Recensioni

Jojo Rabbit – Possiamo ridere del nazismo?

Jojo Rabbit

7.7

COMPARTO TECNICO

7.3/10

CAST

8.0/10

SCRITTURA

7.9/10

REGIA

7.7/10

DIREZIONE ARTISTICA

7.5/10

Pros

  • Lo humour dissacrante, provocatorio e mai fuori luogo
  • Gli attori straordinariamente in parte
  • La sola presenza di Yorki
  • La trattazione originale del nazismo

Cons

  • Un paio di momenti "cringetti"

Jojo Rabbit, film del 2019 diretto da Taika Waititi, rappresenta la consacrazione dell’estetica di un regista che, tra alti (Vita da vampiro – What We Do in the Shadows) e bassissimi (Thor: Ragnarok), ha dimostrato di avere una visione decisamente autoriale del cinema.

Il cinema dissacrante di Waititi in Jojo Rabbit

Negli articoli di approfondimento dedicati alle monografie di alcuni registi di spessore, abbiamo evidenziato come l’autorialità di un regista consista nella riproposizione di alcune idee e soluzioni caratteristiche in ogni suo film, persino i più commerciali. Nel caso di Taika Waititi, ad essere riproposto è uno schema basato sulla parodia di un determinato genere, accuratamente decostruito e spogliato dei suoi aspetti più idealizzati per metterne a nudo le componenti ridicole. Per What We Do in the Shadows Waititi aveva scelto la figura dei vampiri, mentre nel recente Jojo Rabbit ha puntato sui nazisti.

Liberamente tratto dal romanzo Il cielo in gabbia di Christine Leunens, Jojo Rabbit narra della vita di un membro della Hitler-Jugend (letteralmente: gioventù hitleriana) Johannes Betzler, detto “Jojo”. Il bambino è un fervente sostenitore del Führer, tanto da chiedere costantemente consiglio ad una sua versione immaginaria (interpretata dallo stesso Taika Waititi) sui comportamenti da adottare per divenire un giorno il suo braccio destro. Il mondo idealizzato di Jojo, plasmato dalla propaganda nazista, verrà sconvolto il giorno in cui farà la conoscenza di una giovane e sprezzante ebrea, Elsa, scoprendo che la realtà è ben diversa da come gli era stato insegnato.

A uno sguardo più accurato, si può notare come l’incipit sia immediatamente accostabile ad altre decine di film ambientati durante il regime di Hitler (per dirne uno, Il bambino con il pigiama a righe) ed è proprio questo il punto. Scegliendo un tema così ben radicato nell’immaginario collettivo Waititi imbastisce una sceneggiatura brillante che gioca sui cliché del genere, andando a smitizzarne i  canoni.

Un esempio è l’impiego di bambini come soldati del Reich, con gag in cui i minori vengono visti maneggiare in maniera maldestra armi mortali. Oppure, le donne tedesche spinte dalla propaganda a concedersi a qualunque soldato passasse di lì per caso, al fine di rinforzare con nuovi membri la razza ariana. O, ancora, la sempreverde presenza di membri omosessuali negli alti ranghi dell’esercito in un regime che punta al loro sterminio.

Fin dalle prime scene Waititi proietta lo spettatore in un contesto surreale e rassicurante, dove ogni componente brutale e terribile comporta effetti puramente comici, non dissimili dai cartoni dei Looney Tunes. Tutti i personaggi sembrano assecondare tacitamente le assurdità – invero molto realistiche – che gli accadono intorno, facendo sì che lo spettatore si bei delle loro divertenti sciagure senza pesi sulla coscienza. L’unico personaggio che sembra titubare di fronte alle presunte gag è proprio Jojo.

Il perché lo si scopre proprio con l’introduzione di Elsa. È lei, infatti, che permette di comprendere il motivo per cui nessuno sembra far caso allo sfacelo che li circonda: tutti i personaggi di Jojo Rabbit comparsi fino a quel momento erano nazisti, ossia individui plagiati dalla propaganda ad ignorare i disagi interni in nome di una vittoria contro un nemico esterno. Tutti loro sono vittime inconsapevoli delle armi di distrazione di massa di Hitler.

Elsa rappresenta l’introduzione di una nuova prospettiva; una prospettiva reale delle vittime del regime nazista, delle conseguenze che esso ha portato nei confronti di persone spacciate per diverse, ma in realtà uguali a tutti gli altri.

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Nel momento in cui lo spettatore assume questa consapevolezza, si rende conto che Jojo Rabbit è pur sempre un film sui nazisti e sull’olocausto. Taika Waititi sbatte in faccia al pubblico di aver riso di atti indicibilmente tristi e crudeli, ma non gliene fa mai una colpa e il film non smette mai di essere divertente; diventa solo più consapevole.

Si può ridere dell’olocausto? Della sofferenza del popolo tedesco costretto a vivere di stenti per il delirio di onnipotenza di un piccolo uomo? Di bambini costretti servire nell’esercito perché i loro genitori continuavano a morire al fronte? Waititi dice di si, purché si prenda atto che quelle situazioni siano accadute davvero e non debbano ripetersi. Bisogna superarle, quindi, attraverso l’amore, il dialogo e il rispetto reciproco.

Jojo Rabbit svia divertendo costantemente, per poi tirare un pugno in bocca all’improvviso. E un pugno in bocca ricevuto mentre si ride fa molto più male di uno ricevuto con la guardia alzata, intuizione che Roberto Benigni ha avuto in tempi non sospetti con il suo La vita è bella.

Il film quindi procede su due livelli differenti: uno surreale e parodistico e l’altro crudo e realistico. A fare da collante tra i due, vi è un altro marchio di fabbrica del regista: il personaggio neutrale e amabile che piace a tutti. Se in Vita da vampiro c’era Stu, che riceveva consensi da qualsiasi cerchia di non-morti cui lo si presentasse, in Jojo Rabbit si può godere della presenza del mitico Yorki, miglior amico del protagonista, voce della ragione e dell’innocenza all’interno del Reich e causa scatenante di una risata lunga almeno due minuti ad opera di chi sta scrivendo.

In realtà ogni battuta di Jojo Rabbit risulta tremendamente efficace, sia per la quantità di black humour devastante e inaspettato che per i tempi comici degli attori, tutti tremendamente bravi dal primo all’ultimo e perfettamente calzanti nel loro ruolo (nessuno dubiterebbe di un’ipotetica parentela tra Scarlett Johansson e il piccolo Roman Griffin Davis). C’è da dire che proprio la Johansson –  candidata all’Oscar per questa sua performance – è protagonista di un paio di momenti leggermente imbarazzanti, persino per il tono generale del film. Ma quella è colpa di Waititi, non sua.

E parlando di “colpe”, se dal lato della scrittura e delle performance attoriali Jojo Rabbit spicca non poco, non si può dire lo stesso del comparto tecnico. Sia la regia che la fotografia sono indubbiamente ben curati e le tempistiche del montaggio risultano sempre ottimali nella messa in scena delle gag, dimostrando tutto il talento per la commedia di Taika Waititi. Tuttavia, ci sono alcuni momenti che hanno alimentato un sospetto già nato ai tempi di Thor: Ragnarok: Waititi non è in grado di gestire la computer grafica.

Per il resto, Jojo Rabbit è stato una graditissima sorpresa. Frizzante, divertente, originale e persino toccante in diversi momenti. Sicuramente un gradino sopra rispetto alle precedenti opere del suo regista, che si spera continui in futuro ad alzare l’asticella delle sue produzioni. E che stia lontano dalla Marvel, per cortesia…

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Vittorio Pezzella

Cercò per lungo tempo il proprio linguaggio ideale, trovandolo infine nei libri e nei fumetti. Cominciò quindi a leggerli e studiarli avidamente, per poi parlarne sul web. Nonostante tutto, è ancora molto legato agli amici "Cinema" e "Serie TV", che continua a vedere sporadicamente.

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