Videogiochi
Il mondo di Mouthwashing non è una distopia

Ho sempre cercato un forte coinvolgimento emotivo in ogni media da me consumato: che fossero libri, fumetti o videogiochi, ciò che volevo alla loro fine era sentirmi cambiata, forse anche scossa e turbata. Volevo storie su cui riflettere, da sviscerare in ogni loro aspetto e simbolo e che mi aiutassero ad essere più critica nei confronti della realtà di tutti i giorni. Sotto questo punto di vista, ho trovato nell’horror psicologico il genere perfetto per me: se mi avete seguita nei precedenti articoli, esempio massimo quello sul webtoon gotico Nevermore, sapete che adoro particolarmente quegli horror che esplorano la psiche umana, utilizzando elementi terrificanti come metafore per illustrare paure e condizioni delle persone comuni, a noi vicine.
Ho giocato Mouthwashing questo gennaio e da allora è diventato un esempio di cosa cerco in un videogioco horror: la rappresentazione della realtà attraverso un’ambientazione fantastica, “distopica”, in cui i veri mostri albergano dentro di noi, mostrandosi nelle interazioni sociali di tutti i giorni, nel male che causiamo e nelle oscure verità che nascondiamo. Mouthwashing presenta una storia da ricostruire piccoli pezzi alla volta, portandoci a dubitare dei nostri dintorni, degli altri personaggi e perfino di noi stessi.
Le cause del successo di Mouthwashing
Mouthwashing è un’avventura horror sviluppata da Wrong Organ uscita il 26 Settembre 2024 per PC. È di qualche giorno fa la notizia, data dal team di sviluppo, del superamento delle 500,000 copie vendute, ed il conseguente arrivo del gioco su PS5 e Nintendo Switch in edizione sia digitale che fisica, in collaborazione con Fangamer. Sono numeri certamente impressionanti vista la natura indie del titolo ed il suo essere uscito da relativamente poco tempo, ma cosa ha causato questo successo? Per capirlo, è necessario fare un discorso generale sulla trama e la ricezione del titolo.
Il titolo è ambientato in un non specificato futuro all’interno di una navicella spaziale, la Tulpar, appartenente alla compagnia mercantile Pony Express. La prima scena del gioco crea già un clima di forte tensione: ci troviamo nell’area di pilotaggio della nave, avvisati dell’imminente scontro con un asteroide, evitabile solo effettuando un cambio rotta nella direzione opposta; tuttavia, l’unica azione che il giocatore può compiere è quella di avvicinare ulteriormente la nave all’asteroide, rendendoci consapevoli di star interpretando un personaggio con il desiderio di attuare contemporaneamente un suicidio e l’omicidio di tutto il resto dell’equipaggio.
L’obiettivo del personaggio non è raggiunto: tutti sopravvivono allo schianto, che però compromette gravemente l’integrità della nave, bloccata nello spazio e la cui unica speranza risiede nell’arrivo di soccorsi esterni – l’unico personaggio ferito è il capitano, Curly, con tutti gli arti mutilati e completamente coperto da bende, le sue sofferenze alleviate solo dalla continua assunzione di antidolorifici.

Il resto dell’equipaggio, composto dal co-pilota Jimmy, l’infermiera Anya, il meccanico Swansea e il giovane apprendista Daisuke, dovrà cercare un modo per sopravvivere all’interno nella nave, mentre cercano di tenere in vita anche il loro capitano. Chi ha fatto schiantare la nave, e perché? Sono queste le prime domande che si porrà il giocatore, alimentate continuamente dagli indizi che pian piano ci verranno forniti dal gioco, in un clima di completa mancanza di fiducia verso il prossimo.
La narrativa di Mouthwashing non è lineare, bensì avremo piccoli capitoli che alterneranno momenti avvenuti prima e dopo lo schianto; le transizioni tra questi sono improvvise e caratterizzate da un glitch grafico che interrompe bruscamente la scena, aumentando la voglia del giocatore di continuare a giocare per risolvere finalmente il mistero. La narrazione, lo stile grafico pieno di personalità ispirato a quello dei primi titoli Playstation e la profondità dei personaggi sono certamente i motivi del successo del titolo, che però secondo me ha trovato la sua più grande fortuna nella forte discussione morale che si è creata nella community.
Il gioco affronta tematiche molto attuali in maniera magistrale, tra gli effetti del capitalismo, la condizione lavorativa dei personaggi, dinamiche relazionali tossiche e multidimensionali: in questi mesi, la community ha analizzato attentamente i personaggi, discutendo sulle loro motivazioni e, soprattutto, parlando di giustizia e della morale sociale che stabilisce l’essere “buoni” o “cattivi”.
Con questo approfondimento, ci immergeremo nelle diverse chiavi di lettura di Mouthwashing, parlando dei suoi personaggi e dei temi che tratta facendo riferimento alla storia del gioco: pertanto, siccome saranno presenti moltissimi spoilers, non consiglio di continuare la lettura se non dopo aver recuperato questa piccola perla indie. Mouthwashing dura poche ore, ma vi assicuro che vi resterà impresso per ben più tempo.

La realtà lavorativa della Pony Express
Il primo grande tema trattato da Mouthwashing è una dura critica al capitalismo, sotto il quale le vite umane diventano insignificanti rispetto al guadagno ottenuto dallo scambio merci della Pony Express, colpevole di infrangere numerosi diritti dei lavoratori avendo ideato un regolamento estremamente rigido e spietato.
È un qualcosa che il gioco mette in chiaro da subito: sin dai primi momenti di esplorazione, le pareti della Tulpar risultano piene di poster sui quali è possibile leggere le regole che l’equipaggio deve rispettare, come ad esempio il divieto di dormire più di cinque ore, il fatto che non è garantita alcuna assicurazione medica ed ogni infortunio causerà una detrazione dallo stipendio dell’intero equipaggio, la possibilità di “festeggiare” un unico compleanno per viaggio e perfino la proibizione di consumare cibi e bevande zuccherate se non vi è stata da parte dei dipendenti una performance lavorativa eccellente.
La Pony Express non riesce a garantire la sicurezza delle persone a bordo, né provvede a fornire abbastanza risorse per tutti. Lo dimostra l’integrazione all’ultimo minuto di Daisuke in un viaggio che inizialmente prevedeva solo quattro membri: sono presenti, infatti, alimenti e medicine per quattro persone, e quattro camere criogeniche in caso di emergenza.
Che non ci siano tutele verso i membri della Tulpar è reso chiaro dal fatto che accettano passivamente qualsiasi regola, ogni tanto lasciandosi scappare solo qualche commento negativo nei confronti della Pony Express: sopportano qualsiasi dolore, preferendo rischiare la propria vita piuttosto che vedere la loro paga e quella degli altri ridotta; si pensi come, dopo lo schianto, Anya proponga l’apertura del carico da loro trasportato per vedere se potessero ricavarci qualcosa per la loro sopravvivenza, a cui Swansea si oppone perché contro le regole dettate dai loro superiori.

Per quanto riguarda i personaggi, ognuno di loro rappresenta un “tipo” di lavoratore ritrovabile perfettamente anche nella nostra società. Il capitano Curly si trova al punto più alto a cui l’equipaggio possa ambire, invidiato per la sua posizione di potere: eppure, è completamente insoddisfatto del suo lavoro, e si sente come in una prigione da cui vuole scappare.
“È terrificante. Mi viene da pensare…questo è tutto ciò che io sarò per il resto della mia vita? Oppure prendo dei rischi e provo qualcosa di nuovo?”
Nel suo personaggio si scontra il lavoratore modello incasellato in una quotidianità monotona e soffocante con il desiderio di una vita nuova, caratterizzata però dalla paura del fallimento e della precarietà economica. È un dilemma comune alla maggior parte delle persone, spesso divise tra l’inseguimento dei propri sogni e passioni e la consapevolezza della dura realtà sociale, dove alcune professioni sono più richieste e redditizie di altre. Basti pensare a quanti giovani rinunciano all’intraprendere una carriera artistica o letteraria preferendo la maggiore stabilità data da un percorso STEM, compromettendo, tuttavia, una parte della loro felicità.
Il co-pilota Jimmy non riesce ad empatizzare con il suo amico di lunga data Curly. Dal suo punto di vista, Curly è un ingrato che non riesce ad apprezzare il suo privilegio, perché si trova, citando le parole di Jimmy stesso, “sul punto più alto della scala”, mentre gli altri continuano ad arrampicarsi faticosamente senza mai riuscire a raggiungerlo. Questo aspetto del suo personaggio vuole mettere in luce la competizione voluta e favorita dal capitalismo, che ci rende invidiosi ed incapaci di metterci nei panni altrui, fino a danneggiare i nostri rapporti interpersonali.
Il meccanico Swansea ha accumulato molti anni di esperienza nella Pony Express, fedele e attento alle regole. Ha inseguito per tutto questo tempo il modello di vita ideale secondo la società, quello di buon padre, marito e lavoratore, un qualcosa che non gli apparteneva davvero e non ricevendo alcuna ricompensa per le sue fatiche; destinato a continuare a lavorare in condizioni misere, diventa una persona rude e incattivita, pensando di essere troppo anziano per vedere la luce di una vita migliore.

L’infermiera Anya avrebbe voluto superare il test per entrare in una scuola di medicina, ma non ci è riuscita; senza alcun risparmio ed avendo bisogno di un lavoro per sopravvivere, ripiega sulla Pony Express come seconda scelta dettata dalla necessità, rinunciando al suo vero sogno. Lo stagista Daisuke invece, il membro più giovane dell’equipaggio, è stato iscritto al programma della Tulpar da sua madre, preoccupata dal suo essere privo di ambizioni e dalla sua pigrizia; viene sfruttato come tuttofare per ogni tipo di lavoro anche non pertinente alle sue competenze, come del resto frequentemente accade ai neolaureati che prendono parte a stage venendo anche sottopagati.
Seppur da angolazioni diverse, tutti i personaggi rispecchiano la figura dell’uomo schiacciato dal lavoro, costretto a sopportare i soprusi dei propri superiori poiché visti come la normalità in una società che privilegia guadagno e produttività rispetto a qualsiasi altra cosa.
La beffa finale nei confronti di questi personaggi sarà il fallimento della Pony Express, che manderà loro una lettera improvvisa di licenziamento senza offrire alcun tipo di supporto. In un clima di disperazione generale, dove ognuno di loro vede la propria vita crollare da un momento all’altro, Jimmy accuserà Curly di aver avuto ciò che desiderava: una vita diversa, senza però aver dovuto fare lui il primo passo licenziandosi, risultando così la figura del capitano modello che accompagna il proprio equipaggio fino alla fine.
Piuttosto che criticare un sistema di valori su cui i personaggi hanno basato la loro intera vita, instillato in essi fin dalla nascita, preferiscono puntarsi il dito contro a vicenda: proprio come succede nella nostra vita di tutti i giorni, quando si osa aprire bocca sulla disumanità della nostra cultura dove una persona prima di essere tale è un lavoratore; è importante riflettere, a questo punto, su quanto l’ambientazione di Mouthwashing sia realmente distopica.

L’incapacità di immedesimazione: la questione di genere
L’atmosfera della prima metà del gioco è di terrore puro: è il terrore dell’essere bloccati e dimenticati nello spazio in un ambiente opprimente e claustrofobico, del cercare di sopravvivere razionando misere scorte con la consapevolezza che ogni pasto consumato porta all’inevitabile mancanza di risorse e, di conseguenza, alla morte; è il senso di colpa del non aver detto addio ai propri cari rimasti sulla Terra, è l’amarezza di non aver fatto abbastanza per aver potuto aspirare ad una vita migliore rispetto a questa. È la paura causata dal vedere i propri compagni di viaggio e se stessi discendere nella pazzia, con scatti di rabbia improvvisi, allucinazioni, istinti violenti.
Non è un caso che il colore che caratterizza gran parte del gioco sia il rosso. Questo è il colore delle luci d’emergenza della Tulpar perennemente accese, ma anche il colore del sangue, del corpo di Curly completamente esposto a causa della perdita della pelle, il suo restare in vita quasi un monito per il colpevole dello schianto di rendersi conto di quello che ha fatto.
C’è però un momento del gioco, più precisamente il capitolo 10, dove il rosso viene sostituito da malinconici toni del blu, e lo schermo della sala comune che di solito proietta l’immagine di un tramonto questa volta mostra un bellissimo cielo stellato. Ci troviamo a due giorni prima dello schianto nei panni di un Curly pre-incidente ed assistiamo ad un suo dialogo con Anya che, pur essendo estremamente significativo, è stato spesso banalizzato o non compreso pienamente dai giocatori.

Anya fa un’osservazione all’apparenza insignificante: sullo schermo, se si presta abbastanza attenzione, si può vedere un singolo pixel bruciato. Curly non lo nota, dice di essere abituato a concentrarsi sulla visione d’insieme delle cose, ma per Anya è diverso: quel pixel è impresso nella sua mente, non può fare a meno di notarlo ogni volta; chiede, infine, quanti giorni manchino alla fine del viaggio (237, poco meno di otto mesi).
Quella che sia per musica che per atmosfera sembra essere una scena di pausa dall’horror a cui il gioco ci aveva abituati mostra le sue vere intenzioni con le battute finali del dialogo – parole che, purtroppo, non sono state immediatamente comprese da tutti i giocatori, ma che hanno fatto provare un brivido di paura e compassione a chi le ha ricevute correttamente: Anya chiede a Curly perché, secondo lui, l’infermeria o l’ala di pilotaggio hanno dei lucchetti alle porte, mentre i dormitori no.
Curly pensa che la risposta alla domanda sia ovvia: per la sicurezza dell’equipaggio. La parola “sicurezza” viene ripetuta decine di volte, fino a ricoprire l’intero schermo; mentre guardavo quella scena, pregavo che non stesse per succedere quello che mi aspettavo.
Mouthwashing, però, è fantascienza solo nell’ambientazione, mai nella rappresentazione degli orrori della nostra vita e degli umani che ne fanno parte. In una successione di flashback a momenti prima dello schianto, si viene a scoprire che Anya è incinta, dopo essere stata vittima di violenza da parte di Jimmy. Prima di venirne a conoscenza, Curly aveva promesso ad Anya che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarla, essendo l’equipaggio sua responsabilità in quanto capitano: ma adesso, messo di fronte al fatto che il suo migliore amico ha commesso un atto così crudele, qual è la sua reazione? Nessuna. Curly decide di non agire.

In questa sequenza narrativa, che approfondiremo meglio parlando del personaggio di Jimmy e del suo rapporto con Curly, quello che possiamo comprendere è la completa incapacità di un equipaggio di soli uomini di immedesimarsi nell’esperienza femminile. Se agli occhi di una videogiocatrice il punto di Anya sulla mancanza di lucchetti nei dormitori fa immediatamente paura, il personaggio di Curly – così come molti videogiocatori che hanno ignorato la scena – non cerca di comprenderla. Ma anche il singolo pixel bruciato vuole essere simbolico: questo è Jimmy, l’uomo che le ha lasciato una ferita psicologica indelebile, che Curly ignora.
Mi viene da pensare a quando si parla di patriarcato e violenza nei confronti delle donne. Fin troppo spesso, in discussioni del genere, salta fuori la persona che tiene a specificare come gli uomini che compiono atti violenti siano una “minoranza”, e che dunque non rappresentino un problema sociale.
Ma ignorando quel singolo pixel, si ignorano potenziali vittime – e lo schermo, prima o poi, vedrà l’espandersi di un numero sempre maggiore di pixel bruciati, fino a distruggere l’illusione del cielo stellato che è la nostra società; sarà Swansea, ad un certo punto della storia, a rompere lo schermo con l’ascia, mostrandone così il reale aspetto: un’immagine distorta, piena di glitch, una moltitudine di colori che fa capire che non esiste il singolo uomo malvagio, ma vi è uno spettro di comportamenti normalizzati che fanno sì che alcuni arrivino a compiere gesti estremi.

Abuser e Enabler: il rapporto di co-dipendenza tra Jimmy e Curly
Come anticipato precedentemente, nella community di Mouthwashing si sono accesi numerosi dibattiti riguardo la moralità dei personaggi: questi riguardano principalmente Curly, che alcuni vedono come una vittima dall’animo buono e ingenuo mentre altri lo reputano tanto colpevole quanto Jimmy.
Devo essere onesta, seppur amante delle discussioni che si creano online successivamente alla pubblicazione di un titolo, poco apprezzo il voler incasellare a tutti i costi personaggi così complessi e sfaccettati nelle banali definizioni di “personaggio buono” e “personaggio cattivo”. Opere come Mouthwashing vogliono riprodurre la realtà umana nella sua complessità psicologica; per questo motivo, per interpretare correttamente i personaggi e il messaggio che i creatori vogliono affidarci, è necessario studiare i rapporti che intercorrono tra di essi ed il contesto sociale in cui si muovono.
Jimmy e Curly non possono essere analizzati singolarmente senza tenere presente l’altro, perché l’esistenza stessa di persone come Jimmy è causata dalla presenza nel mondo di altrettanti Curly: rappresentano la dinamica tossica di “Abuser” e “Enabler”. Ma cosa significa?
In psicologia, un abuser è una persona che sfrutta la propria posizione di potere (che può essere economico, sociale o dovuto alla relazione con la vittima) per danneggiarne un’altra, attraverso atti continui di diversi tipi di violenza psicologica e fisica. Un enabler è invece un soggetto che, consciamente o inconsciamente, incoraggia comportamenti distruttivi dell’abuser: questo succede a causa di diversi atteggiamenti, come il minimizzare o giustificare le sue azioni, prendersi responsabilità al posto suo, o evitare conflitti mostrandosi passivi. La co-esistenza di questi due soggetti permette la ciclicità senza fine di abusi, in quanto l’abuser non soffrirà mai le conseguenze delle sue azioni.

Ripercorriamo la relazione tra i due personaggi: Jimmy e Curly sono migliori amici da molti anni, e si menziona come sia stato Curly ad assicurare a Jimmy un posto di lavoro come co-pilota all’interno della Tulpar. Il primo immaturo, aggressivo ed invidioso, capace di individuare le sensibilità altrui usandole per scatenare senso di colpa e compassione, il secondo è invece un capitano modello, che dice più e più volte come tutti i membri dell’equipaggio siano sua responsabilità e come deve essere sempre lui ad avere controllo sulla situazione; è chiaro, dunque, che il loro rapporto sia uno di co-dipendenza.
Jimmy ha bisogno di scaricare le sue responsabilità su qualcun altro che possa proteggerlo e giustificarlo, ma Curly ha altrettanto bisogno di incarnare egocentricamente la parte dell’eroe, un punto di riferimento per tutti – eppure, anche per Curly esistono delle gerarchie, delle persone (e, oserei dire, categorie) più importanti di altre. Lo dimostra il suo comportamento con Anya: quando deve scegliere se prendere le parti della vittima o del suo migliore amico, decide di continuare a sostenere quest’ultimo.
Quando Anya dice a Curly di essere incinta, lui dice che andrà a parlarne con Jimmy: ma non lo fa, anche quando aveva visto l’infermiera nascondere la pistola d’emergenza per paura che Jimmy la usasse contro di lei – sarà costretta lei a parlare con il suo aggressore il giorno stesso dello schianto. Solo in quel momento Curly agirà, unicamente preoccupato per il suo amico; assisteremo ad un dialogo disgustoso, dove il capitano tratterà la violenza sessuale nei confronti di Anya come un semplice ostacolo da superare insieme, come quei “tanti altri ostacoli che hanno affrontato nella vita”.

“Ma non è solo un problema mio, non è vero? Tu eri quello che doveva avere tutto sotto controllo, l’hai detto tu stesso. Questa nave, l’equipaggio, quello che è successo…questa era la tua responsabilità, Capitano. È questo quello che sentirai dirti per il resto della tua vita.” (Jimmy, a Curly)
Alla fine, ciò che è importante è salvaguardare la propria reputazione: la soluzione? Far schiantare la nave, in modo che tutto venga ricordato solo come una tragedia. Jimmy prende questa decisione da solo, correndo alla sala di pilotaggio e causando l’incidente; Curly, una volta comprese le sue intenzioni, proverà a fermarlo, quasi perdendo la vita nell’impatto.
In un’intervista con Johanna Kasuriren, la scrittrice dietro Mouthwashing, viene spiegato il personaggio di Curly come quel tipo di persona, “sfortunatamente molto comune”, che sminuisce atti distruttivi commessi da amici, spesso usando la propria posizione di potere per difenderli, mentre pensa di star facendo un qualcosa di giusto e generoso. Il non prendere posizione, il cercare di vedere il buono in qualsiasi cosa può sembrare un modo per non compromettere l’equilibrio dell’equipaggio e ristabilire la pace, ma la verità è che porta a conseguenze disastrose: permette a dinamiche tossiche di ripresentarsi, ed alle persone intorno (specialmente gruppi emarginati) di sentirsi in costante pericolo.
È per questo che è sbagliato parlare di pochi uomini crudeli all’interno di una società, di singoli pixel bruciati su uno schermo: sullo spettro della violenza verso le donne, sotto partner omicidi e stupratori, c’è un grande numero di uomini passivi, che non prendono posizione nelle lotte per la parità e non provano a correggere o far rendere conto ad altri di comportamenti misogini, spesso banalizzati. Le azioni di Curly ci sembrano meno gravi perché non è arrivato a gesti estremi come Jimmy, e per questo metà della community lo ritiene un personaggio “migliore”, quasi vittima degli eventi: ma se Jimmy può continuare ad agire indisturbato è proprio per l’indifferenza del capitano.

L’ora del giudizio
Dopo lo schianto, il ruolo di capitano passa a Jimmy – il suo sogno, si potrebbe dire, vista la sua invidia verso la posizione di potere di Curly; ma ritrovatosi a gestire una situazione decisamente fuori dalla sua portata, e soprattutto sentendo finalmente il peso delle sue azioni, non riesce a reggere il ruolo a cui tanto aveva aspirato, finendo per peggiorare ulteriormente la situazione di tutti. La scritta “TAKE RESPONSIBILITY” appare ossessivamente sullo schermo quasi ogni capitolo, mentre Jimmy diventa sempre più aggressivo e incapace di pensare lucidamente.
Il culmine della situazione si avrà quando Anya si rinchiude in infermeria, rifiutandosi di uscire; il giocatore, nei panni di Jimmy, si ritroverà a prendere parte a piani crudeli: sapendo che l’unico modo per entrare in infermeria, oltre che dalla porta, è attraverso un condotto di aerazione guasto estremamente pericoloso nella stanza bloccata da Swansea, Jimmy preparerà un “cocktail” quasi mortale per fargli perdere i sensi, per poi ordinare a Daisuke di attraversare il condotto. Il modo in cui Jimmy parla a Daisuke sottolinea ancora di più la sua natura manipolatoria, giocando su quanto il giovane apprendista sia desideroso dell’ammirazione altrui, specialmente da parte del suo mentore Swansea.
Seguiranno il suicidio di Anya e ferite atroci riportate da Daisuke, destinato ad un dolore disumano fino alla sua morte causata da un colpo d’ascia da parte di Swansea – azione presa per porre fine alle sue sofferenze. Ci ritroveremo poi ad affrontare delle sequenze ambientate nella mente distorta di Jimmy, costretto a ripercorrere in chiave horror (con tutti i tropes tipici del genere, come la fuga da mostri orribili e la presenza di gore) tutto il male che ha commesso nei confronti degli altri membri dell’equipaggio, in un tentativo finale di prendersi finalmente la responsabilità delle sue azioni – ahimè, destinato a fallire.

Sono tre i percorsi che deve affrontare: il primo è attraverso dei condotti d’aerazione, lo stesso percorso forzato su Daisuke prima di morire, che lo porterà in un cimitero con un mausoleo dedicato proprio al giovane; qui, dovrà confrontarsi con Swansea, che cercherà di ucciderlo con l’ascia per vendicarlo. Infine, si troverà in un percorso fatto di carne dalle mura totalmente rosse, al cui centro troverà una grande massa a cui dovrà fare un’ecografia, che rivelerà la figura di un neonato misto ad un cavallo.
Va fatto notare a questo punto come nel corso del gioco i colori dei dialoghi dei personaggi siano tutti diversi tra loro, ma quello di Anya è blu esattamente come quello di Polle, la mascotte della Pony Express (un cavallo, per l’appunto) – ciò, unito al fatto che suo figlio abbia un aspetto animale, sembra voler mostrare come lei sia semplicemente una figura inferiore agli occhi di Jimmy.
Prima della fine di questa sequenza horror, l’atmosfera cambia improvvisamente: Jimmy, con una pistola in mano, si trova davanti a Swansea, legato ad una sedia. Quest’ultimo chiede di essere ascoltato e parla del suo passato come alcolista; dopo aver visto la visione del suo corpo morto buttato in una fossa ha deciso di cambiare vita, diventando il lavoratore e padre modello di cui abbiamo già parlato. Ma nonostante sia riuscito a raggiungere questo ideale non si sente soddisfatto, bensì rimpiange i momenti in cui la sua unica preoccupazione era l’alcool, senza avere alcuna altra responsabilità sulle sue spalle.

“Io non ho nulla da nascondere, sono pronto a morire. Riesco a vedermi per quello che sono. Ma tu? Un codardo egoista, e non riesci manco a vederlo”.
Swansea riesce quindi ad auto-giudicarsi, a guardare indietro alla sua vita ammettendo i suoi sbagli, cosa che Jimmy, anche dopo questo intero capitolo di orrori, non riesce a fare – egli sarà invece capace di fraintendere completamente di cosa esattamente deve pentirsi. Lo capiamo nel finale del gioco, quando Jimmy dialoga nella sua immaginazione con la statua di Polle, dicendo che il suo sbaglio è stato invidiare Curly e pensare di poter raggiungere il suo livello, quando in realtà è sempre stato quest’ultimo “l’uomo migliore tra i due”.
In un concludente atto pienamente egoistico, Jimmy pensa di raggiungere la propria redenzione mettendo il corpo di Curly nell’ultima camera criogenica rimasta funzionante. Le sue parole finali saranno “Ce l’ho fatta, ho sistemato tutto” prima di uccidersi – azione con cui si conclude Mouthwashing, in un finale amaro per tutti ed in cui il protagonista non raggiungerà mai piena coscienza.

…ma quindi, il collutorio?
Probabilmente, arrivati così in fondo, vi starete chiedendo come ho potuto non menzionare la premessa fondante di Mouthwashing: il carico da migliaia di confezioni di collutorio trasportato dai protagonisti, da cui deriva anche il titolo del gioco. Il motivo è che il collutorio rappresenta in pieno entrambe le tematiche portate avanti nella storia, quelle del capitalismo e del senso di colpa, e funge da perfetto riassunto di tutto quello che abbiamo descritto fino ad ora.
Quando i membri dell’equipaggio decidono di scoprire cosa si cela nel carico sperano in qualcosa che possa aiutarli nella loro terribile situazione, come cibo o medicine, ma si trovano davanti a scatole su scatole di “Dragonbreath X”, un collutorio di pessima qualità contenente zucchero e grandi quantità di etanolo; in preda alla disperazione, l’equipaggio lo userà come sostituto di bevande alcoliche.

Il collutorio rappresenta l’apice raggiunto da un capitalismo estremo: cinque persone costrette a viaggiare in condizioni misere per oltre un anno, prive di svaghi e contatti umani al di fuori dell’equipaggio, per trasportare qualcosa di essenzialmente inutile. Dei corrieri di una multinazionale odierna, si potrebbe dire!
Ma Dragonbreath X è anche altro: il suo slogan è “uccide il 99% dei germi”, e, in quanto collutorio, si usa per “sciacquarsi la bocca”, tuttavia viene abusato come alcolico da parte dell’equipaggio. Cercare di ripulirsi, non riuscirci e di conseguenza si cerca di proteggersi dalla verità inebriandosi la mente…non è forse l’intero arco narrativo di Jimmy, cieco nei confronti delle sue colpe e rincorrendo una falsa redenzione? Il collutorio è così un simbolo perfetto che, come un cerchio, apre e chiude la narrativa del gioco in modo efficace.

Conclusione
“Spero che faccia male”: è questa la prima frase del gioco, che oltre al “prenditi le tue responsabilità” è anche il messaggio che gli sviluppatori vogliono offrirci. Mouthwashing è crudo e senza pietà e vuole essere scomodo, difficile da digerire, soprattutto se giocato da persone che possono rivedersi in Jimmy o Curly; muove alla riflessione e ci prega di essere più critici nei confronti della società in cui viviamo e le persone di cui ci circondiamo.
Arrivo alla fine di questo approfondimento guardando il conteggio delle parole scritte e penso che sia incredibile come un’esperienza videoludica di poche ore possa contenere così tanto: non posso che ringraziare il team di Wrong Organ per la cura ai dettagli e la sensibilità, che ha permesso loro di creare un titolo che, alla fine, tanto distopico non è.
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Appassionata di videogiochi, libri, fumetti e webtoon, è stata introdotta al mondo nerd in giovane età grazie ai titoli Nintendo. Il suo interesse verso l'arte, la mitologia e la psicologia fa sì che voglia sempre cogliere l'ispirazione e i significati più nascosti delle opere che analizza.
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