Jiraiya è uno dei personaggi più importanti e amati del manga Naruto di Masashi Kishimoto, il quale ha attinto a piene mani dal folklore e dalla mitologia giapponese per plasmare il suo universo narrativo.
Il Giappone è infatti un paese culturalmente tradizionalista, ma anche molto attento ai media, e ciò ha portato a un’eccentrica commistione tra narrativa ed estetica del presente e del passato, dove anche i design di avveniristici robot giganti da combattimento presentano evidenti richiami alle armature degli antichi samurai.
Andremo quindi a scoprire quali aspetti dell’antico Giappone sono stati fondamentali nella caratterizzazione estetica e caratteriale del ninja leggendario Jiraiya, soffermandoci in particolare su uno di questi: il teatro kabuki.
Il personaggio di Jiraiya, così come gli altri due ninja leggendari, Tsunade e Orochimaru, trae il suo nome dal romanzo incompleto del 1839 Jiraiya goketsu monogatari.
Tuttavia, l’omonimo creato da Kishimoto ha poco da spartire con la fonte originale, fatta eccezione per l’antagonismo nei confronti di Orochimaru, l’attrazione per Tsunade e il suo legame con i rospi.
Nelle illustrazioni del racconto originale a opera di Utagawa Kunisada, l’eroe viene sì rappresentato con un fisico imponente e robusto come il ninja della foglia, ma anche con un portamento altero, elegante e con i capelli neri, in netto contrasto con l’esuberanza e la goffaggine del personaggio cartaceo.
La chioma bianca, le pose esagerate e le linee rosse sulle guance sono la chiave volta per decodificare la reale ispirazione estetica di Masashi Kishimoto, da ricercare non nella letteratura, bensì nel teatro.
Nato nel periodo Edo (1603-1868), il Kabuki era una forma di teatro particolarmente libera e trasgressiva, considerata al pari dei quartieri del piacere.
Con esso nasce anche l’Odori, la più antica forma di danza codificata, creata nel 1603 dalla danzatrice Okuni, sacerdotessa del grande santuario shintō di Izumo, elaborando vivaci danze popolari accompagnate da canzoni tradizionali ed eseguite in costumi colorati e allegri.
Tale danza divenne particolarmente popolare tra le prostitute, che aggiunsero alle performance pantomime e scene comiche, spesso ricche di allusioni sessuali, utilizzando costumi provocanti e materiali scenici esotici.
Già da qui è facile intuirne gli influssi che tale tipologia di teatro ha avuto sul carattere del personaggio di Naruto, che di atteggiamenti e luoghi trasgressivi è un esperto.
Come per la commedia dell’arte occidentale, anche nel teatro kabuki sono andati a codificarsi, nel corso del tempo, delle vere e proprie “maschere“.
Una delle più iconiche è lo Spirito del leone padre, presente nel dramma del 1872 Renjishi (I due leoni), scritto da Kawatake Mokuami e coreografato da Hanayagi Jusuke I.
La parola shishi viene genericamente tradotta come leone, ma in realtà rappresenta un animale leggendario del folklore asiatico solo vagamente simile al leone, che incarna il concetto di protezione ed è a guardia delle figure di spicco, allo stesso modo in cui Jiraiya funge da figura paterna e guardiano di Naruto.
La maschera kabuki dello shishi è caratterizzata da una folta acconciatura bianca e arruffata che richiama la creatura di riferimento, oltre a un pensante trucco rosso sugli occhi chiamato keshō. Questo particolare make-up è composto da linee atte a rendere evidenti i sentimenti che animano i personaggi; in particolare quelle di colore rosso rappresentano il coraggio e l’ostinazione.
Lo Spirito del leone padre è caratterizzato anche dall’aragoto, uno stile di recitazione virile, guerriero ed esagerato, parecchio sopra le righe, con un tono di voce amplificato naturalmente per mezzo di una tecnica complessa, costumi sontuosi e sovradimensionati ed enormi parrucche.
Sempre nel Renjishi è presente una sequenza di kata (passi di danza) in cui l’attore ruota vorticosamente il capo per allungare ed esporre scenicamente la propria parrucca, proprio come Jiraiya quando utilizza i propri capelli come arma.
Alla fine delle sequenze di kata segue un mie, ossia una posa enfatica che sottolinea drammaticamente un momento importante e comunica al pubblico la pienezza della presenza fisica del personaggio.
Quando l’Eremita dei rospi vuole darsi delle arie o entrare in scena con particolare enfasi, esegue proprio dei mie.
Tutti questi gesti che Jiraiya ripete in continuazione, anche se con evidente scopo parodistico, rivelano la profondità culturale che si cela dietro figure apparentemente semplici e frivole, fornendo informazioni vitali per decodificare alcuni dei meccanismi che regolano l’intrattenimento di un paese lontano e difficile da comprendere come il Giappone.
Nel caso questo piccolo approfondimento vi abbia incuriosito, fatecelo sapere. Potrebbero essercene altri in futuro.
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