impossibile dare una risposta netta, in quanto è pur sempre vero che il brutto carattere del personaggio ne pregiudichi la credibilità e, di conseguenza, l’empatia nei suoi confronti.
Fin dall’inizio è quindi chiaro e lampante che il suo destino sarà la rovina, una rovina che il lettore agogna perché conforme al naturale ordine delle cose, quello status quo che ingabbia i personaggi dei fumetti Marvel dalla nascita a oggi. Ironicamente, l’esistenza dei supereroi e dei loro comprimari diviene analoga al Ragnarok, il ciclo di morte e rinascita del mito norreno. Come tale è percepita dai lettori come un qualcosa di normale e ineluttabile: i buoni sono questi, i cattivi quelli; i buoni vincono, i cattivi perdono.
La punizione finale di Loki in questa miniserie che porta il suo nome è però assai diversa da tutte le altre: non viene punito nel momento in cui compie le sue malefatte, bensì in un momento successivo, in cui realizza di potersi emancipare dalla narrazione che si è fatta di lui fino a quel momento.
Non deve per forza essere un nemico, riflettersi in uno scontro immaginario e arbitrario, ossessionarsi nella pretesa di superare l’odiato fratello (in verità l’unico ad avergli mostrato affetto). Può anzi ritagliarsi uno spazio al di là del bene e del male e proporre una formula nuova capace di portare davvero pace e prosperità nei nove regni.
Nel mondo dei fumetti di supereroi non c’è spazio per questi cambi di paradigmi, ed ecco che infine Loki avrà quello che si merita, come sempre. Stavolta, però, il lettore avrà modo di chiedersi: se l’è meritato davvero? Quale vendetta è la più giusta? Quella di Thor nei confronti di Loki, o quella di Loki nei confronti degli Aesir? Forse entrambe? O nessuna?
La verità è che, secondo Rodi, ad Asgard non ci sono buoni o cattivi, ma solo burattini guidati dalla mano del padrone di turno.
Le azioni di Odino sono deprecabili tanto quanto quelle di Loki, se non di più. Il disprezzo razzista degli Aesir nei confronti del loro parente acquisito è disgustoso quasi quanto quello provato dal dio degli inganni nei confronti del suo perfetto contraltare, unica persona a non avergli mai rinfacciato nulla.
Eppure, finché era Odino a governare, andava benissimo che Loki venisse costantemente mortificato, perché questa era la volontà del Padre di tutti.
Quando però è Loki a prendere il potere, ecco che le malefatte degli dei vengono riconosciute dal lettore in tutta la loro gravità, a inequivocabile dimostrazione che volontà e giustizia sono concetti molto distanti tra loro.
Considerata l’ambiguità della sceneggiatura e la volontà di giocare con le aspettative dei lettori, la scelta di affidare il comparto grafico di questa miniserie a Esad Ribić assume molteplici sfumature.
Il disegnatore croato deve molto del suo stile al pittore e incisore olandese Rembrandt, conosciuto in particolare per l’estrema espressività e la naturalezza che infondeva nelle figure umane, tutte caratteristiche che ben si confanno all’impostazione teatrale delle scene e che, unite alle pose plastiche di stampo classicista, riescono a restituire pienamente l’equilibrio tra epos wagneriano e tragedia shakespeariana.
Loki: Fratelli di Sangue di Robert Rodi e Esad Ribić è una storia carica di significati metanarrativi e non, che spinge a riflettere sui ruoli sociali ai quali siamo assoggettati e sul valore reale dei nostri obiettivi.
Il destino del suo eponimo è perpetrare l’errore fino alla sua naturale disfatta, a meno che lui stesso, che ha sofferto così tanto quello stesso destino, non riesca spezzarne le catene rinunciando ai propositi di vendetta imposti da editori e lettori, capendo finalmente che, nella vendetta, non c’è giustizia.
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