Ci sono storie che tentano di sensibilizzare il loro pubblico attraverso una spietata critica, spesso elargita puntando il dito verso una determinata categoria di persone, con una supponenza e un mal celato ego degli autori che il più delle volte dissuade dallo schierarsi a favore di importantissime battaglie sociali, invece di invogliare all’informazione come dovrebbe. Il principe e la sarta, graphic novel scritto e disegnato da Jen Wang ed edito in Italia da Bao Publishing, non fa per nulla parte della categoria.
Il fumetto della Wang racconta, con una delicatezza unica, le difficoltà di una particolare diversità – e, per estensione, di tutte le diversità – nell’accettazione di sé a causa delle possibili reazioni della comunità, incluso il proprio nucleo familiare. L’autrice, con Il principe e la sarta, esplora la realtà del crossdressing, la tendenza a vestire indumenti comunemente associati al sesso opposto. Una pratica piuttosto conosciuta a livello mediatico e culturale – basti pensare al fenomeno drag queen e i drag king – che però non è necessariamente associata all’omosessualità (si può benissimo essere eterosessuali e crossdresser). Di fatto chiunque si vesta con abiti del sesso opposto, anche una sola volta per scherzo, può dire di aver fatto crossdressing.
Per alcuni è un semplice hobby, ma per altri, come il principe Sebastian, protagonista del fumetto, questa pratica assolve al ruolo di vera e propria liberazione del sé, di cui una parte nascosta riesce a liberarsi solo gettando le proprie inibizioni e vestendosi in abiti ad essa più consoni. Il principe e la sarta segue il percorso canonico del racconto di formazione, raccontando le vite dei due protagonisti, Sebastian e Frances. Sebastian, almeno inizialmente, si vergogna di una tendenza che agli occhi dei più viene considerata una stravaganza, una buffonata, una roba da invertiti, e non una delle tante estrinsecazioni estetiche ed emotive dell’essere umano. Il primo passo verso la sua liberazione avviene proprio con la conoscenza di Frances, giovane sarta che viene assunta personalmente da Sebastian per ricamare abiti particolari e alla moda.
L’autrice incarna in Frances l’emancipazione femminile e il saper cogliere le opportunità senza accontentarsi di una modesta sicurezza economica a discapito dei propri sogni. Frances è determinata, caparbia e capace, eppure trattiene il suo estro creativo per paura che gli abiti da lei concepiti non abbiano presa sul pubblico. Sebastian e Frances hanno quindi lo stesso problema: l’accettazione. Sebastian del suo essere un crossdresser, Frances della sua personale voce artistica. Proprio riconoscendo l’uno nell’altra le rispettive debolezze, compiranno il primo passo verso il superamento delle paure, sostenendosi e incoraggiandosi a vicenda.
Il rapporto di reciproco affetto e aiuto però non basta. Il vero obbiettivo di entrambi è la libertà di potersi esporre senza timore, cosa impossibile se circoscritta a loro due soltanto. E infatti il principe e la sarta dovranno compiere delle scelte, il cui coraggio ispirerà e cambierà in meglio chi gli sta intorno. Praticamente una risposta semplice, concreta ed efficace alla domanda “a cosa serve il Gay Pride?” che sfocia in un finale tanto divertente quanto, paradossalmente, commuovente.
Tutti questi sottotesti sono implementati in una narrazione fluida, ricca di sequenze mute che impattano come un macigno sul cuore del lettore. I personaggi, dai meravigliosi protagonisti alla più infima delle comparse, sono tutti splendidamente diversificati e il loro ruolo nella storia è perfettamente dosato affinché assolvano le loro funzioni senza pesare sulla vicenda principale. I dialoghi sono semplici, veloci ed efficaci, anche questi talmente ben dosati da non necessitare mai di monologhi strazianti sulla caducità della condizione umana del diverso. I tempi, nonostante le quasi 280 tavole, sono talmente ben orchestrati che finirete di leggere l’intero volume senza neanche accorgervene, merito anche di una trama per niente arzigogolata che facilita di molto sia la comprensione del messaggio di fondo sia la fruizione a scopo di mero intrattenimento.
Eppure, incredibilmente, meglio ancora dei testi risultano i disegni. Il tratto morbido, cartoonesco ed essenziale dell’autrice, chiuso all’interno di una gabbia schematica ma affatto ingombrante, dà vita a sequenze talmente ben montate da risultare quasi animate. Ancora una volta, il termine esatto è “fluidità”, quella che abbiamo apprezzato nei classici Disney e le loro memorabili scene di ballo, da Cenerentola a La bella e la bestia. Ed è proprio di questo che sembra profumare Il principe e la sarta, di una stupenda fiaba che cerca, attraverso la finzione narrativa, di aprire gli occhi sulla realtà.
Sicuramente la vittoria dell’Eisner Award come miglior serie per ragazzi se l’è meritata in pieno, così come meriterebbe una lettura da parte di grandi e piccini. Magari potrebbe aprire qualche cuore e far notare che gli arcobaleni non sono poi tanto male.
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