Sam Levinson e il suo ultimo film per Netflix, Malcolm & Marie, sono l’esempio perfetto di come la pretesa autoriale di un artista non sia sinonimo di qualità.
Levinson era infatti diventato famoso grazie alla sua serie HBO Euphoria, sempre con Zendaya come attrice protagonista, un dramma che metteva in scena le varie difficoltà della vita adolescenziale. Tale buona riuscita non è messa in dubbio, ma sembra che infine il regista abbia creduto troppo nella sua bravura.
Questo si ripercuote sul controverso successo di Malcolm & Marie, primo film realizzato dopo lo scoppio della pandemia, che ha letteralmente spaccato in due sia il pubblico che la critica. Ironico, visto quanto siano di solito divise queste due fazioni già di per sé.
Malcolm e Marie, i due protagonisti che danno il nome al lungometraggio, sono una coppia di fidanzati, rispettivamente un regista esordiente e una modella e aspirante attrice, nonché ex-tossicodipendente.
Sono appena tornati a casa dopo la première del primo film di Malcolm e, dopo pochi minuti, si perdono nei loro discordi, iniziano a discutere animatamente – per non dire aspramente – sul film di Malcom e su ciò che esso ha significato per loro, per poi spostarsi sul loro rapporto e sul significato della loro relazione.
Tutta la vicenda si svolge nel giro di una notte, con la sola coppia come personaggi e con un filtro in bianco e nero che permea l’intera pellicola.
Chi mastica il cinema classico potrebbe notare diverse somiglianze tra lo stile narrativo di questo film e quelli di Godard e Antonioni, principalmente riguardanti la comunicabilità e soprattutto l’incomunicabilità tra le coppie. Non ci si dovrebbe sorprendere se lo stesso Levinson conoscesse questi due maestri del cinema italiano e francese, dato che il suo Malcolm cita pilastri del calibro di William Wyler e persino il nostrano Gillo Pontecorvo.
Ma c’è una gran differenza tra questi stili: Malcolm e Marie sembrano parlare dei loro problemi di coppia per la prima volta dopo tutti gli anni che sono stati insieme, come se per tutto questo tempo non abbiano mai esposto l’un l’altra i propri dubbi, le proprie avversioni.
Viene quindi spontaneo chiedersi perché non ne abbiano mai parlato prima, perché Levinson non abbia concesso al pubblico di conoscere i personaggi nella loro evoluzione, così da poter provare empatia per loro durante il climax della loro vita.
Come disse Alfred Hitchcock: “Un film è la vita con le parti noiose tagliate“, ma qui a essere state tagliate sono proprio le parti più importanti ed essenziali per mostrare l’arco caratteriale dei personaggi.
Una volta notato questo, i dialoghi risultano forzati ed eccessivamente prosopopeici, soprattutto nei riguardi di Malcolm. Il suo continuo sbraitare contro la critica moderna o la critica in generale o diversi film e registi contemporanei pare essere la voce dello stesso Levinson.
Potrebbe anche essere che il personaggio sia stato scritto in quel modo appositamente per risultare un diretto opposto del regista. Visto però il continuo esporsi dei personaggi in dialoghi eccessivi, la prima ipotesi appare largamente più probabile.
Si potrebbe usare la scusa di Kaufman: anche la sua ultima storia, sempre per Netflix, Sto Pensando di Finirla Qui, si svolge nel giro di qualche ora, e in essa la coppia esprime i dubbi sul proprio rapporto. Ma lì il regista ha saputo ricreare in maniera scaltra il passato dei personaggi utilizzando digressioni, flashback e flashfoward, come se tutta la vita della coppia si svolgesse proprio in quei momenti, in un modo surreale e onirico proprio nello stile di Kaufman. Qui invece vi è una linearità perfetta della vicenda e le azioni si svolgono quasi in tempo reale, tolti forse i momenti di silenzio e introspezione.
Parlando dell’utilizzo del bianco e nero, esso pare un mero pretesto per aggiungere ulteriore verve al film, un inutile voyeurismo.
Come analizzato nella recensione di MANK, l’effetto bianco e nero deve essere specializzato e giustificato, deve avere uno scopo. Nel caso di quest’ultimo film era per rendere l’atmosfera il più simile possibile a Quarto Potere, con l’aggiunta oltretutto di strumenti di registrazione, montaggio e regia propri degli anni ’40.
In Malcolm & Marie invece a cosa serve la visione bicromatica? Per accentuare il contrasto tra i due personaggi e i loro modi di vedere la vita? Non bastava semplicemente vestirli con colori simmetricamente opposti? Levinson pare abbia utilizzato la libertà creativa che Netflix gli ha concesso per creare un effetto kitsch antiquato e non necessario.
Fin qui si è parlato principalmente di problemi di scrittura, che seppur sia fondamentale, non è la sola componente di un’opera visiva, e il resto di Malcolm & Marie è effettivamente da lodare.
Non fosse per i dialoghi, il film avrebbe potuto reggersi sull’ottima interpretazione di Zendaya e John David Washington, che si rivelano attori ricchi di carisma ed energia, capaci di resistere e opporsi l’uno all’altra e al contempo di completarsi. Il modo in cui interagiscono con l’ambiente circostante e i loro movimenti pesantemente realistici. Peccato non si possa dire lo stesso delle loro discussioni.
Se tralasciamo il bianco e nero, la regia e la fotografia di Levinson sono magistrali.
È incredibile come determinate scene siano state girate con un unico piano sequenza. Le inquadrature silenziose, soprattutto degli esterni, riescono effettivamente a esprimere l’incomunicabilità e il vuoto che permea la distanza tra i due personaggi, fattore accentuato proprio dalla lontananza di Zendaya e di Washington dall’obiettivo, come se neanche noi potessimo raggiungerli, osservarli o anche solo sentirli realmente, allo stesso modo in cui loro non riescono a farlo l’uno con l’altra.
Proprio questo si spera in un film simile: più silenzi, più momenti di introspezione visiva, come funzionavano a suo tempo nei film del già citato Michelangelo Antonioni.
Continuando a parlare del grande regista ferrarese, è lodabile come l’ultimo atto di questo film sembri effettivamente raggiungere la sua identità. Un’identità dubbia, poco speranzosa verso il futuro, e tutto per via della relazione turbolenta tra i personaggi che danno titolo al film, per lasciarci un finale che ricorda molto L’Avventura. Se solo tutto il film fosse stato bilanciato allo stesso modo, forse questa recensione sarebbe stata assai più clemente.
Se la sceneggiatura stessa è il problema, essendo fragile e mal strutturata, allora l’intera opera rischia di crollare su sé stessa. Eppure Malcolm & Marie di Sam Levinson non è per forza un brutto film, quanto più un’occasione sprecata per mostrare realmente le vicissitudini di una coppia in crisi, renderle cinematograficamente drammatiche, dare più spazio alle immagini che al parlato, permettendo così a un regista esordiente di mostrare il suo vero valore artistico.
Forse in quel caso si sarebbe davvero avuto qualcosa di eccelso.
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