Quando si mettono insime un animatore che è anche una leggenda vivente dei classici Disney come Glen Keane (Duet, Dear Bascketball) e un eccellente professionista come John Kahrs (Paperman, Age of Sail) e li si mettono sotto l’ala protettiva di un Sony Picture Imageworks in rapida ascesa, non ci si può aspettare altro che un eccellente film.
Over the Moon è risultato fin dal suo primo annuncio come un progetto di altissimo interesse visti i nomi coinvolti, il fatto che il progetto comprendesse anche una parte di produzione cinese e prendesse spunto da un mito cinese, elemento molto affascinante per il pubblico occidentale.
Inoltre, considerando le ultime produzioni Netflix per quanto riguarda i film d’animazione (ricordiamo tutti Next Gen e Klaus), le aspettative erano piuttosto alte.
Over the Moon – Il fantastico mondo di Lunaria è un lungometraggio animato in 3DCGI prodotto da Netflix Animation e Pearl Studio (di Shanghai), realizzato da Sony Picture Imageworks, diretto da Glen Keane e John Kahrs entrambi debuttanti per quanto riguarda la regia di un lungometraggio. In uscita il 23 ottobre 2020 sulla piattaforma Netflix.
In un non specificato villaggio della Cina, la piccola Fei Fei perde la madre all’età di 9 anni; ne rimane prevedibilmente distrutta, ma in qualche modo riesce ad andare avanti grazie al bel ricordo che ha di lei, lasciato nelle storie che le raccontava da bambina su Chang’e, la dea che attende sulla luna il ritorno del suo amato umano, ormai morto da tempo, e nelle ricette dei mooncake, i dolcetti della luna, che vendono nel negozio di famiglia.
Tutto cambia 4 anni più tardi, quando il padre di Fei Fei porta a casa una donna con cui vuole risposarsi e il figlio di lei Chin, di qualche anno più piccolo di Fei Fei. La ragazzina non prende affatto bene la cosa, sovrapponendo il padre alla figura della dea della luna Chang’e e vive la decisione del padre come un tradimento alla memoria della madre. Fei Fei, convinta dell’esistenza della dea della luna, decide di costruire un razzo per arrivare fin sulla luna e portare al padre la prova che la dea esista davvero, così da fargli recuperare l’amore per la madre.
Da due grandi professionisti che si sono fatti le ossa sui film Disney non potevamo aspettarci nient’altro se non un film che ricalchi pedissequamente le orme dei classici Disney. Keane e Kahrs usano la leggenda cinese di Chang’e e Houyi in una storia di crescita personale della protagonista, in cui la ragazzina, come la dea della storia, è bloccata nel suo legame con un passato che non può tornare e vive la sua tristezza isolandosi da tutto il resto.
Questo concetto è reso molto bene da Keane e Kahrs, premurandosi di tenere la ragazzina isolata rispetto agli altri personaggi, sempre un passo indietro a una tavola imbandita, o a un banco da lavoro, oppure isolata da qualche ostacolo o dalla semplice inquadratura.
Anche quando qualcuno tenta di avvicinarsi a lei, Fei Fei è sempre percepita come distante o opposta in qualche modo, cosa che rende scenicamente la sua solitudine.
A una regia più che buona si accompagna purtroppo una scrittura non altrettanto ottima.
Il film ha una struttura da fiaba moderna nello stile musicato da classico Disney e segue un filo logico abbastanza semplice e prevedibile, ma corretto dall’inizio alla fine. La pochezza di grossi colpi di scena danno un certo fastidio, soprattutto nella seconda parte della storia, in cui ci si aspetta una virata che puntualmente non arriva.
Il personaggio di Chang’e in particolare risente molto di questa mancanza, perché nel finale non arrivano spiegazioni su molti dei suoi comportamenti iniziali e il suo carattere, nonostante sia delineato molto bene, risulta semplicemente bipolare.
Un altro grosso difetto della sceneggiatura del film è che vengono persi numerosi dettagli menzionati durante le fasi iniziali, ma che non vengono mai approfonditi. Non si parla più delle diverse versioni del mito di Chang’e menzionate all’inizio del film, il Cane Spaziale dell’incipit non ha nessun ruolo se non un piccolo e inutile cameo, per quanto riguarda quell’airone che appare in un momento cardine del film, serve parecchia fantasia per capirne il significato, in quanto non viene mai spiegato ne per dialoghi ne per immagini il suo collegamento con il personaggio di cui, in teoria, fa le veci.
Elemento particolarmente grave è poi quello del momento in cui Fei Fei prende dal suo zaino uno degli oggetti chiave per risolvere la situazione in cui si è cacciata, oggetto che (non faccio spoiler) non poteva e non doveva essere in quello zaino.
Tutta la sceneggiatura si perde per una marea di dettagli che fanno pensare che qualcosa sia stato perso per strada o che girando un attimo gli occhi lo spettatore si sia perso qualche dettaglio importante quando invece questo dettaglio semplicemente non c’è. Per quanto riguarda l’airone posso anche lasciar passare, non è una sottotrama molto importante (anche se trattata come se lo fosse), ma rimane l’amaro in bocca nel non sapere quale sia la vera storia dietro Chang’e e Houyi, nel non sapere come quell’oggetto sia finito nello zaino di Fei Fei.
Un vero peccato per un film che nonostante tutto riesce ad far passare il suo messaggio principale con una storia che riesce a trascinarsi fino in fondo nonostante gli inciampi.
I personaggi davvero interessanti di tutto il film sono soltanto due: Fei Fei e Chang’e. La prima è caratterizzata molto bene nel suo dolore interno che fuoriesce nel momento in cui si accorge che suo padre sta andando avanti con la sua vita, e tutto il film gira intorno a questo. Per quanto riguarda la seconda, come già detto, sembra solamente bipolare: o diva viziata o inconsolabile amante abbandonata.
Tutti gli altri personaggi sono più o meno tutti macchiette. Chin e Gobi hanno più o meno la stessa funziona, incarnare lo spirito positivo delle due sopra citate e spingerle ed andare avanti, ma oltre a questo sono entrambi sottotrame comiche con una caratterizzazione minima. Tutt’altro discorso si può fare per il padre di Fei Fei, che riesce a rimanere impresso nella mente dello spettatore grazie alla sua espressività e alle sue reazioni, credibili per la situazione che si trova ad affrontare.
La 3DCGI usata per Over the Moon è qualcosa di spettacolare. Non siamo al livello di dettaglio di un film Pixar, ma comunque molto vicini. Tutti i personaggi, che siano umani, animali, animali mitologici o informi creature lunari, sono realizzati con modelli di altissima qualità, notevolmente dettagliati, che permettono una grande espressività.
I personaggi umani risultano ottimamente disegnati e animati, si muovono tutti con estrema naturalezza, ognuno secondo il proprio carattere, interagendo molto bene anche con gli oggetti di contorno.
Gli animali sono resi benissimo, sia quelli più cartoonosi come il coniglio di Chang’e, Jade, sia, soprattutto, quelli più simili alla realtà, in particolare Bungee, il coniglio di Fei Fei, e il ranocchio di Chin. Il pelo del coniglio in particolare sorprende per quanto è animato bene, così come il pelo del Cane Spaziale, sia nella sua forma immaginaria che fisica.
Le creature che fanno parte della cittadinanza di Lunaria invece sono tutte gelatine senzienti, in gran parte di forme indefinite e solo in un caso dalla forma di volatile (palesemente ispirati ai personaggi di Angry Birds, sempre di Sony Pictures Imageworks) che risultano carini da vedere anche se si sarebbe potuto osare un po’ di più.
Lunaria stessa ha un design nel complesso molto carino, ma poco logico. Una serie di strutture gelatinose di varie forme astratte che appaiono come palloncini colorati che ruotano intorno al palco centrale di Chang’e imitando la forma della Via Lattea, più simile a un immenso giocattolo che a una città vera e propria. Personalmente mi ha ricordato molto la struttura dell’OZ in Summer Wars, il film di Mamoru Hosoda.
Considerando i nomi in gioco e le premesse, Over the Moon poteva essere più di questo. Un film visivamente splendido, pieno di colori e animazione divine, ma che inciampa in molteplici punti della sua stessa sceneggiatura. Dettagli seminati, ma raccolti a singhiozzi, alcuni raccolti in maniera geniale, altri malamente, altri ancora non raccolti affatto, e in un caso specifico una raccolta senza semina.
Tutti questi inciampi danno un forte senso di confusione a una storia che avrebbe potuto risplendere molto di più di così. Un vero peccato.
Fa da contorno un’ottima colonna sonora, con 9 brani da musical davvero ben fatti, soprattutto nella loro versione originale, un po’ meno nell’adattamento italiano. Nonostante le prime due canzoni arrivino troppo ravvicinate e stucchino leggermente, le altre sono veramente ottime.
In conclusione, una piccola stella nel cielo luminoso di Netflix, che ha il rimpianto di non essere riuscita a splendere quanto avrebbe dovuto.
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