Avendo ormai assestato le gerarchie della casa editrice, Joe Quesada continua la sua opera di uomo-immagine della Marvel e sordido accalappiatore di maestranze. A differenza dei suoi predecessori, cerca sempre di farsi vedere in giro, o quantomeno far girare il suo nome.
Partecipa a decine di interviste, risponde personalmente ai commenti dei lettori (o presunti tali) sui forum online e alle fiere, il tutto senza peli sulla lingua e senza la minima pretesa di istituzionalità.
Solo Stan Lee era riuscito ad associare in maniera tanto efficace il nome Marvel al proprio. E parlando del Sorridente, le abilità nel marketing di Quesada sono tali da riuscire a convincere i lettori dell’esistenza di un supereroe perduto creato proprio da Stan Lee – suo diretto complice – e Artie Rosen nel 1961 (quindi prima ancora dei Fantastici 4) per pubblicizzare la miniserie The Sentry di Paul Jenkins e Jae Lee.
Eppure non si limita a farsi vedere e sentire, ma sembra avere anche le mani in pasta ovunque, arrivando a immischiarsi nella decennale causa tra Neil Gaiman e Todd McFarlane sui diritti di vari personaggi, tra cui Angela e Miracleman. Quesada decide di prendere le parti di Gaiman pagandogli le spese legali. In cambio Gaiman avrebbe scritto per la Marvel la miniserie 1602, che reimmaginava gli eroi Marvel nell’Inghilterra elisabettiana, e un rilancio degli Eterni creati da Jack Kirby, sancendo la sua prima collaborazione con l’editore.
Dopo questo colpaccio Quesada pensa addirittura di poter portare nientemeno che Alan Moore in Marvel, nonostante da una decina d’anni avesse dichiarato guerra a tutte le major.
Il colpo davvero grosso non gli riesce, ma ottiene quantomeno che Moore annulli il veto sulla ristampa delle storie di Capitan Bretagna da lui scritte negli anni ’80.
Nel frattempo deve anche fare i conti con lo straordinario successo dei film con protagonisti i supereroi Marvel che in quel periodo spuntano come funghi. Il più clamoroso tra questi è senza dubbio lo Spider-Man (2002) di Sam Raimi, che oltre a incassare più di 800 milioni di dollari porta molti potenziali lettori al tessiragnatele fumettistico.
Inizialmente, sia Ultimate Spider-Man sia The Amazing Spider-Man, la testata storica del ragno, sembrano beneficiare di questa nuova ondata di lettori, ma a lungo andare diviene ovvia la preferenza nei confronti della controparte alternativa di Peter Parker curata da Brian Michael Bendis.
Quesada e gli altri vertici della Marvel sono concordi sul perché: il Peter Parker classico è troppo vecchio.
Il nuovo editor-in-chief aveva già in mente ultimatizzare l’intero Universo Marvel attraverso un percorso graduale, ma la nuova notorietà cinematografica di Spider-Man, unita alle scelte operate dallo scrittore J. Michael Straczynski sulla testata ammiraglia del ragno, lo spingono a prendere di mira il personaggio. Straczynski si è infatti focalizzato sulla crescita di Peter Parker, trasformandolo in un personaggio responsabile, forgiato dalle sventure, con un lavoro stabile e immerso in un ambiente dominato da degrado urbano e microcriminalità giovanile. L’esatto opposto del giovane geek del ‘2000 scritto da Brian Michael Bendis.
Sebbene tali premesse siano poco incoraggianti, va detto che il lavoro di Straczynski continua indisturbato fino al n. 509 di Amazing (2004), che dà inizio alla saga in sei parti Peccati del passato, dove si scopre che il primo amore di Peter Parker, l’insipida Gwen Stacy, aveva intrapreso una relazione sessuale con nientemeno che Norman Osborn, suo assassino e nemico giurato di Spider-Man, e da questa relazione sarebbero addirittura nati due gemelli.
Nei piani originali dello scrittore, il rapporto sessuale tra Norman e Gwen è solo una fantasia malata dell’alter-ego di Goblin, mentre i due gemelli sono in realtà figli che Gwern avrebbe avuto con Peter. Tuttavia Quesada e gli altri editor pensano che la paternità possa allontanare ulteriormente il personaggio dai giovani lettori, e impone a Straczynski di cambiare la storia di punto in bianco. La saga si conclude così in maniera ambigua e raffazzonata, e il destino dei due gemelli non verrà mai chiarito come si deve. I lettori di lunga data sono però imbufaliti dalla perversione del personaggio di Gwen, considerando imperdonabile che abbia giaciuto con l’arcinemico del loro eroe. D’altronde perché lasciarsi sedurre da un miliardario carismatico quando puoi tenerti lo sfigato sottopagato e perennemente in ritardo agli appuntamenti? Stupidità dei lettori a parte, questa ingerenza editoriale causerà la prima stortura nel rapporto tra l’incolpevole Straczynski e i fan, ma non l’ultima.
Altro fumetto che gode di particolari attenzioni da parte di Joe Quesada è la testata Avengers.
Dopo essere riuscito a portare a casa l’accordo con la DC Comics per la pubblicazione del leggendario crossover Avengers/JLA (2003) scritto da Kurt Busiek e disegnato da George Perez, all’epoca team principale di Avengers da ben 6 anni, è venuto il momento di scegliere qualcuno che li sostituisca.
Viene scelto lo scrittore più remunerativo della casa editrice, il solito Brian Michael Bendis, che sia su Ultimate Spider-Man sia su Daredevil, dove aveva sostituito il ritardatario Kevin Smith, continua a racimolare consensi e copie vendute. Questa scelta esemplifica l’idea che Quesada vuole imprimere alla serie: Avengers deve essere LA testata Marvel. Da lì in avanti gruppo sarà composto dai personaggi più potenti e popolari della casa editrice (ed ecco che Wolverine e Spider-Man entrano per la prima volta a farne parte), verrà scritto e disegnato dai migliori autori sulla piazza e, cosa più importante, gli eventi all’interno della serie saranno il perno attorno a cui ruoterà l’interno Marvel Universe. Tant’è vero che essere lo scrittore di Avengers significherà essere lo showrunner de facto dell’intera casa editrice.
Il risultato è che la serie, chiusa dopo 4 numeri e poi riaperta sotto il nome di New Avengers, diventa l’ennesima hit del periodo firmata BMB. Raggiunge quasi sempre la Top 5 delle vendite mensili e arriva addirittura a superare Ultimate Spider-Man.
Prima di allora Avengers, per quanto strano possa sembrare, era una testata a dir poco secondaria, e i lettori avevano sempre preferito i gruppi mutanti agli Eroi più potenti della Terra.
È solo merito di Millar, Quesada e Bendis se oggi il vasto pubblico può apprezzarne le gesta sul grande schermo. Senza di loro, l’idea di produrre un film degli Avengers sarebbe stata comparabile a quella di un film sulla Force Works. A Quesada però non basta e decide che al suo blockbuster va data un’altra spintarella: riportare in auge il concetto di miniserie evento.
Le miniserie evento trovano il loro prototipo nel 1982 con la miniserie Marvel Super Hero Contest of Champions, ma a dargli la forma attuale fu la maxiserie del 1984 Secret Wars (Guerre Segrete), in cui una squadra di supereroi e una di supercattivi si danno battaglia sul pianeta puzzle Battleworld per volontà dell’essere cosmico noto come Arcano. La serie, nata per sponsorizzare una linea di giocattoli dei supereroi Marvel, ebbe un grande successo e diverse ripercussioni sulle testate degli eroi che vi parteciparono (si pensi che è lì che Spider-Man ottiene il celeberrimo costume nero). Quesada decide di recuperare quella formula e di adattarla alla sua gestione ispirata alla serialità televisiva. Innanzitutto, la rende quasi un’esclusiva degli Avengers (successivamente la allargherà anche ai mutanti e alle serie cosmiche), utilizzandola prima come spartiacque tra i vari cicli della testata e successivamente come precursore di un imminente rilancio di tutte le serie.
Ancora oggi dopo una miniserie evento si è soliti chiudere, aprire o cambiare il team creativo di una o più testate.
Per chiarire la sua ispirazione, il primo esempio di questo nuovo modo di intendere le miniserie evento, inaugurato nel 2004, prende il nome di Secret War (Guerra Segreta). Da lì in poi diviene una tradizione sfornare miniserie evento atte a sconvolgere l’intero Universo Marvel a cadenza annuale. Questo, come fu per le tanto osteggiate resurrezioni, decreta una progressiva perdita di interesse verso gli eventi in sé, ma dà al contempo degli starting poi ideali ai nuovi lettori. Non a caso, tutte le miniserie evento che si susseguiranno da quel momento in poi (House of M, Planet Hulk, Secret Invasion e, soprattutto, Civil War) saranno sempre i fumetti più venduti del mese.
Proprio con Civil War, miniserie pubblicata tra il 2006 e il 2007 scritta da Mark Millar e disegnata da Steve McNiven, la Marvel compie diverse scelte narrative a dir poco rivoluzionarie per l’epoca. Con la guerra civile scoppiata in seguito all’emanazione dell’atto di registrazione dei supereroi, la casa editrice prende una posizione netta nei confronti delle politiche adottate dall’amministrazione Bush in seguito agli attacchi dell’11 settembre. Inoltre, alla fine del conflitto muore Capitan America, simboleggiando con la sua (momentanea) dipartita l’abbandono definitivo del modo ingenuo di intendere i fumetti di supereroi prima dell’arrivo di Quesada in Marvel.
Ciliegina sulla torta: Spider-Man rivela la sua vera identità in mondovisione.
Lo smascheramento dell’Uomo Ragno è in realtà un pretesto per mettere in atto il piano definitivo di Quesada per svecchiare la figura di Spider-Man.
Dopo averne soppresso le possibilità di paternità in Peccati del passato, l’editor-in-chief pensa di scardinare uno dei pilastri del personaggio: la sua relazione con Mary Jane Watson. La storia tra i due durava ormai da 30 anni e non poteva evolversi ulteriormente, essendo loro già sposati. Ed ecco che la rivelazione avvenuta tra le pagine di Civil War attira le attenzioni della criminalità, intenzionata a rivalersi sul Ragno. Durante la saga Back in Black (2006 – 2007) di Straczynski e Ron Garney, un cecchino mandato da Kingpin spara a zia May nel tentativo di uccidere Peter, che si vendica pestando a sangue il boss dei boss dentro la prigione in cui era rinchiuso. Il destino di zia May resta però segnato, quando a Peter si presenta Mefisto, che gli propone un patto: la sua felicità (ossia il suo matrimonio) in cambio della vita della vecchia. Questo patto viene sancito all’interno della famigerata saga One More Day (2007), disegnata dallo stesso Joe Quesada e scritta (nominalmente) da J. Michael Straczynski.
Lo scrittore non è per niente d’accordo con questa svolta narrativa.
Essa vanifica non solo trent’anni di storie del personaggio, ma anche tutto il lavoro che lui stesso aveva svolto in 6 anni. Non a caso Straczynski scrive in realtà solo i primi due numeri di One More Day, mentre degli altri se ne occupano lo stesso Quesada in tandem con Brian Michael Bendis, Mark Millar, Ed Brubaker e altri. Il creatore di Babylon 5 pretende di non essere affatto accreditato per gli ultimi due numeri, ma alla fine Quesada lo convince a recedere da questo proposito, sancendo però la fine del suo rapporto con la casa editrice. Sebbene la miniserie macchierà per sempre la reputazione dello scrittore presso i fan del Ragno, stavolta anche Joe Quesada si becca la sua dose di astio. Di fatto si aliena buona fetta dei lettori dell’arrampicamuri, i quali dovranno aspettare quasi 15 anni per vedere ripristinato il rapporto tra Peter e Mary Jane. Per molti si tratta di uno dei peggiori passi falsi della sua gestione come editor-in-chief della Marvel. Anche se, in verità, è una considerazione assai opinabile. Imbufalimento a parte, il rilancio Band New Day che segue il ciclo di Straczynski è subito campione d’incassi e riporta per la prima volta dopo tanto tempo The Amazing Spider-Man (rimasta l’unica testata del Ragno) stabilmente in cima alle classifiche di vendita, nonostante la pubblicazione stringente di 3 albi al mese.
Ancora una volta, nonostante le critiche ferocissime, Joe Quesada ha ragione dei fetenti nerds, sfoggiando per di più l’ennesima evoluzione stilistica come disegnatore. In One More Day si può infatti apprezzare la sua transizione verso il realismo, evidente nella divisione accurata dei volumi attraverso le ombre. Non solo, anche il suo approccio alle inquadrature cambia, rivelandosi ben più cinematografico e avvicinandosi a quella serialità televisiva che aveva cercato di imprimere nelle testate della Marvel.
I suoi risultati finiscono in breve tempo per bucare di nuovo le barriere del fumetto, attirando le attenzioni della Walt Disney Company. Ammaliata dalla nuova immagine ripulita dei supereroi Marvel, la casa madre di Topolino è intenzionata a produrre non uno, ma un’intera serie di film collegati fra loro che riproducano al cinema il concetto di universo condiviso. Come eroe inaugurale viene scelto Iron Man, uno dei supereroi che maggiormente hanno beneficiato dell’arrivo di Quesada. Lui stesso collabora al soggetto del film insieme ai fedelissimi Brian Michael Bendis, Mark Millar, Ralph Macchio, Tom Brevoort e Axel Alonso. Non solo: si decide di prendere come fonte di ispirazione la recente saga a fumetti Extremis (2005 – 2006), scritta da Warren Ellis e disegnata da Adi Granov. Quest’ultimo sarà inoltre il designer dell’armatura cinematografica di Iron Man, a testimoniare il prestigio ottenuto dai creatori di fumetti anche al di fuori del loro ambito. Il successo di Iron Man (2008) diretto da Jon Favreau convincerà poi Disney ad acquisire l’intera Marvel Comics nel 2010, sancendo la nascita del Marvel Cinematic Universe. Inoltre Joe Quesada viene promosso da editor-in-chief della casa editrice – ruolo che passerà al braccio destro Axel Alonso – a chief-creative-officer, ponendo fine a un regno durato ben 11 anni.
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