The Walking Dead – Gli umani ritrovano l’umanità

Torniamo a parlare di Robert Kirkman, autore che ha saputo rivoluzionare il mondo del fumetto, approcciandone diversi suoi generi, tra cui il supereroistico con Invincible, ma quando si parla di questo autore è impossibile non citare la sua magnum opus, il fumetto che ha dato vita a un fenomeno mediatico tra serie TV, videogiochi e romanzi: The Walking Dead.

Questo articolo non vorrà tanto essere una recensione sul fumetto in sé, quanto uno studio sul perché questa serie abbia fatto così tanto presa sul pubblico.
Magari, così facendo, analizzarne i punti di forza e il suo sottotesto. Perché a prima vista chiunque potrebbe pensare “Un’altra serie sugli zombie? Un altro survival horror? Non ne abbiamo già abbastanza?”, ma una volta letti i primi numeri di The Walking Dead si comprende che non si ha davanti la solita storia del genere, ma qualcosa di più moderno, naturale e maturo.

The Walking Dead – Una storia con zombie ma non sugli zombie

Mentre guardavo La Notte dei Morti Viventi e Il Giorno degli Zombi, notavo che entrambi i film finivano con i personaggi che venivano portati via dagli elicotteri per non essere mai più visti, e pensavo: “L’unica cosa che voglio di più da questi film è sapere poi cos’è successo a loro”. […] Vorrei che i film di Romero non finissero mai, ma non succederà mai. Perciò farò il film zombi che non finisce mai.

(Robert Kirkman – Robert Kirkman Interviews Frank Miller About His Career, From Batman to Hollywood)

Le serie post-apocalittiche basate sugli zombie ci sono da decadi, ormai, e ogni autore ha voluto dare il suo contributo per rendere originale ogni opera che li coinvolgeva, dando un tono di innovazione ai propri prodotti.
Lo stesso ha fatto Kirkman con The Walking Dead, solo non concentrandosi tanto sugli zombi, quanto sugli umani.

Ciò è palese nella seconda pagina del primo volume: l’apocalisse è iniziata mentre il protagonista della vicenda, il poliziotto Rick Grimes, era in coma dopo essere stato ferito durante il recupero di un evaso. Il suo primo contatto con il mondo ormai in decadenza è traumatico, l’impatto col lettore è pesante, la tensione è presente già dalle prime pagine, anziché essere salita lentamente dall’inizio dell’epidemia.

In The Walking Dead non è importante sapere da dove vengono gli zombie, come sono stati creati, chi è il “paziente zero” e cosa ha portato il mondo all’apocalisse. Lo stesso Kirkman lo ha rivelato successivamente sul suo twitter (poi cancellato) e, com’è prevedibile, è stata una sorpresa deludente, non tanto perché insensata, ma perché non era quello l’importante. L’importante era vedere le reazioni umane e in un setting già delineato e deciso.

Se lo vediamo da un punto di vista prettamente narrativo, si può anche intravedere un effetto di foreshadowing sul tema principale. Ci saranno momenti nel corso della storia in cui i personaggi sembrano aver compreso la vera natura delle creature, solo per essere smentiti a breve termine.

Il focus di The Walking Dead, a dispetto di quanto si potrebbe intuire dal titolo, non è però il numero gargantuesco dei Morti Viventi, le orde di erranti o vaganti, come vengono chiamati da Rick e i suoi amici. Lo è la razza umana, o quel che ne rimane.

Rick e il suo gruppo dovranno farsi strada in un’America spezzata materialmente e spiritualmente, ognuno di loro vedrà in maniera diversa l’andamento degli eventi e reagirà in modo diverso. Chi sopravvivrà, chi soccomberà, chi si sacrificherà e chi soverchierà chi è più debole. Persone che vagano per il mondo in cerca di cibo, di un modo per sopravvivere.

Siamo noi i Morti Viventi?

L’elemento di maggiore interesse in The Walking Dead è la rappresentazione simmetrica degli umani e dei Vaganti: gli uni sono lo specchio degli altri.
Gli esseri umani, però, hanno qualcosa di più dei vaganti, qualcosa di migliore e contemporaneamente peggiore: la coscienza.
Tale elemento, unito al libero arbitrio, li spingere a compiere delle scelte morali.
Ma a cosa serve la morale, in un mondo dove l’idea di società è rara quanto il cibo?

L’analisi di The Walking Dead è quindi sui Vaganti, sugli umani e su quel piccolo insieme che include entrambi: la disumanizzazione dell’individuo quando è messo al limite fisico e psicologico, portandolo a perdere la sua natura o a rivelare quella vera, latente per molti anni.

Fin dove è possibile spingersi pur di salvare sé stessi o le persone che si amano? Saremmo costretti ad abbandonare ciò che ci rende umani, ad azzannarci l’un l’altro? E, soprattutto, il perdere la nostra umanità vuol dire essere effettivamente noi stessi?

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Purtroppo le regole del nostro mondo sono cambiate e sfortunatamente le nuove regole sfavoriscono qualcuno… Ma non siamo stati io e i miei amici a creare questa situazione. Noi ci limitiamo a vivere con la cosa, proprio come te“, spiegherà Chris, in uno dei momenti più inquietanti di The Walking Dead. Lo stesso farà Alpha, cercando di dimostrare che la perdita dell’umanità è paradossalmente il ritorno di essa al suo stato più naturale. L’uomo è più animale o persona?

Ad accentuare questo aspetto opprimente è la narrazione costantemente ciclica: il gruppo trova un posto apparentemente sicuro, vi sono vicissitudini tra di loro, arrivano i Vaganti, il gruppo cerca di difendersi ma fallisce a causa di dissidi interni, qualcuno muore, il gruppo fugge, deluso e amareggiato, per cercare un altro posto.

Questa ciclicità però non annoia mai come potrebbe fare nelle mani di un qualsiasi altro autore.
Forse perché, in un certo senso, può essere vista come metafora della vita umana: ognuno di noi lotta per la sopravvivenza, chi più chi meno. Ogni giorno è una sfida per qualcuno anche solo arrivare alla fine e, quando sembra di aver raggiunto uno scoglio, un’onda lo scaglia via e questi è costretto a trovare un altro approdo, senza la certezza che quello sarà l’ultimo.

“NOI NON SIAMO I MORTI VIVENTI!”

Rick Grmes, non a caso il vero protagonista di The Walking Dead, è la perfetta rappresentazione della razza umana. Una razza complessa, sfaccettata, con luci e ombre, che per più volte rischia di perdere la speranza e la sua stessa umanità, a trasformarsi in mostro per salvare i suoi simili. Ma perché cercare si prevaricare l’uno sull’altro, se apparteniamo tutti alla stessa specie?

Non a caso Kirkman l’ha reso un poliziotto: un fautore dell’ordine e della giustizia, che può cadere nel baratro della corruzione e della spietatezza il più delle volte per mantenere sicura ala sua città, ma che non finirà mai di fare del suo meglio per proteggere le persone nella sua giurisdizione. Quest’ultima prima era situata in una cittadina, poi in un gruppo e, infine, possibilmente nel mondo intero

Rick, il suo gruppo e lo stesso lettore di The Walking Dead saranno più volte spinti a dubitare della propria morale, a farsi domande su ciò che è giusto o sbagliato, che sia in un periodo di crisi o nella vita di tutti i giorni.

Ma Kirkman non sarebbe Kirkman se non infondesse un pensiero ottimista in un suo fumetto. E The Walking Dead, che può essere considerata la sua opera più drammatica, paradossalmente non manca di un atteggiamento positivo. Andando avanti con la storia, i sacrifici aumenteranno, le scelte intraprese saranno più ardue, il gruppo più volte verrà messo dinnanzi all’abisso infinito che è la malvagità umana. Ma per ogni perdita subita, ognuno di loro guadagnerà anche un barlume di speranza, qualcosa per cui continuare ad andare avanti. Che sia un parente ritrovato, un amore da proteggere, la semplice voglia di vivere o la speranza di un domani migliore, ognuno dei personaggi ha un motivo per non essere un morto vivente.

Il vero fulcro di The Walking Dead non è dunque la mera ricerca della sopravvivenza in un’apocalisse zombie, ma dell’umanità. Umanità non intesa come razza, ma come essenza. Qualcosa che ci distingue dai mostri, dagli zombi, dai governatori folli, da capibanda spietati e da machiavellici sovrani. Qualcosa che ognuno di noi deve ricordarsi di avere anche nei momenti più difficili.

The Walking Dead non parla solo di viaggio, parla di umanità, di società, vita, morte e speranza. Una continua ricerca di verità, di identità di un gruppo e al contempo di una nazione perduta e che deve essere ritrovata.

Noi non siamo i morti viventi! O almeno… non dobbiamo esserlo. Non più.

(Rick Grimes)

 

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Veoneladraal

Fin da bambino sono sempre stato appassionato di due cose: i romanzi fantasy e il cinema, passioni che ho coltivato nel mio percorso universitario, laureandomi al DAMS Crescendo hoi mparato a coltivare gli amori per i videogiochi, i fumetti e ogni altra forma di cultura popolare. Ho scritto per magazine quali Upside Down Magazine e Porto Intergalattico, e ora è il turno di SpaceNerd di sorbirsi la mia persona! Sono un laureato alla facoltà DAMS di Torino, con tesi su American Gods e sono in procinto di perseguire il master in Cinema, Arte e Musica.

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