Che il celeberrimo Dracula fosse da sempre stato soggetto di adattamenti (cinematografici, videoludici, eccetera) è un dato di fatto, eppure, Netflix (alla cui produzione è stata affiancata dalla casa BBC e supportata dal team che aveva diretto la pluripremiata Sherlock, ovvero il duo formato da Steven Moffat e Mark Gattis) decide di fare il colpo grosso proponendo una nuova miniserie: Dracula appunto, online dal 4 gennaio scorso.
Se Netflix ha quindi curato la promozione online, BBC ha preferito invece adornare Londra e Birmingham con dei suggestivi cartelloni i cui paletti (apparentemente infilzati in modo casuale) illuminati invece con una opportuna luce riproducevano il profilo del conte Dracula.
Insomma, stando a queste promesse e ad un trailer decisamente interessante, la miniserie da 3 episodi da circa un’ora e mezza ciascuno aveva tutte le carte in regola per poter fare la differenza nel catalogo Netflix: ci è riuscita o è stato un sonoro flop? Cerchiamo di comprenderlo insieme in questa recensione che cercherà di essere totalmente free spoiler.
Ungheria, 1897. Queste le prime parole che ci appaiono all’inizio della serie, dove conosciamo il personaggio del signor Harker, figura di certo non nuova per gli appassionati del Conte.
Il signor Harker, fuggito dalla Transilvania e quindi dalla prigionia del vampiro, ha scritto un dettagliatissimo resoconto riguardante il mostro che ha conosciuto in modo così ravvicinato, dopo aver trovato rifugio presso un monastero ungherese. Harker ci appare col volto sfigurato in malo modo, quasi come affetto da un morbo implacabile.
Una delle suore in particolare, dopo aver letto gli appunti di Harker, decide di chiedere all’uomo ulteriori particolari sul suo soggiorno in Transilvania. Ecco allora avere inizio un lungo flashback, che ci illustrerà tutti i dettagli che hanno condotto l’uomo nelle fauci della bestia.
Degna di nota è anche l’intro della serie, che ricorda vagamente quella vista in Hannibal nel 2013, visto il forte collegamento con il concetto del sangue che verrà ripreso in tutti gli episodi (il sangue è vite -ndr sì, volutamente al plurale-).
Sempre parlando agli appassionati del genere, sembrerà quasi perfino inevitabile il paragone di questa produzione con il famosissimo Dracula di Bram Stoker firmato da Francis Ford Coppola.
Eppure, il Conte interpretato da Claes Bang è molto lontano dall’affascinante Gary Oldman ossessionato dall’amata Mina, andando invece a trovare molta più somiglianza in Bela Lugosi, indimenticabile ed iconico Dracula nel film del 1931 (in foto). Citando infatti Kim Newman: “Ogni volta che un comico cerca di “draculeggiare”, copia gli abiti, i gesti e l’accento di Lugosi”.
E’ proprio nell’estetica del Lugosi che sicuramente la serie ha tratto spunto per il proprio Dracula, mostrandoci un Conte comunque differente da quello raccontato (quasi) cento anni fa.
In audio originale infatti, possiamo apprezzare appieno l’interpretazione di Bang, a tratti sarcastica seppur (inquietantemente) placida, specialmente nei confronti del signor Harker. Una descrizione che dopotutto piace, e che si adatta perfettamente all’ideale “primo vampiro” nell’immaginario collettivo.
Un Dracula convincente? Assolutamente sì, proprio per le evidenti accentuazioni ed esasperazioni del personaggio che erano pressoché obbligate, data la natura di certo lontana dall’umanità del famigerato Conte, legate quasi ad un vero e proprio must have del folklore mondiale.
Spesso e volentieri infatti, la serie spezzerà i toni cupi e terrificanti con una serie di battute (alcune non necessariamente brillanti) che ci collegherà ad un adattamento vampirico che si accosta a quello visto e acclamato in film come Intervista col Vampiro. Proprio con questo ultimo film, il duo Moffatt-Garris troverà molta ispirazione, ma non diremo altro per non sfatare in altre anticipazioni in merito.
Il Conte viene poi affiancato da personaggi decisamente interessanti e ben caratterizzati, che andranno sia a supportare la componente ironica quanto quella legata all’intreccio narrativo: espediente funzionale e ben riuscito, senza dubbio.
Dracula nel catalogo Netflix presenta la classificazione VM14, ed in effetti si rispecchia abbastanza in essa.
Spesso una CGI parecchio spinta appare di fronte allo spettatore quasi con un’impostazione da film da vedere in 3D, eppure non mancano tiepidi jump scare e scene più o meno disturbanti. In effetti, la serie si arricchisce piuttosto di vari colpi di scena e investigazioni, che rendono il prodotto più simile per certi aspetti ad un thriller che ad un horror puro e semplice.
Il più delle volte infatti, inquadrature e vari giochi di luce ed ombra non rendono troppo visibili le scene troppo crude o violente, spostando invece il focus sulla narrazione e su tutti quegli indizi e particolari che avranno poi importanza durante l’episodio. In particolare, il secondo episodio rappresenta un vero e proprio giallo a livello di trama.
Proprio per la cura nei dettagli, la serie ci appare come una lunga ed estenuante guerra (impari) contro Dracula, cercando di approfondire perché il vampiro abbia determinati punti deboli e come la sua figura sia poi maturata nel canonico Conte.
Un approfondimento non richiesto certo, ma che evidenzia come Moffatt-Gattis abbiano voluto riproporre una formula già vista in Sherlock, ovvero, una propria e libera reinterpretazione di un classico della letteratura: non più Sir Arthur Conan Doyle, bensì ora l’opera di Bram Stoker.
Sarà sicuramente parso strano per i lettori la menzione al terzo episodio come contro della produzione, episodio poi finale e cruciale nella serie: il motivo è presto detto (e no, ancora niente spoiler, tranquilli).
Se nei primi due infatti la narrazione aveva facilmente ambientato lo spettatore gradualmente al contesto narrato, è nel terzo che le vicende prendono una piega tanto inaspettata quanto perfino brutale. Un colpo di scena neanche eccessivamente audace, ma che appare come un fulmine a ciel sereno nella narrazione e che lascia parecchio disorientati.
Viene spontaneo chiedersi: se la serie si fosse sviluppata in più di tre episodi, questo epilogo avrebbe potuto apparire migliore? Assolutamente, e proprio perché ciascun episodio (ricordiamolo) ha una durata di circa 90 minuti, il che implica un ampio spazio per curare una “acclimatazione” dello spettatore in merito.
Inoltre, proprio nel terzo episodio, l’ironia sembra arrivare allo stucchevole, nonostante non manchino momenti drammatici ed orrorifici.
E’ quindi l’ultimo episodio a far crollare l’intera serie? Forse, poiché i due precedenti rappresentano invece una vera e propria perla nel mondo della cultura cinematografica di Dracula che potrebbero davvero rendere immortale il buon Bang.
La serie (analizzata nella sua totalità) riesce comunque a descrivere una storia alla fine coerente con se stessa: ciascun personaggio ha il proprio ideale, portato avanti fino alla fine.
L’unica nota amara è appunto racchiusa nell’episodio conclusivo che, con uno sviluppo maggiore, avrebbe senz’altro ottenuto maggiori consensi visto che gran parte del pubblico ha pensato bene di ricercare online una spiegazione sensata riguardo il finale. Non staremo qui a parlarne ovviamente, ma in realtà appunto, con un’opportuna pausa dal secondo episodio, l’epilogo non sarebbe suonato così assurdo, tutt’altro. E proprio per la coerenza dei personaggi.
In soldoni quindi sì, la serie merita comunque una possibilità e lasciamo allora a voi ulteriori pareri in merito.
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