Sono stati in molti a essere stati incuriositi dall’uscita di Carole & Tuesday, me incluso.
D’altra parte è qualcosa che succede sempre quando a un prodotto viene applicato il nome di un famoso autore come Shinichiro Watanabe (Cowboy Bebop, Samurai Champloo, Terror In Resonance, ecc).
Il nome di Watanabe pesa molto sulle aspettative del pubblico su una serie animata. Dall’inizio della sua carriera alla fine degli anni ’90, Watanabe non ha, a mia memoria, mai fallito un singolo progetto in cui è stato coinvolto, ne come autore ne come regista, e lo zoccolo duro di sui fan ed estimatori è molto ampio, cosa che potrebbe essere allo stesso tempo manico e lama del coltello.
Le aspettative su Carole & Tuesday erano mediamente abbastanza alte proprio in virtù del coinvolgimento della leggenda vivente nel progetto, che invece sembra aver preso questa occasione per sperimentare con il suo stile applicandolo a una storia dal sapore squisitamente hollywoodiano.
Prima di tutto i dettagli tecnici:
Carole & Tuesday è una serie anime di 24 episodi da 24 min divisa in due parti realizzato da Studio Bones (Wolf’s Rain, Full Metal Alchimist: Brotherwood, Tokyo Magnitude 8.0, ecc) in occasione del ventesimo anniversario dello studio. La serie è scritta e diretta da Shinichiro Watanabe con l’assistenza di Motonobu Hori.
La storia di Carole & Tuesday si apre su Marte, ormai da mezzo secolo reso perfettamente abitabile e colonizzato dai terrestri.
Tuesday Simmons, figlia diciassettenne di una importante politica in piena campagna elettorale, scappa di casa per inseguire il suo sogno di diventare una musicista.
Giunta ad Alba City, Tuesday incontra per caso Carole Stanley, sua coetanea, orfana e che saltella da un lavoretto part-time all’altro per mantenersi nel suo appartamento mentre a sua volta insegue il sogno di diventare musicista.
Unite dalla comune passione, le due ragazze decindono di comporre e suonare insieme e Tuesday si stabilisce a casa di Carole.
Durante un’esibizione clandestina, le due ragazzine vengono scoperte da Gas e Roddy, rispettivamente un ex manager e talent scout in piena crisi e un giovane, geniale tecnico del suono pieno di risorse, che prendono le due sotto la loro ala con l’obbiettivo di farle diventare delle musiciste famose in tutto il pianeta.
Non vi sembra di aver già sentito una trama del genere?
A me ricorda in maniera molto molto vicina uno qualsiasi dei film di star emergenti di matrico hollywoodiana.
Le basi ci sono tutte: le giovani di talento che vogliono sfondare, il vecchio agente ubriacone in cerca di redensione, la rivale spocchiosa e piena di soldi che si fa aiutare in tutti i modi possibili per avere successo, il tipo già famoso, ma arrogante che si rifiuta di riconoscere il talento delle protagoniste.
Tutti gli elementi di questa storia gridano America, a partire dall’ambientazione: una Alba City ricalcata sulle grandi metropoli americane come New York o Los Angeles, con i loro altissimi grattacieli scintillanti dove circolano uomini importanti in giacca e cravatta, e le periferie composte da palazzoni in muratura dove abitano le minoranze etniche di afro-americani, arabi, orientali, ecc.
In generale è tutta l’atmosfera della serie a dare l’idea di essere in America piuttosto che in Giappone.
Dal fortissimo contrasto tra la grande eterogeneità della vita metropolitana e l’omologazione delle grandi ville di campagna, agli scorci cittadini di cui le due protagoniste fanno parte durante la loro vita quotidiana, fino alla molteplicità di personaggi che si incontrano nella grande metropoli e trz gli artisti che Carole e Tuesday incontrano durante il loro percorso, molti dei quali sono afro-americani, omosessuali e transessuali, tutti trattati in maniera verosimile e perfettamente integrati in una società multiculturale. Elementi che si trovano raramente in un anime.
La stessa presenza di un talent show di tipo marcatamente occidentale, comprensivo di tutti i vari freak e personaggi dalle caratteristiche originali e facilmente ridicolizzabili, sono un chiaro tentativo di confrontarsi con il mondo pop americano, anche se in questo caso si parlerebbe piuttosto di una copia dei quello stesso mondo.
La scrittura delle serie presenta numerosi “furti” di personaggi ispirati a stereotipi di quelli che popolano lo show business musicale a stelle e strisce, ma non spaventatevi, non è detto in senso negativo.
La maggior parte dei personaggi di contorno sono stereotipi o contro-stereotipi, ma sono usati in maniera intelligente per mostrare la varietà di persone originali che si possono incontrare nel mondo dello spettacolo al di fuori dei confini del Giappone.
Per il resto la storia si dirama in un modo molto semplice e rilassante. Tutte le prime puntate fino alla 6° sono di introduzione ai personaggi principali e di contorno e alle loro sottotrame, ma fin da subito c’è un’evoluzione della vicenda con l’inizio del percorso delle due ragazze al mondo della musica professionistica accompagnate da Gas e Roddy.
Sono numerosi i momenti comici, molto divertenti, ma la serie da il meglio di se quando si tratta di prendersi seriamente, mostrando i sentimenti verso particolari esperienze, come la composizione della prima canzone, la prima volta su un palco, il rigetto del pubblico o i complimenti di una stella già affermata.
Il ruolo dato alle lacrime, spesso di tristezza, altrettando spesso di gioia, è fondamentale per mostrare quanto forti siano le emozioni provate dai giovani artisti che cercano di arrampicarsi fino in cima alla montagna del successo.
La seconda parte della serie è poi occupata dal talent show, una palese presa in giro di X Factor (da cui è ispirato il logo), American’s Got Talent e simili. Anche in questo caso la scrittura ha una matrice molto americana, con le attrattive performance dei cantanti alternate alle vicende del backstage.
Al contrario, la regia è molto giapponese. I movimenti di macchina sono totalmente assenti, mentre abbondano gli scavalcamenti di campo e la ricercata composizione delle immagini a cui Watanabe ci ha già abituato con le sue opere precedenti.
Nota di merito per l’utilizzo delle luci, che trasmettono ottimamente l’intensità delle emozioni della scena. Luci fredde di un tramonto in città o dell’ombra di un backstage accentuano un momento di tristezza, mentre le luci brillanti e dorate dei faretti del palcoscenico aumentano l’intensità emotiva della canzone.
I disegni di Carole & Tuesday si possono dividere in due: quelli dei personaggi e quelli degli ambienti.
I disegni degli ambienti sono tutti minuziosamente dettagliati. Ponti, grattacieli, palazzi di periferia, interni degli appartamenti e dei bar sono curati in ogni loro dettaglio dando loro un aspetto estremamente realistico, frutto probabilmente di uno studio approfondito di vere location di cui sono riproposte le luci e i chiaroscuri in maniera praticamente perfetta.
D’altro canto i disegni dei personaggi sono minimali, con poche o nessuna sfumatura, di luce su di loro, il che li rende decisamente piatti.
Non tutto è male. Probabilmente l’effetto è voluto, ricalcando la tradizione giapponese di disegno di dare più importanza al colore che alle forme, rendendo i personaggi un insime di macchie di colore in movimento che riescano a trasmettere emozioni allo spettatore.
Considerando la grande varietà di personaggi all’interno dell’universo di Carole & Tuesday, il tipico espressionismo giapponese viene integrato dall’eterogeneità di personaggi offerta dall’ambientazione, trovando un valido compromesso tra lo stile giapponese sopra citato e il più realistico modello occidentale.
L’effetto di stranezza di questo contrasto tra personaggi e sfondi è abbastanza pesante, dato che si vede contemporaneamente uno scenario tridimensionale perfettamente dettagliato in cui si muovono delle figure di cartone.
Le animazioni si adeguano ai disegni, poche ed estremamente semplici. Non è raro vedere immagini perfettamente immobili sullo schermo o animazioni con pochissimi frame sui personaggi sia principali che secondari, un trucco abbastanza vecchio per risparmiare sul numero di disegni che in questo caso non da particolarmente fastidio se non si va a cercare il pelo nell’uovo.
Un grosso salto di qualità si ha con le animazioni delle esibizionioni.
Molto curate, molto dinamiche, con un aumento esponenziale dei frame per secondo, coreografate molto bene e con chiari segni dell’utilizzo di qualcosa di simile al rotoscopio per rendere i movimenti più realistici possibile. (Il rotoscopio è quella macchina inventata negli anni ’10 che permette di ricalcare i disegni da animare su filmato di un attore preventivamente regisrato in modo da rendere il movimento più naturale e realistico possibile ndr.)
Per un anime che fa della musica il suo tema centrale non posso non spendere qualche parola per le canzoni di Carole & Tuesday.
La serie è piena di pezzi di musica pop molto carini ed orecchiabili, a cominciare da quelli delle due protagoniste passando poi ai loro avversari durante il talent show (a parte un paio, ma è voluto) sono tutti pezzi molto carini che mirano ad entrare in testa allo spettatore.
La soundtrack scelta dal cantante canadese Mocky porta brani semplicissimi e d’impatto cantati da giovani cantanti in cerca di successo… esattamente come lo sono le due protagoniste.
Tra i tanti devo citare le due artiste che danno la voce alle due protagoniste, Nia Brixx (Carole) e Celina Ann (Tuesday), e la voce del cantato di Angela, la loro rivale, Alisa.
Da sottolineare è sicuramente la grossa paraculata mediatica di inserire tutti i brani una sola volta nel corso delle 12 puntate finora uscite su Netflix ad eccezione della prima canzone del duo di protagonista: The Lonlinest Girl, in modo che sia quella che entrerà maggiormente nella testa degli spettatori. Bravi ragazzi di Bones, questa mi è piaciuta.
Carole & Tuesday è una serie molto semplice e rilassante, piacevole da guardare e soprattutto da ascoltare.
Forse intesa più come un esercizio di stile dal suo autore, che ha fatto molto di meglio in carriera, aspetto di vedere la seconda parte della serie prima di pronunciarmi ulteriormente, ma per adesso posso apprezzarne l’ottima caratterizzazione dei personaggi, la leggerezza con cui vengono trattati gli argomenti e il tentativo, non nuovo al lavoro di Watanabe, di approcciarsi alla cultura pop occidentale da un punto di vista diverso dal solito.
Consiglio vivamente la visione, scorre leggera e senza troppo impegno. Inoltre è divertente notare le frecciatine che Watanabe tira alle meccaniche dello show business in generale e alle critiche verso gli anime.
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