Uscito nelle sale da ieri, ecco a voi la (più che mai) onesta recensione de Il Re Leone, reboot del 32° classico d’animazione Disney datato 1994.
Si torna nella savana quindi, nelle vicende del giovane leone Simba e dei suoi scapestrati compagni Timon e Pumbaa. La domanda è sempre la stessa: era necessario? Nessuno dei live action lo è davvero all’inizio, ma andiamo con ordine e addentriamoci nel film.
Si avvisano i gentili lettori che non siamo affatto spietati come si crede, e nella lettura non ci sarà alcuno spoiler in merito alla pellicola, se non analisi su dettagli allusivi ma mai specifici. Buona lettura!
Senza immischiarci nella trama (quasi identica a quella originale, ma ci arriveremo), il film è diretto da John Favreau. Chi? Ebbene, lo stesso che aveva diretto un pregevolissimo live action dedicato al Libro della Giungla. Nella sua prima regia però (forse aiutato dal piccolo e brillante Mowgli umano), il film regge: viene trasposto un ottimo approfondimento del cartone originale, mantenendo intatti personaggi e caratterizzazioni.
Ne Il Re Leone vediamo una CGI decisamente più realistica del suo predecessore, anche troppo. In alcuni momenti della pellicola, allo spettatore sembra letteralmente di vedere un documentario degno della BBC… con in sottofondo un doppiaggio.
Morale? Alcuni (stranamente, non tutti) personaggi suonano fin troppo inespressivi in scene clou della trama a cui viene così brutalmente cancellato il coinvolgimento emotivo. Un’ottima grafica che subisce le angherie del realismo a tutti i costi: era decisamente sacrificabile come scelta.
Non scherziamo: una simile domanda non troverebbe risposte positive in nessun live action, ma cerchiamo di approfondire la cosa. Il film parafrasa interi frame del cartone del ’94 puntando così alla conquista dei fan più accaniti. Ci riesce? Non proprio.
Perché il fan accanito, che conosce a memoria battute e perfino intonazione dei personaggi nelle varie iconiche frasi, riscontrerà invece delle vere e proprie gaffe. Prima tra tutte, la decisione di stravolgere perfino alcuni personaggi con caratteri e reazioni decisamente errate e stridenti con l’animale originale animato negli anno novanta. Al contempo, altri personaggi invece hanno trovato pienissima giustizia nonostante le modifiche ed è ovviamente questo a far rabbia.
Si era detto niente spoiler, quindi non diremo altro in merito.
Saggia scelta è stata però mantenere buona parte della colonna sonora originale: fortunatamente, sono proprio quelle indimenticabili note a riportare nello spettatore le emozioni di allora. Le canzoni, ovviamente, hanno però subito un riarrangiamento.
Alcune canzoni hanno trovato un’ottima resa finale, mentre altre sono state reinterpretate in uno stile che si ricollega alla cattiva interpretazione dei personaggi di cui parlavamo prima. Nello specifico, promossi a pieni voti Marco Mengoni come Simba adulto ed Elisa come Nala (perfino come doppiatori e non solo come cantanti). Un’ottima voce a cui si accompagna una buona intonazione, quindi bravi entrambi.
Torniamo quindi al dubbio esistenziale di prima: si sentiva il bisogno di questo live action? Saremo sinceri: no. Proprio per i motivi descritti prima.
Il film si aggrappa disperatamente all’originale per cercare di carpirne ogni segreto del suo successo, ma invano. La pellicola diventa così un conglomerato di scene da documentario che cerca a tutti i costi di convincere il pubblico, fallendo miseramente.
Potremmo infatti dividere il film in due parti (che è anche poi la suddivisione dei tempi al cinema): una prima in cui la modalità documentario si accusa moltissimo, mentre la seconda riesce a riportare un po’ più la magia del cartone originale. Purtroppo però un film non può essere valutato solo verso la fine e i calci d’angolo non sono mai davvero così utili.
In soldoni:
Non vogliamo di certo dissuadere i lettori dal recarsi al cinema, ma l’unica vera emozione che ci è rimasta della pellicola… è la voglia di un rewatch del cartone originale.
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