Ispirato dal romanzo cult di Sakyo Komatsu, Japan Sinks 2020 è il nuovo anime nato dalla collaborazione tra Netflix e lo studio Science Saru. Un progetto davvero ambizioso che rinnova la partnership tra lo studio fondato da Masaaki Yuasa e il colosso americano dello streaming, già vincente in passato.
Una delle opere più attese di questo 2020.
Sul maestro Yuasa c’è poco da discutere, un regista originale e unico. Japan Sinks, il romanzo da cui la serie è tratta, è una science-fiction molto famosa in Giappone, uscita agli inizi degli anni ’70 e dalla quale sono nati ben due film oltre a questo ultimo prodotto animato. Al momento dell’annuncio ero rimasto subito colpito sia per la tematica trattata sia per la partecipazione di studio Science Saru. Carichi delle migliori aspettative andiamo a scoprire come si è comportato questo nuovo anime originale Netflix.
Poco dopo le Olimpiadi di Tokyo 2020 (ma guarda che coincidenza) il Giappone è costretto a fronteggiare una catastrofe naturale. La conformazione geologica dell’arcipelago giapponese, formatosi dalla congiunzione di tre placche tettoniche, lo ha sempre reso una zona ricca di terremoti e soggetta a molti tsunami. Un fortissimo sisma colpisce l’intera nazione, mietendo una quantità enorme di vittime e distruggendo quasi tutto. Questa terribile e violenta scossa però è solo l’inizio di un devastante sciame sismico che sconvolgerà tutto l’arcipelago del Sol Levante, cambiandone l’aspetto fino a farlo sprofondare.
La nostra protagonista è una giovane stella dell’atletica, Ayumu Muto. L’esperienza di Ayumu è subito traumatica, riesce a salvarsi dalle prime scosse ma praticamente tutte le sue compagne perdono la vita davanti a lei. Scioccata e ferita cercherà di mettersi in contatto con la sua famiglia, riuscendoci incredibilmente dopo tante ore di ricerca. A causa dell’acqua che ormai stava già sommergendo Tokyo, la famiglia composta da Ayumu, suo fratello più piccolo Go, il padre Koichiro e la madre Mari (di origini filippine), è costretta a lasciare la propria città alla ricerca di un posto sicuro.
Da qui parte una narrazione della tragedia a tratti magistrale che sfortunatamente si perde man mano che la trama si sviluppa. Una critica che si può muovere verso Japan Sinks è sicuramente quella di non riuscire a mantenere il livello di tensione e suspense che si percepiscono nei primi episodi e che colpiscono subito lo spettatore.
È proprio la parte centrale dell’anime a risultare poco convincente, si distacca dalla linea principale della sopravvivenza alla catastrofe e si concentra molto sul racconto del lato umano dei sopravvissuti. Non è tanto il fine, ovvero quello di descrivere le varie sfaccettature dell’essere umano in situazioni disperate, quanto il contesto a sembrare fuori luogo. I vari episodi della “setta” dove si rifugiano per qualche giorno, insieme ad altre numerose situazioni particolarmente surreali, sono i punti più dispersivi dell’intera opera.
La cosa che più mi ha colpito è lo strano rapporto che hanno i personaggi con le tragedie. Come potete ben immaginare la morte in Japan Sinks è un elemento molto ricorrente, gli addii sono numerosi ma fisiologici all’interno di una apocalisse del genere. Ciò che davvero non mi ha convinto è come, in alcune situazioni, i personaggi metabolizzino la morte o altre situazioni drammatiche in maniera del tutto innaturale. Il tema della catastrofe finisce così per perdere la forza e l’impatto iniziale. Infine l’inserimento di elementi molto violenti (esagerati ma anche coerenti con l’opera) non aiuta minimamente a mantenere alta la tensione.
Decisamente più riuscita è la descrizione che l’anime vuole dare della società allo sbando nei momenti di difficoltà. I vari aspetti dell’animo umano in queste situazioni vengono ben presentate e diventano parte centrale di tutta la narrazione, di cui ottime rappresentazioni sono sia KITE, uno youtuber estone che si unirà alla famiglia di Ayumu, sia il vecchio Kunio. Questo racconto approfondito della società è già presente in altre opere del maestro Yuasa (Devilman Crybaby su tutte) e ritorna forte anche in questo Japan Sinks. Un aspetto davvero interessante, a volte però presentato in maniera un po’ troppo forzata.
Essendo composto di soli 10 episodi le vicende si svolgono in maniera abbastanza sbrigativa, di per se questo non è un problema ma come vengono risolte alcune situazioni non mi ha entusiasmato. La parte finale risale leggermente e si chiude con un buon epilogo, degno di questa storia di sopravvivenza. Infine nell’ultimo episodio l’anime si lancia in un lungo elogio alla combattività del popolo giapponese, una conclusione sicuramente ricca di significato ma che, anche in questa parte, finisce per risultare leggermente pesante.
Lo stile molto dinamico ed unico che ha sempre caratterizzato tutte le opere del maestro Yuasa e di studio Science Saru caratterizza tutto Japan Sinks 2020. Nel complesso l’animazione non se la cava malissimo, sfortunatamente alterna ottime scene a momenti di calo notevoli, gli amanti di questo stile non rimarranno certo delusi ma farà storcere il naso a molti.
La mano di Yuasa dietro la regia è ben riconoscibile, questa volta però è stato accompagnato dalla giovane coreana Pyeon-Gang Ho, già collaboratrice in altre opere del famoso regista giapponese. Per quando riguarda il character design invece il giudizio non è molto positivo, tranne la protagonista i personaggi risultano dimenticabili e non colpiscono molto lo spettatore.
Passando invece alla colonna sonora, si rinnova un’altra vincente collaborazione, quella tra Yuasa ed il compositore Kensuke Ushio. I due avevano già collaborato in Devilman Crybaby ed il risultato era stato straordinario. Anche in Japan Sinks Ushio da il meglio di se, riuscendo, in alcune parti, a trasmettere attraverso la musica quello che il resto dell’anime non era riuscito a fare. I più attenti avranno notato che alcuni pezzi in pianoforte ricordano molto un altro capolavoro curato da Ushio, La Forma della Voce.
Per quanto riguarda il doppiaggio c’è da sottolineare l’ottima prova da protagonista di Reina Ueda, la quale spicca non solo grazie alle sue doti ma anche perché il suo è il personaggio meglio scritto. La prova degli altri risulta abbastanza sottotono, complici alcuni personaggi un po’ deludenti e dialoghi surreali che non hanno fatto risaltare il lavoro dei doppiatori. Esempio lampante il povero Go, fratello della protagonista, costretto a frasi discutibili tra il giapponese e l’inglese delle quali si poteva fare a meno.
A 2 anni dal capolavoro Devilman Crybaby il ritorno del duo Netflix–Yuasa non regge il confronto con la collaborazione precedente. Un anime che apprezzerete sicuramente se siete patiti del genere o un fan delle opere di Yuasa, ma che nel complesso non è riuscito a colpirmi. In Devilman, in The Tatami Galaxy (da poco inserito nel catalogo Netflix) o nel recentissimo Keep Your Hands Off Eizouken!, alla fine della visione ero rimasto positivamente sorpreso dall’originalità dello stile e dell’opera in generale. Tutte queste serie avevano anche dei difetti neanche troppo nascosti, ma non erano risultati pesanti ne avevano condizionato il mio giudizio complessivo.
In Japan Sinks 2020 invece, nonostante siano presenti tutti i punti di forza che hanno caratterizzato le opere del maestro Yuasa, i difetti che saltano all’occhio durante gli episodi non possono essere ignorati. La scrittura non è precisissima, la trama in certi punti inizia a perdersi e l’ottima atmosfera che si crea nelle prime fasi della storia scompare andando avanti. Giustamente viene dedicato spazio all’analisi del comportamento degli esseri umani, ma il come risulta molto forzato e finisce per far perdere interesse allo spettatore.
Avevo grandi aspettative in partenza, subito confermate e alimentate dai primi due episodi, ma completamente disattese dal resto della serie. Ci tengo a sottolineare che non siamo di fronte ad un’opera da bocciare in tutto, ma mi aspettavo di meglio visti i grandi nomi coinvolti nel progetto e l’originalità della storia.
Japan Sinks 2020 non riesce nell’intento di sconvolgerci e trascinarci nella sua catastrofe, lasciando invece una forte sensazione di occasione mancata.
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